Amori e nevrastenie al Reate Festival
di Matteo Macinanti - 3 Ottobre 2017
Due piccole perle del repertorio operistico di Nino Rota compongono il dittico che ha aperto la nona edizione del Reate Festival.
La scena del Teatro Vespasiano di Rieti viene popolata da individui inetti, incapaci di prevalere sulle trappole e gli ostacoli del vivere comune e che, per questo motivo, si ritrovano ad essere o vittime inermi o carnefici in armi.
Il primo dei due atti unici, “I due timidi”, potrebbe sembrare un’usuale commedia degli equivoci —lui e lei si amano ma ambedue ignorano il vero sentimento dell’altro — ma il tanto atteso lieto fine viene sempre e solo sfiorato, senza mai sopraggiungere in modo conclusivo.
Il ritmo della narrazione è rapido e travolgente: l’azione viene continuamente stornata da imprevisti e malintesi in cui la parola, l’unica possibile chiave di volta, viene continuamente soffocata dal chiacchiericcio e dalle moine.
La scena approntata dal regista Cesare Scarton è speculare come speculare è la sorte che spetta ai due innamorati, la cui storia, seppure ispirata alla plurimillenaria letteratura “romantica”, è inserita in una cornice che di epico non ha nulla: una rancida pensione dal quale lui guarda attraverso una finestra la ragazza alle prese con lo studio del pianoforte. È proprio la musica intradiegetica che viene prodotta dalle mani di quest’ultima l’unico medium che lega i due innamorati.
La musica estranea al palco segue invece l’andamento narrativo e cambia veste di continuo: ritmi concitati e svelti talvolta lasciano il passo a delle aperture vocali à la Puccini, passando per inserti quasi jazzistici o improntati allo stile buffo. In questa ricchezza di contenuti eterogenei la voce dei cantanti (non solo i protagonisti Sabrina Cortese e Daniele Adriani, ma anche Chiara Osella, Antonio Sapio, Giorgio Celenza e tutti gli altri) mantiene sempre un buon equilibrio, dando anche prova di un’egregia attorialità.
L’orchestra, diretta dal maestro Gabriele Bonolis, si mostra nella sua energica e giovanile, anche anagraficamente parlando, vitalità: la scrittura vivace e mai banale di Rota viene resa in modo del tutto soddisfacente dal direttore e dal suo organico, e gli applausi del pubblico, durante e a fine spettacolo, non possono che confermare il successo dell’esecuzione.
Più breve e ancora più condensato nel tempo è il successivo dramma buffo “La notte di un nevrastenico”.
Sebbene queste opere non figurino tra le composizioni di Rota più eseguite ai giorni d’oggi, il loro valore è pregiato: anche in questo lavoro prevale una scrittura vivace e un ritmo che non dà spazio a flessioni di attenzione.
La vicenda è concentrata pressappoco in una mezz’ora e il centro della narrazione, anche visivamente, è occupato dal letto del protagonista, un grave e solenne altare che assiste irremovibile allo scorrere rapido della notte.
La resa dell’atmosfera, tanto opprimente quanto buffa, viene resa dalla scenografia e dagli attori in modo da coinvolgere il pubblico nello sviluppo della storia in modo avvincente.
È proprio quest’ultimo che talvolta prorompe in qualche risata divertita per l’assurdità della vicenda che, verso il finale tragicomico, precipita in modo vorticoso.
I cantanti dimostrano anche in questo caso (e in alcuni episodi maggiormente) un’ottima padronanza dello spazio scenico e una buona agilità vocale mentre la Reate Festival Orchestra di Gabriele Bonolis segue la vicenda dalla buca dello splendido teatro, sfoderando un’ampia tavolozza di colori.
A fine spettacolo il pubblico dimostra il suo giudizio favorevole con un forte applauso che è allo stesso tempo un apprezzamento per l’intero Reate Festival, un evento che si conferma centrale nella vita culturale della città di Rieti.
Matteo Macinanti