Andras Schiff e Myung-whun Chung
di Redazione - 12 Luglio 2019
al Teatro La Fenice
Le sei Partite di Bach e il Concerto op. 58 di Beethoven diretto da Myung-Whun Chung hanno siglato il doppio appuntamento in Fenice di Andras Schiff, inserito nell’ambito delle celebrazioni per i cinquant’anni dell’etichetta discografica ECM, cui il teatro veneziano, insieme a Musikàmera e Veneto Jazz, ha dedicato una tre-giorni di eventi.
Avvincente la lettura delle suites, riorganizzate secondo una successione di tonalità maggiori e minori, con il perno centrale costituito dalle prime due Partite da cui tutto trae origine.
La solarità della quinta, posta all’inizio della serie, ha così trovato un contraltare nella drammaticità della sesta, con cui si chiude il ciclo, concepito come un unico polittico in sei parti.
La libertà espressiva del fraseggio e la forza dell’eloquio raggiungono qui il proprio apice, ma la limpidezza del timbro, l’uso parco del pedale, la capacità di traforare la materia sonora attraverso gli abbellimenti e la chiara concertazione delle linee contrappuntistiche consentono a Schiff di disegnare una sorta di geometria delle passioni in cui trovano espressione le velature della terza partita e i chiaroscuri della quarta.
Riferimenti al Klavierūbung sono emersi anche nei due brani proposti come bis, l’Allegro del Concerto Italiano e l’Aria delle Goldberg.
Nel concerto di Beethoven il suono depurato e marmoreo del pianoforte esplora dimensioni di assolutezza metafisica, mentre Chung pare prediligere un alone di poesia soffusa.
Maggiore convergenza di intenti è emersa nel Rondò, per entrambi gli interpreti fulcro dell’intera opera, mentre il secondo movimento, liberato da ogni retorica, se da una parte è apparso un po’ impoverito nella sua cantabilità, dall’altra ha riacquistato la sua funzione di passaggio verso il baricentro finale.
Il giubilo beethoveniano, sapientemente smorzato grazie ai due bis brahmsiani e schubertiani offerti da Schiff, contrastava efficacemente con l’ombrosità della Sinfonia op. 98 dell’amburghese.
Chung esalta tutta l’inquietudine esistenziale di cui è intriso il capolavoro brahmsiano, sottolineandone la potenza tragica e gli slanci eroici, svelando come la Quarta rappresenti un arco teso tra l’imponenza beethoveniana e le più ardite sperimentazioni mahleriane.
L’orchestra della Fenice si illumina alternando cantabilità liederistiche, camerismo raffinato e squarci visionari che culminano nel grandioso Finale, vigorosa serie di variazioni su tema bachiano interpretate da Chung come un gigantesco bastione proteso a difesa di un mondo ormai in inesorabile declino. Successo caldissimo.
Letizia Michielon