Gioire della condivisione della bellezza
di Lorenzo Papacci - 14 Dicembre 2018
intervista a Roberto Prosseda
Quella di Roberto Prosseda è una personalità estremamente poliedrica: pianista, docente, divulgatore, organizzatore di eventi musicali, esploratore di repertori per nulla o poco battuti. Charles Rosen disse di lui: «Sono sempre stato colpito dalla sua originalità e dalla sua capacità di ripensare a brani familiari a tutti noi. Il suo modo di suonare è profondamente serio e tuttavia dà […] grande piacere sia per le sue qualità sensoriali che per la sua convinzione. Non conosco nessun giovane pianista che potrei raccomandare con maggior entusiasmo». Una fama internazionale da solista, ma numerose le sue collaborazioni con robot. Con le nostre domande abbiamo cercato di delineare un ritratto di questo artista attraverso le sue parole.
Un musicista è anche, in parte, un filologo e uno storico dell’arte: oltre allo studio tecnico e al lavoro musicale, un buon interprete, per essere tale, quanto deve studiare dal punto di vista sto- rico e musicologico ciò che manipola in maniera performativa?
Per comprendere appieno il senso di un brano musicale, e per quindi poterlo al meglio interpretare, è fondamentale conoscere il significato dei vari gesti che costituiscono il contenuto espressivo dell’opera, in rapporto con le consuetudini dell’epoca e con le caratteristiche degli strumenti musicali che il compositore aveva a disposizione. E, allargando il discorso, è altrettanto naturale approfondire i contesti storici e sociali in cui la musica è stata creata e saper gestire i meccanismi di espressione e comunicazione che ci consentono di raggiungere al meglio il nostro pubblico, sia in un concerto dal vivo, sia in una registrazione discografica. Tutto ciò mi pare un passaggio naturale e inevitabile, che viene ancor prima dello studio tecnico. Del resto, se non abbiamo chiaro il cosa, non ha senso focalizzarsi sul come. Invece oggi, e non solo nell’insegnamento della musica, si tende spesso ad una educazione settoriale: ci si specializza nel saper fare molto bene una delimi- tata attività, senza prima avere ben chiari l’oggetto e l’obiettivo della medesima attività. Ad esempio, nella didattica pianistica spesso si insegna prima a suonare bene le scale, le ottave e ad avere un dominio meccanico della tastiera, senza però che lo studente sia consapevole di quale sia il senso espressivo che una scala o un passaggio di ottave può veicolare. Viceversa, anche per capire la struttura e il senso di una sonata di Mozart, è fonda- mentale avere dimestichezza con la pronuncia di quella musica: prima ancora dell’interpretazione (che è un fatto soggettivo e, in un certo senso, privato), dobbiamo saper leggere la musica: ciò vuol dire capire il valore espressivo e retorico di tanti segni di articolazione, che rimandano a gesti musicali ben precisi. La comprensione della tensione armonica è altrettanto indispensabile, in quanto nella musica classica l’armonia è la base di ogni discorso musicale. Il lavoro di studio di ogni musi- cista professionale è di fatto analogo a quello di un bravo direttore d’orchestra, che studia le partiture e crea una sua articolata visione interpretativa ben prima di incontrare l’orchestra per la prima prova.
Una fase importante della sua carriera è legata a Mendelssohn: dalle prime composizioni inedite incise, passando nel 2008 all’incisione delle 56 Romanze senza parole, fino all’incisione dell’integrale per pianoforte del 2013, ci parli del suo rapporto con questo autore, come è nato l’interesse nei suoi confronti?
Sono sempre stato attratto da repertori e compositori meno di moda: trovo che una parte molto gratificante e stimolante della nostra professione sia quella di fare scoprire al pubblico musiche ignote, spesso con risultati sorprendenti. E, in- credibilmente, questo è il caso anche della musica pianistica di Mendelssohn. Nonostante la fama del compositore, pochissimi altri pianisti hanno finora indagato in maniera sistematica il corpus della produzione pianistica di Mendelssohn, tanto che prima d’ora non esisteva una incisione completa della sua musica pianistica: è anche questo vuoto che mi ha invogliato ad occuparmi di Mendelssohn. Ho iniziato nel 2004, grazie anche all’incoraggiamento di Gian Andrea Lodovici, produttore discografico a cui devo moltissimo, e con il quale ho realizzato i primi due CD di inediti mendelssohniani per la Decca. Su questa strada ho avuto la fortuna di incontrare un altro entusiasta interprete mendelssohniani: Riccardo Chailly, che mi ha proposto di incidere in prima assoluta con lui e la Gewandhausorchester di Lipsia il Concerto n. 3 di Mendelssohn, brano che poi ho suonato un po’ in tutto il mondo, con oltre 50 orchestre. Procedendo nelle ricerche, sono man mano venuti alla luce ulteriori inediti, e al contempo mi sono reso conto di come anche le musiche di Mendelssohn già pubblicate fossero quasi assenti nei programmi concertistici. Così, gradualmente, sono giunto a completare, dopo circa 12 anni, la registrazione della sua musica pianistica. Il percorso non è fini- to: a settembre esce, sempre per Decca, l’incisione con i Concerti n. 1 e 2 e il Rondò Brillante, che ho inciso con la Residentie Orkest de L’Aja diretta da Jan Willem de Vriend, con cui mi accingo a registrare anche i Concerti per due pianoforti e orchestra, assieme a mia moglie Alessandra Ammara.
Va menzionata, nella sua attività di pianista, la riscoperta di uno strumento non così diffuso: il piano-pédalier o pedalpiano. Come è nato l’interesse verso questo strumento e cosa ci può dire sulle sue potenzialità e sul repertorio ad esso dedicato?
Proprio la voglia di esplorare repertori desueti mi ha condotto a scoprire la musica di Charles Gounod, a partire dal Concerto per pedalpiano e orchestra, di cui ho conosciuto il manoscritto nel 2010 grazie allo studioso francese Gérard Condé e alla Fondazione Palazzetto Bru-Zane. Leggendo il manoscritto inedito di questo Concerto ho pensa- to che sarebbe valsa la pena di imparare a suonare un nuovo strumento, per poterlo riportare alla luce. E quindi, complice un po’ di fortuna (mi sono imbattuto per puro caso in un esemplare di pedalpiano d’epoca, che ho prontamente acquistato) e senso di avventura, questo progetto ha preso vita, portando poi al CD con la registrazione dei quattro brani di Gounod per pedalpiano e orchestra, e a un DVD live con musiche per pedalpiano di Schumann, Boëly, Gounod e Alkan.
Suonare il pedalpiano è un’esperienza totalizzante, che impegna a fondo sia la mente, sia il corpo, do- vendo muovere e sincronizzare mani e piedi, spesso in un articolato discorso contrappuntistico. Anche la tecnica pianistica è drasticamente modificata, in quanto, non potendo appoggiare i piedi al pavimento, si suona in perenne sospensione, e il modo di gestire il peso e i muscoli delle braccia e delle gambe è radicalmente diverso rispetto a quando si suona il pianoforte. Da quando studio il pedalpiano ho imparato, per forza di cose, a razionalizzare al meglio i movimenti del corpo e anche a programmare in anticipo lo sguardo e il pensiero. Ciò mi ha aiutato a mettere a fuoco un metodo di studio che consente di ottenere migliori risultati in meno tempo, lavorando sulla concentrazione mentale e sulla consapevolezza dei movimenti.
Sulla sua pagina Facebook, ormai da tempo, si trovano una serie di video divulgativi dove lei spiega elementi tecnici costitutivi dei brani e del lavoro dell’interprete: come è nata questa esigenza e che riflessioni le ha fatto sorgere sulla necessità della divulgazione presso il grande pubblico?
Credo molto nelle possibilità che il web e i social network offrono per condividere idee e punti di vista. Da fruitore di internet, sfrutto molto le risorse online offerte da molte biblioteche straniere (penso alla Library of Congress o alla Staatsbibliothek di Berlino, ad esempio), o anche da un sito noto a tutti i musicisti: imslp.org, che rap- presenta la più grande biblioteca digitale per le partiture di musica classica. Oggi la condivisione del sapere non solo è inevitabile, ma è anche, per me, doverosa. Su Facebook ricevo molti messaggi privati di giovani pianisti che chiedono consigli di ogni genere: sulla tecnica, sull’interpretazione o sul repertorio. Ho quindi pensato di rispondere in modo pubblico, condividendo dei brevi video in cui parlo di un singolo aspetto, sempre con esempi al pianoforte. L’approccio, quindi, non è troppo diverso da quello che adotto nelle Lezioni di musica su Radiotre, in cui, sempre al pianoforte, cerco di condividere con gli ascoltatori radiofonici la mia visione di un singolo brano pianistico.
Tornando al rapporto col pubblico: come musicista, piuttosto che come divulgatore, nell’arco della sua carriera ha notato cambiamenti importanti nel pubblico della classica?
Vorrei intanto precisare che per me la figura di divulgatore e quella di musicista sono inscindibili: ogni musicista che si esibisce in pubblico è, inevi- tabilmente, anche un divulgatore, un comunicato- re di musica. Non necessariamente lo fa parlando: può ovviamente limitarsi a suonare senza considerare la presenza di pubblico, ma il risultato deve essere efficace nel modo in cui arriva alle orecchie (e agli occhi) dell’ascoltatore presente in sala. In quest’ottica, certamente negli ultimi decenni il modo con cui la musica classica viene presentata al pubblico si è evoluto, con una maggiore attenzione (a volte anche eccessiva) verso gli aspetti visivi e spettacolari. Ciò non è necessariamente un miglioramento, ma non deve neanche essere considerata come una deriva negativa: se mettiamo al centro la musica, e non l’immagine fine a sé stessa, non si corrono rischi, a mio parere. Se invece la musica rimane solo un pretesto per fare sfoggio d’altro, il problema è reale. Personalmente, credo che anche la tecnologia e le nuove possibilità offerte dalle soluzioni multimediali possano aiutare a rendere un concerto di musica classica come un evento più coinvolgente per un pubblico che altri- menti non si avvicinerebbe mai, a condizione di non banalizzare o deformare i contenuti artistici. Nel 2017, insieme a sua moglie Alessandra Ammara, ha inaugurato il progetto dell’”Accademia MusicaFelix”, che permette a giovani talenti pianistici di specializzarsi: come è nata questa idea? E, nella sua realizzazione pratica, che approccio nuovo c’è dietro questa accademia che ne fa un “prodotto” nuovo rispetto alle altre?
quindi in questa prospettiva, offrendo grande flessibilità sulla ripartizione delle lezioni tra i docenti, e, dal prossimo anno accademico, programmando seminari e incontri con grandi musicisti e artisti esterni, tra cui Alexander Lonquich, Shlomo Mintz, Maurizio Baglini. Un’altra caratteristica peculiare è la produzione discografica per alcuni degli allievi più meritevoli: quasi mai gli studenti avanzati hanno la possibilità di studiare come si realizza la registrazione di un CD. Eppure si tratta di un’esperienza molto formativa, e ben distinta dal suonare in pubblico. Musicafelix è anche uno studio di registrazione, e lo scorso anno abbiamo già realizzato due master con due dei nostri allievi, grazie alla collaborazione del sound engineer Matteo Costa. Il primo, inciso da Michele Tozzetti con l’integrale pianistica di Leonard Bernstein, uscirà per Brilliant Classics nel prossimo autunno. Ciò è stato possibile grazie alla presenza del Gran Coda Fazioli gentilmente concesso dall’amico e collega Maurizio Baglini, che è anche uno dei docenti ospiti di Musicafelix.
Lei è tra gli organizzatori di “Cremona Musica”, che ormai si è attestata come la fiera di strumenti musicali più importante d’Italia, questa
costituisce un importante punto d’incontro per tutti coloro che si occupano di musica: costruttori, interpreti, direttori d’orchestra, giornalisti e divulgatori. Organizzare una realtà del genere è sicuramente molto complesso: come si fa a offrire sempre un prodotto nuovo e a mediare tra l’elemento commerciale/fieristico e quello artistico/artigianale di questa fiera?
Cremona Musica è una realtà unica nel suo genere, anche al di fuori dei confini nazionali. Nata molti anni fa come esposizione fieristica di strumenti di alta liuteria, poi estesa anche ai pianoforti, fia- ti e chitarre, oggi unisce all’aspetto commerciale anche un vero e proprio festival, comprendendo un programma di oltre 150 eventi in tre giorni: concerti, seminari, tavole rotonde, workshop, laboratori. L’idea fondante di Cremona Musica è di essere il punto di incontro e di convergenza di tutti i diversi anelli che costituiscono il sistema musica. A partire, ovviamente, dai musicisti e dai produttori di strumenti musicali, ma comprendendo tutti gli altri settori: insegnanti, festival, fondazioni, case editrici e discografiche, agenzie, uffici stampa e tutti i professionisti che operano
nell’ambiente musicale. Senza dimenticare l’anello più importante della catena: il pubblico di appassionati. Cremona Musica è un grande raduno di musicisti e amanti della musica, a cui si partecipa con lo spirito di condivisione e di scoperta, e dove grazie al contatto diretto e personale, non mediato da internet o altri “filtri digitali”, possono nascere e prendere vita nuovi progetti e idee. L’affluenza di oltre 17.000 persone dello scorso anno, in continua crescita, testimonia che la formula è vincente. Per concludere, una domanda più personale: diventare padre cambia la vita di ognuno, tramite il rapporto coi suoi figli ha imparato a vedere aspetti della musica in modo diverso? Come ha “raccontato” questo suo mondo musicale ai suoi figli? Avere la fortuna di essere padre e di avere una famiglia certamente aiuta a dare la giusta priorità a tutte le cose. Nel mio caso, da quando sono padre vedo la carriera sotto una luce diversa: non è poi così importante avere successo, se pensiamo che non siamo noi al centro dell’attenzione, ma la musica in sé, e il nostro ruolo è solo quello di metterla in circolo, e di gioire dell’energia che si genera grazie alla condivisione della bellezza.
Lorenzo Papacci