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Tre colossi a Santa Cecilia

di Lorenzo Papacci - 18 Marzo 2019

Pahud, Pinnock e Manson

Emmanuel Pahud, Trevor Pinnock e Jonathan Manson sono tre nomi che si presentano da soli: si potrebbero citare l’English Concert, i Berliner Philharmoniker e l’Amsterdam Baroque Orchestra, ma probabilmente sarebbe superfluo e sarà quindi sufficiente parlare delle emozioni che questo magnifico trio esercita sul pubblico. Il 13 Marzo Pahud, Pinnock e Manson hanno conquistato l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia con un concerto dedicato interamente a Bach.

I tre entrano con passo sicuro sul palco della Sala Sinopoli accolti da un pubblico estremamente festante, si legge sui volti  del pubblico una giustificata aspettativa nei loro confronti. Il concerto si apre con la Sonata in mi minore per flauto e basso continuo BWV 1034, un lavoro che dà occasione ai tre, e specialmente a Pahud, per un’apertura d’effetto con cui “mostrare i muscoli” nei due Allegro, ma anche per fornirci un primo assaggio di un lirismo bachiano sapientemente esaltato in ogni frase dell’Andante in sol maggiore. Il basso di Pinnock e Manson non è mai solo sostegno, come sarebbe previsto per questa sonata, ma da subito riesce ad essere sempre parte attiva del gioco musicale. Pahud invece, dal canto suo, si mostra in pienissima forma esaltando tutti i giochi dinamici presenti in questo lavoro e catturando la sala passando da pianissimo che sono quasi un soffio a dei corposi forte, che avvolgono la Sinopoli con un suono rotondo e squillante. Il pubblico vede da subito soddisfatta la già citata aspettativa e prontamente richiama più volte sul palco i tre.

Vediamo poi rientrare un sorridente Pinnock che si siede al clavicembalo per il suo momento solistico. Il pezzo in cui si cimenta è la Fantasia cromatica e Fuga in re minore BWV 903 : il potere che Pinnock esercita sulla tastiera è impressionante, la prima sezione di rapidissimi arpeggi nelle sue mani diventa un’esplosione di colori estremamente teatrale, stupisce anche la limpidezza della resa degli abbellimenti della seconda sezione. Pinnock, però, dà il meglio di sè nella Fuga a tre voci: dall’impasto sonoro della polifonia bachiana, egli fa emergere, sempre con estrema chiarezza, ogni linea melodica esaltando il gioco delle parti nello sviluppo assai complesso di questo lavoro.

Viene poi il momento per Pahud di avere il palco tutto per sè. Con la Partita in la minore BWV 1013, banco di prova per ogni flautista, lo svizzero cattura l’attenzione del pubblico completamente per tutte e quattro le danze. Il suono di Pahud è sempre accorto, mai eccessivo, anche nei passaggi più virtuosistici rimane estremamente espressivo. In particolare, l’esecuzione della Corrente è spiazzante: ogni abbellimento è cesellato minuziosamente, le dinamiche controllatissime, Pahud si destreggia tra le volute di Bach come un danzatore esperto. Con questa sua seconda prova il ginevrino si riconferma come interprete di estrema sensibilità e dalle capacità tecniche strabilianti.

Tra le sei sonate di Bach per flauto, Pahud e Pinnock scelgono di eseguire, immediatamente dopo, quella che probabilmente è la perla di questo repertorio, sia per complessità che per bellezza: la Sonata in si minore BWV 1030. Questa sonata è un lavoro che rappresenta uno dei vertici cameristici di Bach: un flauto e un clavicembalo che non sono ordinati in maniera verticale ma si trovano alla pari e sullo scambio melodico continuo tra i due strumenti si regge tutta la sonata. Pinnock qui col suo clavicembalo non “sorregge” solamente le linee di Pahud, ma continuamente completa e commenta l’azione del flauto. Dall’Andante inziale i due si esprimono con l’armonia della coppia già collaudata, la loro esecuzione è teatrale: ogni colore viene dipinto in maniera precisa nelle sue sfumature più complesse. Nel Presto finale i due virtuosi mostrano le loro grandi abilità nella fuga a tre voci del movimento, che diventa dialogo incessante e vivacissimo nelle loro mani.

Nella seconda parte del concerto è finalmente Jonathan Manson ad avere il suo momento solistico. Sceglie la Suite n. 2 in re minore BWV 1008 tra i 6 capolavori bachiani. La sua è un’esecuzione piuttosto controllata e riflessiva, specialmente nel Preludio iniziale, un controllo forse a tratti eccessivo che si è vivacizzato solo arrivando alla Giga. Il pubblico ha accolto comunque molto positivamente l’esecuzione di Manson, anche se la spiccata teatralità di Pahud e Pinnock ha lasciato un segno più vivido.

L’ultimo brano in programma era la Sonata in mi maggiore BWV 1035. Una chiusura esplosiva che ha rivisto i tre artisti legati insieme. Una composizione, questa, nella quale già si respira lo stile galante, specialmente nella prima sezione Andante, mentre l’Allegro assai che conclude la sonata ha una matrice molto più virtuosistica. Manson, Pinnock e Pahud esaltano l’elemento virtuosistico dell’ultimo tempo mostrando la grandissima maestria con i loro strumenti e ricreano la maraviglia barocca con un’interpretazione estremamente solare e dinamica. Il pubblico esplode in una sequela di “bravi” e scroscianti applausi, che richiamano i tre sul palco per concedere il Siciliano dalla Sonata in mi bemolle maggiore BWV 1031 di Bach come bis, degna chiosa magistrale per un trio di giganti.

Lorenzo Papacci

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