Cronache da Santa Cecilia
di Matteo Macinanti - 22 Ottobre 2018
Sol Gabetta e Carlo Rizzari
Cinque, dieci, quindici minuti. Qualche applauso di incitamento carpito dai leggii e dalle sedie vuote. Venti minuti. Il pubblico attende impaziente l’entrata in scena dell’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia.
Un’esecuzione magistrale di 4’33’’ di John Cage? Una nuova composizione per solo pubblico, fischi e schiamazzi? Un tiro burlone giocato dai professori d’orchestra in combutta con il loro direttore?
Niente di tutto ciò: è il sovrintendente Michele Dall’Ongaro, entrato “solo e uno” nell’arena, a spiegare il motivo di tanta attesa.
A fatica e senza microfono, il presidente dell’Accademia urla ai duemilasettecentoquarantaquattro sedili della Sala Santa Cecilia che Mikko Franck, Direttore Ospite Principale, è gravemente indisposto e pertanto non potrà sostenere la direzione del concerto. A sostituirlo sarà il M° Carlo Rizzari, non nuovo a questo genere di gradite sorprese dell’ultimo momento.
Ma è in particolare una la dichiarazione di Dall’Ongaro a generare risentimento nella folla: la solista argentina Sol Gabetta, divina menade del violoncello, da cui ci si aspettava una splendida esecuzione del Concerto per Violoncello di Lalo, sarà costretta a non esibirsi.
Quattro, otto, dodici minuti. Proteste dei convenuti. Finalmente il sovrintendente annuncia l’inizio del concerto.
A fare capolino dalla porta sul palco è il sorriso composto della violoncellista Gabetta, la quale ha deciso ugualmente di esibirsi offrendo due bis — o meglio, in questo caso, semel — al pubblico ormai rabbonito.
Accompagnata da otto violoncelli dell’Orchestra, la solista suona il primo dei due fuori programma: Après un rêve di Gabriel Fauré.
L’improvvisata camerata canta in modo sommesso ed equilibrato la trascrizione della celebre romanza francese per voce e pianoforte e la mesta dolcezza dello strumento solista sembra sussurrare il testo originale: “Hélas! Hélas, triste réveil des songes!”.
“Ahimé! Ahimé, triste risveglio dai sogni”: il violoncello dà voce al precedente spaesamento delle persone accorse al concerto per l’appuntamento con il mondo astratto e magico dell’arte dei suoni.
L’atmosfera onirica viene poi restaurata con il secondo bis: Dolcissimo di Pēteris Vasks. Servendosi del violoncello come di una grande tavolozza di colori, la voce di Sol Gabetta conduce il suo dialogo armonizzato insieme al suo strumento attraverso le sue sfumature più disparate: dai suoni gravi e profondi di bordone, fino agli estremi armonici superiori. Il pubblico gradisce e, a malincuore, saluta la musicista argentina.
Con un grande applauso viene poi accolto il Direttore sostituto Rizzari, ormai riscaldato e pronto a scendere nell’agone sonoro.
Il corale dei legni scuri — clarinetti e fagotti — che apre l’Ouverture-Fantasia Romeo e Giulietta di Čajkovskij fa emergere da subito la sapiente gestione del suono del direttore.
Chiaro nel gesto e sicuro nell’impartire gli impulsi sonori ai musicisti, Carlo Rizzari occupa splendidamente il podio inaspettato e i professori d’orchestra, capeggiati dal primogenito, il primo violino Roberto Gonzalez, danno vita all’immortale dramma shakespeariano in una delle sue “intonazioni” più famose e meglio riuscite.
Le ondate di suono di Čajkovksij riempiono lo spazio sonoro della sala e l’incanto del mito riesce ancora una volta a stregare l’uditorio. L’orchestra, sfoderando l’insita potenza drammaturgica dell’Ouverture, si dimostra un’attrice abile e creativa e qualche attacco impreciso delle voci strumentali non toglie nulla ad un’esecuzione di tutto rispetto.
Senza la consueta pausa intermedia, il programma arriva poi ad affrontare il vero culmine della serata: la Seconda Sinfonia di Sibelius.
Il gelido vento sonoro finlandese si impossessa della Sala Santa Cecilia e il direttore deve ora misurarsi con uno dei capolavori sibeliani più enigmatici ed ermetici.
Un senso di perenne attesa pervade i quattro movimenti della sinfonia: tra le frasi interrotte degli archi, gli inserti spezzati dei fiati, i misteriosi pizzicati e le lunghissime pause, Rizzari conduce questo dialogo tragicamente sereno tra le diverse sezioni orchestrali, calibrando egregiamente l’equilibrio tra le parti.
Se da un lato il direttore infonde forza e vigore, come nel tagliente incipit del terzo movimento, dall’altro lato non indulge mai in una interpretazione dolciastra e melliflua delle parti più cantabili.
Il glorioso Finale della Sinfonia chiude una serata musicale intensa, emozionante e (in)aspettatamente riuscita.
Matteo Macinanti
Foto di copertina: Musacchio, Ianniello & Pasqualini dalla pagina Facebook dell’ANSC.
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