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“Tra spasimi e paure”: Il Tabarro di Puccini

di Lorenzo Papacci - 20 Marzo 2018

Sin dalla sua nascita, il teatro musicale, ha fatto della musica il mezzo espressivo e caratterizzante dell’animo dei personaggi narrati.Attraverso la messa in musica di sensazioni e stati d’animo si è giunti alla narrazione parallela di due eventi: la vicenda in sé e la storia interiore degli uomini, che diveniva sempre più importante fino a rendere la storia un pretesto. Senz’altro la rivoluzione che nel mondo portò la psicanalisi attraversò anche il teatro musicale. Puccini, che fu uomo di teatro sempre molto attento all’interiorità dei suoi personaggi, in una sua opera compie una vera “narrazione psicanalitica”: ne “Il tabarro” troviamo delle vere psicosi messe in musica, che diventano il motore dell’azione.

Puccini e la drammaturgia novecentesca

“Il tabarro” viene composto da Puccini nell’evolversi di uno “squarcio” nella storia: la Grande guerra. La Prima Guerra Mondiale, oltre alle atrocità che aveva portato, cambiò la mentalità degli uomini che furono suoi spettatori. Si sentiva che si era rotto rotto qualcosa, qualcosa di insanabile. Dalla fine del secolo era in atto un processo evolutivo nel teatro, che aveva messo in discussione l’idea teatrale stessa e ciò che si poteva dire col teatro. Un cambio di passo notevole fu l’avvento della regia e del regista in maniera definita: Verdi e Wagner vengono considerati dei “protoregisti”, ma in quel periodo le rappresentazioni teatrali erano il prodotto di più coscienze e non si deve temere di cadere in errore parlando di multiautorialità anche per la loro epoca. La regia porta in scena le intenzioni di un solo individuo, per dirla con le parole di Claudio Meldolesi la regia è “concertazione stilistica”. Puccini avverte questa rivoluzione della forma teatrale ancora prima della nuova dimensione psicologica dell’uomo moderno. Era già partita in lui una ricerca artistica: dalla “Fanciulla del West” erano passati quasi 10 anni e tra queste due opere vi era stata “La rondine”, un’opera sulla quale egli nutriva molti dubbi. In questo lasso di tempo Puccini guarda al teatro simbolista e a quello espressionista tedesco.

La nascita del teatro moderno soppianta quello che viene definito teatro “hegeliano” o dialogico e decadono tutti gli elementi che caratterizzavano il primo: il conflitto tra personaggi e la narrazione regolare di una storia. I dialoghi in teatro diventano proiezioni di un Io disturbato e la vicenda non è più un dialogo col pubblico, tutto è solo la narrazione di questo Io, anche quando ci sono più personaggi. Anche le azioni non sono più spontanee, ma condizionate da un ambiente, che in qualche modo le “genera”: è l’idea del determinismo ambientale di Zola. Il mezzo ideale per portare in scena questi elementi era l’atto unico: questo permetteva una crescita costante della tensione, che ovviamente in lavori più ampi aveva momenti languenti. Il difetto di questi lavori veristi era però una cattiva organizzazione del materiale drammatico: gli italiani, semplicemente, comprimevano quella che era la struttura di un’opera in più atti, e i loro lavori risultavano come dei “frammenti d’opera” e non come drammi autonomi. Probabilmente Puccini non guardò molto all’Italia che poteva essere uno stimolo da poco, ma si ispirò ai successi di Strauss, come “Salomé” ed “Elektra”. Indubbiamente guardò molto anche al Naturalismo. Già Zolà aveva parlato, ne “Il Naturalismo a teatro”, di una scena chiusa, autosufficiente. Puccini pure capisce che il teatro non può essere più rappresentativo e per Tabarro pensò ad un’azione non più a proscenio, ma sullo sfondo.

Con quest’opera possiamo individuare i primi elementi dell’avanguardia con la caduta di elementi classici del dramma. Il Puccini di Tabarro è un uomo proiettato nel futuro, prima era ben evidente in lui un grande retaggio del Romanticismo, ma è ormai evidente che di questo non è rimasto nulla, perlomeno nei moduli narrativi. L’intuizione fondamentale è quella di mettere da parte la convinzione che i drammi si debbano costruire sull’attore per dar sfoggio delle sue capacità e che dal dramma si possano trarre insegnamenti attraverso le azioni portate in scena. Per questo lavoro la sua intenzione è completamente diversa: portare in scena le vicende di una società minuta, di piccoli uomini che vivono in ambienti degradati, in sudici bassifondi. A proscenio doveva esserci il barcone, centro di vita e di lavoro che stava su una superficie instabile: la Senna, che era l’altro elemento a proscenio, la vera vicenda doveva svolgersi sul fondo del palco. In questo modo lo spettatore era come se la vedesse realmente per strada, dove sicuramente non gli sarebbe stata “servita” sotto gli occhi. Ci troviamo in un tipo di teatro non più costruito per lo spettatore, Puccini chiese addirittura ai cantanti di cantare di spalle, se fosse stato necessario per i movimenti di scena. Convivono in questo lavoro un iper-realismo e quasi uno straniamento dell’azione dal pubblico.

Io torno però a ripetere che Il Tabarro deve recitarsi sul barcone per intiero. E anche con teatro a gran proscenio, non mi pare gran male che l’azione rimanga a distanza

Accoglienza e vicenda

Avendo scritto delle parti molto ardue, Puccini era preoccupato per la scelta dei cantanti, che avrebbero dovuto cantare su dei pieni orchestrali che esigevano delle voci di un’intensità molto grande. Le lettere ci testimoniano quanto egli volesse chiudere subito le contrattazioni col teatro e quanto spingesse con Ricordi perché ciò avvenisse, ma la guerra non accennava a finire e i tempi si dilatavano. La prima al Metropolitan del 1918 non andò particolarmente bene per Tabarro, vennero lodate di più le altre due opere del Trittico. Si disse che Puccini aveva inserito nell’opera “un certo numero di esperimenti armonici, ed è riuscito”. Si criticò invece l’opera dal punto di vista melodico e si disse che “il compositore non ha ancora imparato che le armonie esotiche non aggiungono nulla a melodie di basso livello”, questi furono i commenti riportati su “The Dial”. Tabarro non trovò fortuna neanche in patria, dopo la prima romana del ’19. Si definì il tema come segnato da un “verismo quasi aggressivo” e non si lodarono particolarmente i pregi musicali di questo lavoro, uno dei commenti generosi fu questo:

Riguardo alla tecnica armonica, Il Tabarro e lo Schicchi recano elementi di novità abbastanza cospicui. A Giacomo Puccini, studioso ed astuto, nulla è sfuggito di ciò che l’arte contemporanea ha prodotto. Da Debussy a Stravinskij, ogni autore d’eccezione è stato oggetto per lui di indagini feconde. Ebbene (miracolo ancor più sorprendente di quello di Suor Angelica) il nostro compositore nulla ha perduto della propria personalità per l’assiduo contatto con i pericolosi maestri stranieri, con le temute sirene di Francia o di Russia; egli ha carpito i loro segreti e se n’è servito nel costruire nuovi e solidi edifici di stile nazionale marcatissimo

A dirla tutta Puccini aveva sempre portato in sé la radice stilistica di quello che farà nel Tabarro, e la vicinanza coi lavori di altri compositori non va vista come il prodotto di un autore che assorbe passivamente ciò che gli accade intorno, ma bisogna inserirlo tra coloro che sono partecipi del progresso dell’epoca, camminando a fianco dei vari Stravinskij e Debussy e non al loro seguito. Sarebbe più opportuno parlare di percorsi o intenzioni comuni che di un’emulazione.

Venendo alla storia si vede subito come questa sia solo un pretesto per la narrazione della psiche, perché è di una semplicità notevole: lo scenario è quello dei bassifondi di Parigi, siamo sulle rive della Senna dove è ormeggiato il barcone di Michele, qui un gruppo di scaricatori vengono chiamati giornalmente per lavorare. Questi conducono una vita degradata e senza possibilità di svolta, la loro situazione segna anche un degrado morale secondo l’idea di condizionamento ambientale di Zola. L’unico conforto per alleviare le loro sofferenze è bere e scambiarsi reciprocamente battute estremamente cattive. Qui troviamo, appunto, Michele, il padrone del barcone, sposato con Giorgetta: dai loro dialoghi capiamo che hanno avuto un figlio che è morto, Giorgetta ora tradisce Michele con Luigi, un giovane scaricatore che sembra essere l’unico a ribellarsi alla loro vita tremenda e viene quasi circuito dalla donna. Michele finirà per scoprirli e ucciderà Luigi. In molti hanno visto uno sfondo socialista in quest’opera e una sorta di accusa al potere. La vita di tutti questi uomini è lacerata, perfino Michele, che dovrebbe essere colui che unicamente gode di una sicurezza economica e della possibilità di avere una vita migliore, soffre per la morte del figlio e dovrà scoprire il tradimento della moglie. L’ambiente stesso nega a priori la possibilità di una vita serena, anche l’amore che nasce è meramente e puramente carnale, la spiritualità e l’interiorità non sfiora nemmeno lontanamente i due amanti, che sono oggetto di pulsioni fisiche che non sanno dominare.

L’ambiente come protagonista centrale

Il Tabarro è costituito da tante scenette che si susseguono slegate tra loro senza continuità. Queste hanno una funzione ben precisa di realismo: la caratterizzazione d’ambiente. Questo gioca un ruolo centrale e possiamo definirlo come il vero protagonista di quest’opera. Il luogo dove si svolge la scena condiziona la vita dei personaggi, ma soprattutto condiziona la loro psiche, tanto da diventare esso stesso uno dei personaggi avendo un ruolo così condizionante. Sentiamo lo scorrere della Senna, dove si svolge pulsante la vita di questi uomini, viene ben definito dalle parole di Michele Girardi:

Questo sfondo è un groviglio inestricabile di conflitti esplosivi, originati da motivi sociali e biologici, secondo un’ottica di chiara matrice positivista, per cui non esistono che gli eventi e le loro cause, svincolati dal giudizio morale

Il confronto con Zola, stavolta nell’uso che Puccini fa dei temi musicali, lo troviamo nelle parole di Antonio Rostagno, che evidenzia le analogie tra la scrittura del primo e lo stilo compositivo del secondo:

I grandi squarci d’ambiente pucciniani hanno una funzione analoga alle minuziose descrizioni di Zola…le descrizioni spesso in Zola…sono viste in “in soggettiva”… Il tema-Senna e altri che vedremo hanno esattamente la stessa funzione: non sono descrizione d’autore, voce d’autore, visione all’esterno secondo la prospettiva di un “esotismo turistico” nei bassifondi parigini per il consumo di massa. I temi del Tabarro danno “voce” alla percezione dell’ambiente da parte dei personaggi, sono una voce interna al mondo della scena, espressione delle motivazioni profonde dell’agire dei personaggi e delle loro nevrosi

La volontà di Puccini di porre al centro la Senna la troviamo ben marcata nella corrispondenza col suo librettista: Giuseppe Adami. Adami bramava da tempo di poter collaborare con Puccini essendo un suo ammiratore e l’occasione gli giunse per Tabarro. Puccini gli affiderà il libretto in seconda battuta e gli fornirà delle indicazioni ben precise, dalle sue parole infatti possiamo comprendere che Puccini vedesse la storia dei tre soltanto come un pretesto :

Non la vicenda lugubre l’aveva interessato, ma quell’atmosfera di fiume che creava intorno ai personaggi un pathos singolare e nuovo…”quello che mi interessa è che la signora Senna mi diventi la vera protagonista del dramma

Il fiume stesso costituisce un’allegoria: quella della vita fondata su un elemento precario, le esistenze di questi scaricatori sono costruite sul nulla. Il tema che apre l’opera è associato alla Senna: questo è costruito su delle quarte vuote e quinte parallele, sotto troviamo i contrabbassi che con un terzinato discendente in pianissimo, rimandano allo scorrere dell’acqua insieme all’idea melodica degli altri archi. Questa apertura ci suona abbastanza estranea rispetto a quello che era stato il Puccini precedente, questo andamento infatti non è pienamente tonale e sfiora il Sol maggiore solo in alcuni punti. Girardi parla di una “pulsazione della Senna” che segna la prima parte dell’opera. Già dall’apertura del sipario abbiamo due elementi fondamentali caratterizzati dalla musica: il vuoto della vita e lo scorrere di questa come l’acqua. Questo tema è molto legato a Debussy, nello specifico a La Cathédrale engloutie, è un tema che ritroveremo di continuo, ma non perché Puccini voglia interrompere la “narrazione interiore” e parlare del luogo, ma perché l’ambiente è nella psiche dei personaggi, che è caratterizzata dagli stessi elementi.

L’altro tema fondamentale che segnerà l’opera è quello dell’amore clandestino tra Luigi e Giorgetta: è un tema perfettamente tonale, cupo, in Do# minore, con delle pause inserite al suo interno. Non è un vero tema d’amore ed è profondamente diverso da quelli a cui di solito ci ha abituato Puccini. Già dall’indicazione “misterioso“, segnala un’azione furtiva e illecita che caratterizza lo sfogo con cui i due sfuggono dal grigiore quotidiano: il loro non è un vero amore, è evasione. Gli amanti di Puccini, a differenza dell’originale di Gold, non provano senso di colpa, sono spinti da una pulsione più forte, più fisica e meno mentale. Luigi nel suo monologo (“Hai ben ragione, meglio non pensare”) parla della loro situazione degradata e qui il tradimento assume i tratti di una logica conseguenza del loro stile di vita, è come un animale braccato dai cacciatori che trova una via di fuga: percorre d’istinto quella strada fino alla morte. Anche l’età dei personaggi è complice di questo scenario, Michele ha 50 anni, Giorgetta 25 e Luigi 20, l’adulterio è quasi fisiologico, mentre dall’altra parte c’è un’unione che non poteva essere pienamente genuina, che viene presto messa in crisi dall’arrivo di un giovane più attraente e vigoroso e in precedenza dalla morte del figlio.

Questi si vedono di sera e vivono una situazione di eccitazione e paura, il loro duetto viene introdotto dal Tema della Senna, sentiamo poi una voce di sopranino e una di tenorino che cantano (elementi di realismo perché voci non impostate), questi due passanti ci portano nella dimensione della realtà, come fosse una strada normale e anche noi fossimo dei passanti, sentiamo poi infatti la sirena di una nave che chiude il canto di queste voci e contribuisce a farci vivere quest’atmosfera acustica del fiume. Il tema degli amanti si ripete di continuo quando questi sono insieme. Può ricordare un leitmotiv wagneriano per la costruzione e la brevità, ma questo si ripete sempre immutato ed è sintomatico di una psiche disturbata che è funestata da un’ossessione che reca paura e sconforto. L’ossessione è il timore di venire scoperti e il continuo ripensare alla bruttura della loro vita da cui tentano di fuggire in tutti i modi, questo tema viene ripetuto persino 13 volte di seguito. Si interrompe solo quando Giorgetta immagina una vita con Luigi lontano da lì (“Ah, se fossimo soli lontani”) ed è significativo che accada solo sul pensiero dell’evasione, perché questa nuova, unica melodia cantata nel loro duetto elimina il loro dramma quotidiano per un momento e subito Luigi riporta tutto al presente, ovviamente accompagnato dal tema ossessionante.

L’ultimo tema importante è quello del Tabarro: lo troviamo nella scena dell’omicidio e quando Michele parla Giorgetta del figlio morto che avvolgeva nel suo tabarro. E’ un tema costruito su una frase spezzata, come qualcosa di rotto, infranto e infatti rimanda alla vita spezzata del bambino e alla relazione morta con la moglie, che genera il tradimento e l’omicidio. E’ un fraseggio del flauto e del clarinetto, è un tema che evoca morte e lontananza in maniera percepibile, rimanda molto al Puccini di Crisantemi e dell’intermezzo di Manon Lescaut. Va notato come tutti i temi non si rivolgano a un solo personaggio ma siano sempre delle pitture d’ambiente che evocano dei contesti e non solo degli stati d’animo.

Puccini e Adler

Nel 1912 Alfred Adler affermò che i problemi psicologici non derivano dal passato e dalla memoria rimossa, ma le paure e le psicosi del presente derivano dalle aspettative verso il futuro. Ne Il temperamento nervoso, Adler arrivò a individuare dei comportamenti ben precisi per gli psicotici. Rostagno ritrova alcuni dei tratti di cui parla Adler nel Tabarro, vedremo che questi saranno comuni a tutti i personaggi, globalmente disturbati:

Traggo i seguenti cinque punti dallo studio adleriano “Il temperamento nervoso”…1) la nevrosi coativa: la paura di tutto ciò che è nuovo, di decisioni e di prove. 2) la routine protettiva: una specie di routine intelligente che l’idea utilizza e della quale si servono…i dispositivi morbosi, affettivi e nevrotici. 3) l’evasione dal reale nella memoria: ma soprattutto nell’illusione del futuro, il nevrotico è perfettamente consapevole che questa evasione è illusoria e irrealizzabile. 4) il senso di colpa: secondo Adler la nevrosi ha spesso radici…in un evento che colpisca in modo irreparabile la personalità nella fiducia in sé. 5) l’instabilità emotiva

Questo ci porta anche a dire che i dialoghi tra i personaggi, che ripensano al passato tragicamente, immaginano un futuro sereno oppure si insultano, non sono veri dialoghi, ma proiezioni della loro psiche disturbata. La modernità la vediamo anche dalla mancanza di una vera intersoggettività, anche quando parlano Giorgetta e Luigi il loro è solo un vaneggiamento.

La nevrosi in musica

La scena si apre con le voci degli scaricatori che lavorano. Giorgetta scende e offre loro del vino. Vediamo che il brindisi degli scaricatori, è una scena che non ha nulla in comune con i brindisi “classici”, che trovavamo solitamente nelle opere: da CavalleriaErnani passando per Traviata, i brindisi sono un momento solenne o gioviale di socialità, questo invece è un brindisi decadente espressione del nulla interiore di questi personaggi. Il Tinca dice “in questo vino affogo i tristi pensieri”, il vino non viene celebrato, ma viene quasi subito e si configura come l’ultima risorsa di chi non ha più orizzonti. Questi poveretti poi ballano accompagnati da un organetto stonato, la musica è affidata ai clarinetti a ai flauti a distanza di un’ottava diminuita, elemento che Girardi ci suggerisce come rimando allo Chopin del Valse op. 34 n.1 (erroneamente si è menzionato spesso Stravinskij). Puccini in questo modo crea una danza tutt’altro che melodiosa, che riporta alla disarmonia di fondo delle loro vicende allietate per un momento da quest’organetto.

Vediamo per la prima volta l’amore infelice di Michele e Giorgetta che si scansa dal suo bacio, accompagnato dall’arpa e dal coro delle midinettes: qui Puccini cita sé stesso con l’incipit dell’aria di Mimì dalla Bohème, è quasi un’ironia beffarda nei confronti di un amore infelice e insincero. Ci viene poi presentato il personaggio di Frugola, moglie del Tinca, anch’essa una psicotica, tutto ha la misura di un momento, torna il tema della Senna, termina lo scarico e ritorna la depressione. Nella scena del brindisi vediamo che Tinca risolve col vino, ma in quel punto Luigi intona una breve aria che esprime il dolore e la consapevolezza che loro vivono l’inferno sulla terra, senza possibilità di salvezza alcuna e con brevi sprazzi di serenità: il vino, lo stordimento, attimi di amore rubato. “Hai ben ragione”, costituisce musicalmente il punto in cui il tenore può sfoggiare la sua vocalità, ma Puccini sfrutta la potenza della voce per un inno alla disperazione, le parole sono emblematiche: “…per noi la vita non ha più valore ed ogni gioia si converte in pena…l’ora dell’amore va rubata…va rubata tra spasimi e paure…tutto è conteso tutto ci è rapito…la giornata è già buia alla mattina”. La risposta gli arriva dal Tinca che gli suggerisce di bere, lo sfogo di Luigi musicalmente ricade nel tema della Senna, quindi è come se in qualche modo si annullasse, si spegnesse.

Riprende poi il canto frenetico di Frugola che parla degli oggetti che raccatta e del suo gatto, poi ci sarà l’aria di Giorgetta: entrambe evocano qualcosa di lontano che le distoglie dalla realtà, Frugola parla di un sogno che finisce con l’attesa della morte che è foriera di serenità (“e aspettar così la morte. ch’è rimedio ad ogni male”), immagine accompagnata dal suono sinistro dell’oboe. Mentre invece è emblematica della psicosi l’aria di Giorgetta: lei parla della sua vita passata nel quartiere di Belleville, questo ricordo è il suo rifugio mentale felice, le scalda per un momento l’animo e parte una fiammata melodica passionale, calda, impetuosa, la melodia più bella di tutta l’opera, che è emblematica della sicurezza che questo ricordo le infonde. Su questa melodia entra Luigi, ma i due non generano un vero duetto perché le loro parole sono solo annebbiamenti della psiche che cerca evasione, non c’è dialogo, sono solo pensieri che escono dai due. Anche l’aria di Giorgetta termina “annullandosi”, perché torna la canzone di Frugola con l’idea di morte come cesura e negazione delle speranze di Giorgetta. Adami nel suo libro ci riporta come ha costruito la figura di Giorgetta secondo le indicazioni di Puccini, ed è particolarmente significativa:

Sete di terraferma, rimpianto del chiassoso tumulto del sobborgo, delle luci di Parigi. L’amore carpito a quarti d’ora non le basta. Il suo sogno è di evadere, di pestare il marciapiede, di lasciare la cabina sull’acqua, dove è morto il suo bimbo…diedi a Giorgetta una febbre di libera vita nell’ossessionante ricordo di Belleville

Si incontrano poi Luigi e Michele, Luigi gli chiede di essere sbarcato a Rouen. Qui si caratterizza la psiche malata di Luigi, che tenta di liberarsi della sua ossessione, il rapporto con Giorgetta. Questo lo assilla e lui tenta di liberarsene distruggendo il rapporto, la sua sembra un’intenzione seria, ma appena Michele gli dici che a Rouen troverà solo miseria e che non vuole farlo scendere, Luigi si riscuote subito dalle sue intenzioni e dice che rimarrà con lui, la sua è una psiche debolissima, non ha volontà propria e la sua protesta è vana e non lo riscuote dal gorgo che lo avviluppa.

Arriviamo poi al duetto di Luigi e Giorgetta: egli sin dall’inizio è più ritroso e cerca di tirarsi indietro e di fronte alle raccomandazioni di lei sul fatto che Michele può salire in ogni istante, egli le chiede perché ogni volta lo attiri fra le sue braccia. Giorgetta si caratterizza da subito come l’elemento dominante tra i due, Luigi è completamente vulnerabile e fa ciò che i suoi istinti lo portano a fare. Immediatamente al pensiero di venire scoperti entra il tema in Do# minore per ben 13 volte, ritorna l’ossessione e allora si configura la necessità dell’evasione di nuovo: qui i due pensano di essere altrove, insieme, lontano da tutti e si apre l’unica vera melodia subito spenta dal pensiero di Giorgetta che possa arrivare Michele e ovviamente torna una serie di ripetizioni del tema ossessivo. L’ultima tentata evasione c’è quando Luigi dice urlando di non temere di dover uccidere Michele o anche lei per averla da solo. Puccini gli fa declamare queste parole su un unico Sol# ribattutto quasi urlato, accompagnato da viole, violini, flauto e ottavino in tremolo, mentre sotto ottoni, legni e contrabbassi suonano il tema dell’adulterio. Rostagno afferma che possiamo parlare di “struttura a variazioni nevrotiche” per questo duetto e infatti quello che sembra un urlo liberatorio (“io non tremo di vibrare il coltello e con gocce di sangue fabbricarti un gioiello”), non prelude affatto a una vera azione decisiva, mentre è solo quella che gli psicanalisti chiameranno: “protesta virile”, un’affermazione molto forte di una volontà di ribellione a parole, che poi negli atti non verrà attuata o sarà fortemente ridimensionata. Questo urlo è solo la camicia di forza di Luigi infatti, mentre lui urla questo, in orchestra troviamo il tema ossessionante, Puccini stesso ci vuole dire che egli si sta solo illudendo di liberarsi, le sue saranno sempre solo parole e non si muteranno mai in gesti concreti. La funzione dell’orchestra quindi, in questo caso, non è quella di sostenere il suo canto ma di svuotarlo di senso. Questa poi è l’unica frase dell’intero duetto cantata a voce piena, il resto è quasi declamato sottovoce, ad aumentare l’atmosfera del proibito. In quegli anni si stava affermando la figura del tenore di forza, qui Puccini va controcorrente perché gli unici momenti in cui sfrutta la rinnovata potenza del tenore sono per evidenziare illusioni e depressione, in questo modo sfrutta una nuova vocalità non con intento spettacolare, ma per fare drammaturgia dell’Io.

Puccini inserisce alle viole anche un tema tratto dall’intermezzo della Manon Lescaut, un tema che lì evocava l’ansia di morte che nasceva dalla deportazione. Egli si autocita per evidenziare che questo è uno stato che accomuna Manon e Des Grieux a Giorgetta e Luigi, che non ne sono consapevoli, ma dentro di loro, inconsciamente, hanno una sorta di aspirazione alla morte che rappresenta la pacificazione. Anche nel loro linguaggio c’è una sorta di schizofrenia: i due parlano d’amore con un linguaggio basso ed esplicito, mentre quando Luigi parla di omicidio usa quasi un linguaggio da opera dell’800. Ma è Girardi a farci notare un elemento molto interessante: il tempo più usato nell’opera, essendo fatta soprattutto di ricordi tragici o verso cui aspirare, è l’imperfetto, “eravamo pur tre” “Ero tanto felice…quando anche tu m’amavi”, le situazioni che ci troviamo di fronte rimandano soprattutto a una felicità passata, che è in aperto contrasto con la tragedia quotidiana.

Ed è proprio quel ricordo che riporta in scena Michele, egli ricorda a sua moglie il periodo felice quando era vivo il loro bambino e lui lo cullava nel tabarro. Michele poi da solo comincia a sospettare dell’adulterio nella sua aria “Nulla! Silenzio!”: qui egli pensa a chi potrebbe essere l’amante della moglie, quando fa il nome di Luigi entra il tema dell’adulterio, come prova che verso di lui nutre un dubbio più forte. Anche Michele coi discorsi si rivolge al passato e nella sua aria termina dicendo “la pace è nella morte”, ci sono tutti i sintomi della psicosi già elencati. Michele scopre poi il tradimento perché Luigi, vedendo la luce della pipa di Michele, sale sulla cabina prendendolo per un segnale di Giorgetta e Michele lo ucciderà mentre egli dice “l’amo”, confessando l’adulterio. Rientra Giorgetta che chiede a Michele di stringerla a lui e questi la stringerà nel tabarro dove ha nascosto il suo amante, sotto l’orchestra suonerà il tema del Tabarro in fortissimo. Puccini qui si concentra non sulle motivazioni, perché questi individui non pensano, ma sugli istinti e fa uccidere Luigi senza premeditazione in un scatto d’ira.

L’opera più scura di Puccini si chiude con un omicidio che non migliorerà la vita dell’assassino e lo farà cadere solo in un dramma più grande. In questo piccolo lavoro vediamo un lacerante ritratto dell’uomo moderno, delle sue paure e della psicosi che inevitabilmente lo rende prigioniero. All’inizio di questo articolo si è detto che, quando nel teatro musicale la musica non è un mero mezzo di accompagnamento, ma crea una metanarrazione, siamo di fronte a un capolavoro. Da questo punto di vista “Il tabarro” è un capolavoro eccelso ed impietoso.

Lorenzo Papacci 

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