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Intervista a Desirée Rancatore, la Diva di tutti

di Giulia Cucciarelli - 3 Agosto 2017

Non ha certo bisogno di presentazioni, Desirée Rancatore: chiunque ami il belcanto -e non solo- conoscerà bene la sua voce salda, le sue note piene, e le toccanti interpretazioni.La incontro in un afoso pomeriggio nella suggestiva cornice dell’Oratorio del crocifisso a Foligno, dove insieme al M° Marco Scolastra sta tenendo una masterclass che culminerà nel concerto finale di sabato 5 agosto.

E’ così bello osservarla mentre spiega ai suoi allievi come “raggiungere la stratosfera“, raccomandandosi di capire ciò che si canta, di evidenziare ogni parola, ogni virgola, ogni pausa.

Nessuno vuole perdersi neanche un attimo di Desirée, perché c’è da imparare da ogni respiro: tecnica, sentimento, postura, persino fumo e alimentazione diventano oggetto di studio.

“Ci devi credere per prima tu, altrimenti non ci crediamo nemmeno noi”, dice rivolgendosi ad un’allieva.

E lei ci ha creduto, qualche anno fa a Palermo, quando con sua madre si avvicinava allo studio del canto spinta dal sacro fuoco dell’arte.

A 19 anni il debutto con Le nozze di Figaro al Festival di Salisburgo e da lì un crescendo, in Europa ma anche in America e in Asia; tutte le principali platee hanno conosciuto il calore e la forza delle eroine interpretate dall’artista siciliana, una voce che scuote dal profondo e difficilmente si dimentica.

Lo scorso giugno, in Giappone, un quarto d’ora di standing ovation e una lunghissima fila per l’autografo hanno accompagnato la sua Violetta Valery, in una recita definita “commovente” anche dal console generale d’Italia a Osaka.

-Hai dichiarato in un’intervista che non smetti mai di studiare: com’è una giornata di studio di Desirée Rancatore?

La giornata inizia verso le 11 con il prestudio, ovvero stretching, pilates, allungamento dei muscoli del collo e delle spalle per evitare il più possibile tensioni, poi c’è la fase del riscaldamento e verso mezzogiorno comincia lo studio vero e proprio, che dura più o meno un’oretta; quando sto preparando un ruolo continuo anche nel pomeriggio con la messa in memoria, ovviamente non cantando tutto in voce.

Oltre a questo c’è un lavoro a monte di traduzione se si tratta di un’opera in lingua straniera.

-Le tue interpretazioni sono sempre più coinvolgenti, e alla fine ti vediamo spesso commossa: come fai ad entrare così nel personaggio?

Non so spiegarti come si fa, io lo faccio, mi viene naturale! Sono un essere sensibile, e credo che questo si veda un po’ in tutti gli aspetti della mia vita, chi mi conosce lo sa.

Essendo così ricettiva mi lascio trasportare dalle parole, dalla musica, da tutto ciò che il compositore vuole donarmi: lo immagazzino, lo rielaboro e lo restituisco al pubblico.

Non so se si possa insegnare, ma si può educare qualcuno al sentimento; esistono persone che hanno uno scudo, una difesa, ma cantare significa anche spogliarsi di tutto, cultura, condizionamenti, per donarsi totalmente: cantare vuol dire emozionarsi ed emozionare.

Io sono sempre stata una persona senza scudi: ne ho patito le conseguenze, ma ho vissuto appieno tutto quello che volevo vivere.

-Non ti chiedo com’è nata questa passione, ma quando hai capito che avevi fatto bene ad assecondarla?

La mia è senz’altro una bella carriera, che dura da parecchio tempo: quest’anno sono 21 anni!

Forse verso i 18 o 19 anni ho avuto la consapevolezza che la strada che avevo intrapreso fosse quella giusta, perché stavo cantando al Covent Garden di Londra, a Parigi, a Salisburgo, ed ero veramente giovane.

Ho iniziato a studiare a 16 anni e a 18 ero già pronta per i palcoscenici più impegnativi, e riconosco che a quell’età era grande il rischio di smarrire la via, di perdersi, montarsi la testa.

Fortunatamente ho un carattere che mi ha permesso di restare quella di sempre, continuando a studiare e a lavorare rimanendo il più possibile con i piedi per terra.

-Hai cantato praticamente ovunque: in cosa pensi che dovremmo prendere esempio in Italia?

Non penso che ci sia qualcosa da copiare altrove, se non l’amore per l’opera, anche da parte di chi la deve sovvenzionare, visto che si tratta di un “prodotto” italiano, è nato qui e avrebbe bisogno di una cura maggiore, bisognerebbe far sì che non chiudano i teatri, che non si impoveriscano le produzioni per mancanza di soldi.

Dovremmo chiederlo a chi se ne occupa, alla classe politica, ai responsabili dei tagli al FUS, a chi non valorizza la cultura in generale, non solo l’opera: in Italia si potrebbe vivere di arte e turismo per tutta la vita, ma non lo facciamo.

Se fossi io al comando lo farei, mi piacerebbe nutrire le menti della gente perché rende liberi, ed è forse questa la ragione della scarsa attenzione alla cultura!

-E il rapporto con il pubblico, come si è evoluto negli anni?

Il rapporto con il pubblico è fantastico, io ho sempre avuto bisogno del pubblico, perché senza questo mi annoiavo; anche a 16 anni, quando studiavo, volevo il pubblico!

Può essere un rapporto di amore-odio, perché gli spettatori esigono molto e a volte non danno in cambio l’energia positiva che ti aspetteresti: si capisce subito se di fronte al palcoscenico c’è un pubblico più ostico di altri, mentre a volte arriva direttamente l’entusiasmo, fin dal primo momento.

E’ un’energia che non so spiegare! In Giappone questa energia si crea spesso, lì sono appassionati e vengono in teatro senza preconcetti né pregiudizi, senza fare confronti con la Callas o altri mostri sacri. Non possono esistere paragoni tra cantanti, ognuno è diverso, come ogni essere umano: se è vero che non esiste persona uguale ad un’altra, non può che essere così anche nel canto: si può dire che uno piace ed un altro no, ma mai paragonarli.

-Qual è la prova più impegnativo che tu abbia mai affrontato?

Il mio repertorio è stato per l’80% “incantabile”: la cosa più difficile è sicuramente Ascanio in Alba di Mozart, oltre a L’Europa riconosciuta di Antonio Salieri: di incantabile c’è anche l’opera di Walter Braunfels Die Vögel, ovvero Gli uccelli, dove io interpretavo l’usignolo, immagina!

-Cos’è secondo te che crea ancora attrito tra i giovani e l’Opera?

Devo dire che vedo molti giovani melomani! Ovviamente l’Opera è un mondo a sé, si ama o si odia, come ogni cosa. A teatro ho trovato spesso un pubblico giovane: le anteprime under 30 sono sempre piene, e questo fa ben sperare! Ovvio che se i media si occupassero un po’ più di Opera, magari si potrebbe arrivare ad un pubblico più vasto.

-Tre desideri che vorresti che si realizzassero per la tua carriera.

Avere tanta salute, che è ciò che sostiene la carriera; mantenere una stabilità mentale forte per continuare su questa strada, e un grande coraggio per affrontare nuovi traguardi.

Queste sono le tre cose che servono: salute, mente e coraggio!

Giulia Cucciarelli

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