Benvenuto Cellini secondo Terry Gilliam
di Lorenzo Papacci - 27 Marzo 2016
Il Benvenuto Cellini di Berlioz rappresenta una creatura piuttosto anomala nel repertorio del teatro Costanzi di Roma. Per la verità l’esecuzione firmata da Roberto Abbado con la regia di Terry Gilliam è stata la prima nazionale, e non si può dire che non sia stata un successo, nonostante si trattasse di un tentativo certamente sperimentale.
L’Opera di Berlioz narra una storia tipicamente romana. Il compositore della Fantastique infatti prese spunto dalla lettura della autobiografia dello scultore fiorentino per inscenare una fantasmagorica messinscena ambientata nella Roma papalina ai tempi del carnevale romano. La storia, dai caratteri oscillanti tra il tragico e il comico, narra dell’amore impossibile tra Cellini e Teresa, la figlia del tesoriere pontificio. Naturalmente l’amore tra i due è ostacolato dal padre di Teresa, Balducci, che freme dalla voglia di consegnare la figlia in sposa a Fieramosca, altro scultore più “convenzionale” e con cui Cellini ha una profonda rivalità. Al fiorentino infatti è stata commissionata dal Papa una statua raffigurante Teseo, con cui di fatto lo scultore è assurto a gloria imperitura. L’azione inizia con Cellini che si introduce, di nascosto nella casa di Teresa e con essa duetta, ma il loro idillio d’amore viene interrotto da Balducci che entra in scena. Lo scultore decide che non può più sostenere la situazione e, in combutta con il fido Ascanio, organizza il rapimento di Teresa durante la sera del martedì grasso travestendosi da frate con un saio bianco durante i festeggiamenti. Cellini, tuttavia non sa di essere udito da Fieramosca quando tesse la sua trama, e dunque si trova a fronteggiare un altro falso frate, ovvero Fieramosca. Nella confusione del carnevale lo scultore uccide uno dei sodali del rivale rischiando il linciaggio, ma riesce a fuggire, e, culmine della beffa, Fieramosca viene arrestato al posto suo. La sua salvezza è solo temporanea, perché viene presto raggiunto da Balducci e Fieramosca accompagnati dal Papa in persona. Cellini tuttavia riesce a convincere il pontefice a graziarlo, temporaneamente, per concedergli l’opportunità di terminare la sua commissione. Il Papa offre la possibilità a Cellini di completare l’opera, ma nel giorno stesso. In caso di successo gli verrà concessa anche la mano di Teresa, ma l’impresa si presenta come quasi impossibile.
Comprensibilmente disperato, Cellini si reca alla sua fonderia nei pressi del Colosseo. Qui trova una ulteriore pessima sorpresa: i suoi uomini si stanno ribellando per le pessime condizioni in cui lavorano. Ma la preghiera di Teresa riesce a portare gli operai a più miti consigli. Ma questo non risorve il problema principale di scarsità delle risorse: infatti quando arriva il Papa, Cellini ha finito il metallo da fondere. Preso in un terribile dramma, Cellini decide tra lo sgomento generale di fondere tutte le sue precedenti opere per salvarsi. Segue una terribile esplosione che segue, accompagnata da un virulento crescendo della musica, che porta però Cellini alla vittoria. Dallo stampo infatti fuoriesce la statua, il suo capolavoro, che consegna all’artista la fama imperitura e la mano dell’amata.
Il libretto, opera di Léon de Wailly e Henri Auguste Barbier sotto la supervisione dello stesso Berlioz, è ricco di anacronismi e volute imprecisioni che attingono in realtà da momenti differenti della vita dello scultore, nonostante l’azione sia condensata in un lasso di tempo molto breve. Nell’opera rientra tutta la concezione berlioziana della musica. Estremamente spettacolare, lussureggiante ma frammentata e caotica, quasi oppiacea verrebbe da dire, conoscendo le malsane abitudini del compositore. Le scene migliori e più riuscite, sia di questa rappresentazione di Gilliam che dell’opera in astratto, sono naturalmente quelle caotiche del carnevale romano, che ricostruendo la baldanzosa atmosfera già preannunciata nella Ouverture. I momenti più lirici, di contro, risultano più deboli proprio perché estremamente frammentati, anche se con una punta nel duetto dei due amanti O Teresa, vous que j’aime plus que ma vie.
La regia di Gilliam ha dato un grande lustro a questa rappresentazione proprio a livello dello spettacolo. Il suo stile ha dato un tocco innovativo all’opera sia dal punto di vista della recitazione che dell’ambientazione infatti, ha portato in scena tutte quelle contaminazioni di stili a cui ci ha abituato nei suoi film e troviamo qui elementi anacronistici come ornamento della scena come l’insegna di un bar o delle scale di ferro il tutto però, si è sposato in grande armonia con il contesto. La storia, molto generalmente, si può dire che è stata trasportata dalla regia dall’eta cinquecentesca del Cellini a quella borghese di Berlioz. Un’età di giovani ormai disillusi dalla Rivoluzione di Luglio che aveva visto scemare le possibilità di un vero cambiamento rivoluzionario caduto in una monarchia. Fatalmente anche quando Berlioz scriverà la seconda redazione di quest’opera (che subì molti rimaneggiamenti, non solo da parte di Berlioz, ma anche di Liszt) i moti del ’48 saranno ormai spenti nell’impero di Napoleone III e la generazione di Berlioz capì di non poter incidere attivamente sulla vita politica. L’azione infatti, vede opporsi lo strapotere del Papa/Re e del suo tesoriere a cui vengono contrapposti Cellini i suoi assistenti di bottega e la giovane Teresa. Malgrado la grande ispirazione dell’arte e la forte vitalità debbono infine ricorrere ai soldi del Papa per pagare i loro debiti e Cellini, che non riuscirà a fuggire a Firenze, dovrà salvarsi dalla sua condanna. La grande forza di questa regia è stata quella di riuscire a rappresentare i personaggi nella loro essenza. Da un lato vediamo il tesoriere, il Papa e Fieramosca come rappresentanti di un establishment, sia attraverso la recitazione che è stata tesa a far apparire Fieramosca e il tesoriere Balducci come dei “parrucconi”, e il Papa molto solenne e dai gesti compiti e misurati, che attraverso i costumi di Katrina Lindsay che ha vestito Fieramosca e il tesoriere in abiti borghesi scuri e anche Teresa, oppressa dalla cappa di fumo della sua famiglia, era vestita di un abito scuro, mentre il Papa era vestito di un abito monumentale quasi settecentesco rappresentativo della sua condizione che, con sorpresa di tutti, era costruito con una struttura meccanica e si è aperto permettendo al cantante di scendere dalla scala su cui era entrato.
La giovane Teresa è stata interpretata da Mariangela Sicilia che ha saputo rendere bene il carattere di questa giovane che aspira alla vita e si ribella alle imposizioni. La sua interpetazione di Entre l’amour et le devoir è stata molto sentita; ancora è stata molto coinvolgente nel duetto O Teresa, vous que j’aime plus que ma vie con John Osborn nel ruolo di Benvenuto Cellini il quale va menzionato per il suo vigore interpretativo sia vocale che nella recitazione ricca di una gestualità poderosa, Osborn ha tirato fuori la forza e la dolcezza che convivono nel personaggio di Cellini in maniera egregia. Il ruolo di Papa Clemente è stato affidato a Marco Spotti, anche lui nella recitazione ha condotto bene la parte solenne del pontefice e la sua grande intensità vocale ha dato corpo alla scena che lo ha visto entrare dal fondo su una grande impalcatura di ferro in un abito monumentale, truccato più come un mistico orientale e accompagnato da guardie che potevano dirsi più dei centurioni. Il risultato con questi elementi e attraverso le luci è stato spettacolare.
Secondo noi:
L.P.: Gilliam ha saputo ricreare sapientemente in questi personaggi un clima di ancien régime. In questo modo ha creato un bel contrasto con Cellini e i suoi compagni artisti, già dal costume variopinto di Cellini delle prime scene salta all’occhio la differenza con l’altro gruppo e ritroviamo tutto ciò nel modo vivo, scherzoso e passionale di recitare che pone questi su un piano antitetico rispetto ai primi facendone quasi dei poetici bohémien, anche Teresa, che aspira a liberarsi dal giogo familiare e a fuggire con Cellini, si accosta a questo modo di recitare che mette in chiara luce l’aspirazione alla libertà di questo personaggio. Gilliam ha dato il meglio di sè con questi personaggi tendendo a spettacolarizzare le scene dove c’erano le loro azioni: dall’entrata di Cellini nella camera di Teresa a bordo di una mongolfiera, alla scena del Carnevale che ha visto in scena cantanti ballerini e acrobati rendendo al meglio quello che doveva essere all’epoca il carnevale romano, questi si erano già manifestati infiltrandosi nell’Ouverture per rimandare a quella che dopo sarebbe stata la scena del carnevale, molto suggestivo ma forse poco rispettoso della musica in questo punto, mentre per tutta l’opera la regia si è legata rispettosamente a questa sfruttandola al meglio.
Nel complesso è stata un’opera di un buon livello, portata avanti in maniera coinvolgente per il pubblico attraverso la regia, cosa che ha reso ancora più interessante quest’opera non proprio del repertorio più eseguito, che rappresenta il primo vero tentativo operistico compiuto di Berlioz che aveva lasciato “Les francs-juges” incompiuta e aveva scritto il melologo “Lélio, ou le retour à la vie” , l’Ouverture è infatti, il trait d’union tra il Berlioz sinfonico e quello operistico (infatti fu l’unico elemento apprezzato alla prima assoluta) e troviamo sia momenti più classici che parti più musicalmente sperimentali come quella del Carnevale e della fusione della statua.
F.S. Si è trattato di un’esperienza sicuramente singolare. L’Opera di Berlioz, proprio in virtù della giovane età dell’autore all’epoca della composizione, riflette un grande disordine mentale che Berlioz stesso riesce (a tratti) a tramutare in un gigantesco e al tempo stesso immaginifico spettacolo. Del resto, si notano gli stessi tratti grotteschi che caratterizzano la sua più celebre sinfonia, la Fantastica. Da questa mutua però sia pregi che difetti. Il Cellini è comunque una creazione molto frammentata, dove il lirismo stenta ad emergere ad eccezione del già menzionato duetto tra Teresa e lo scultore, peraltro reso benissimo dagli attori in scena. Roberto Abbado in questo svolge un compito pulito, preferendo una regia perfettamente aderente alla scena. Ad essere più riuscite sono certamente le scene caotiche, collettive, quelle che evocano i tanti cliches sulla Roma papalina che tanto affascinavano il giovane Berlioz del prix de Rome, e che continueranno a seguirlo anche nella Ouverture del “Carnevale Romano”. C’è da dire che la regia di Gilliam aderisce perfettamente all’intento del compositore, restituendo lo stesso caos organizzato in una maniera assolutamente brillante. Certe scelte forse eccedono addirittura in esuberanza, ma sono scherzi perdonabili. Presumibilmente un’opera di questo tipo non sarebbe stata altrettanto interessante senza la sapiente regia di Gilliam.
Lorenzo Papacci
Filippo Simonelli
per approfondire:
http://www.flaminioonline.it/Guide/Berlioz/Berlioz-Cellini.html
le immagini sono tratte dalla pagina Facebook del teatro dell’Opera di Roma
© Yasuko Kageyama / Teatro dell’Opera di Roma