«Milk-punch, o whisky?»: l’inconcludenza di Pinkerton in Madama Butterfly
di Alice Romano - 8 Novembre 2021
I ritratti di Pinkerton e Madama Butterfly presentano il conflitto tra due diversi modi di espressione, del cui scontro è vittima la giovane Cio-Cio-San. Data la modernità letteraria, la loro convenzionale funzione operistica di amanti si dissolve. La divergenza stridente tra le pretese poetiche e la grossolanità delle intenzioni e dei modi di esprimersi di «quel diavolo d’un Pinkerton» (II, 4) rivela gli estremi inconciliabili del suo carattere, fonte di quella tragicità che tanto ha coinvolto Puccini e che Giacosa e Illica hanno saputo restituire nella loro totale ostilità.
Pochi decenni dopo il progressivo avvicinamento al linguaggio quotidiano che dagli anni Cinquanta del XIX secolo interessa la letteratura poetica e drammatica, il libretto d’opera abbandona il canto melismatico per un declamato più aderente al testo, spingendosi verso la fluidità propria del dramma in prosa e rompendo, strutturalmente e metricamente, gli argini del numero chiuso. Protagonista italiano di tale stravolgimento è il drammaturgo Giuseppe Giacosa che, in veste di librettista assieme a Luigi Illica, introduce nell’opera di Giacomo Puccini quello che viene definito “canto di conversazione”. Privato del tono brillante, cadenzato ed eroico del melodramma italiano, l’uomo contemporaneo pucciniano è ridotto alla sua ordinarietà; d’altronde, la grande melodiosità della penna del compositore, e ciò che in essa rimane degli stilemi tradizionali, solo apparentemente riesce a sanare le ambiguità di un’epoca tanto tormentata.
Nel giugno del 1900, a Londra, Puccini assiste alla rappresentazione del dramma in un unico atto Madame Butterfly di David Belasco, che trae origine dal romanzo francese di Pierre Loti Madame Chrysantème del 1887. A suscitare l’entusiasmo del compositore è il senso dell’azione e la forte carica patetica e comunicativa del nucleo drammatico, che riesce a cogliere pur essendogli l’inglese una lingua sconosciuta. Nella sua Butterfly, infatti, l’uso del canto di conversazione va a simboleggiare la normalità di un grande dolore vissuto da piccole anime. Il nuovo livello linguistico, occasionalmente medio-basso, è funzionale alla narrazione di storie d’amore mediocri, trattate, alla maniera di Puccini, con un tono amaro e malinconico e non più grottesco e satirico. L’estremizzazione dei termini dialettici che sorreggono la dicotomia tra libretto e musica e la presenza di protagonisti dimessi che d’improvviso s’infiammano in un patetico lirismo è una scelta autentica e sincera non solo per il compositore ma anche per un pubblico stanco del solenne e dell’aulico.
In virtù della sua origine romanzesca nonché prosastica, in Madama Butterfly l’alterazione dello scorrere del tempo naturale interviene solamente nei momenti in cui vengono accennati gli avanzi del bel canto. Difatti, la scrittura di gran parte del libretto è in versi sciolti e comporta una perdita di struttura tuttavia ben compensata dall’abbondanza di rime necessarie per le linee melodiche. Nello specifico, il canto di conversazione domina nelle prime due scene, la seconda delle quali è costellata di anglicismi come yankee, whiskey, milk-punch, America for ever. Il gran numero di termini nuovi per il pubblico dell’opera italiana dell’epoca sono, comunque, tipici della globalizzazione nella sua fase embrionale, a complemento dell’esotismo evocato da Puccini, che espande la tavolozza timbrica dell’orchestra nell’intento di ricreare un’atmosfera extraeuropea, ed impresso nell’immaginario collettivo fin de siècle. A conferma di ciò, la «Tragedia giapponese in due atti» è collocata nell’«Epoca presente», come illustrato nel frontespizio del libretto.
“Dovunque al mondo” (I, 2) è il primo tentativo vagamente lirico del luogotenente Pinkerton appena recatosi a Nagasaki, in cui il tenore, in terza persona, esplicita al console Sharpless, baritono, il credo dello «yankee vagabondo». Tuttavia, dopo aver intonato solamente i primi due versi della seconda quartina, desiste per porre la domanda «Milk-punch, o whisky?» come da didascalia: «S’interrompe per offrire a Sharpless le bevande che Goro ha fatto portare dai servi». Le problematiche sollevate sono di diversa natura. Il whiskey è un elemento estraneo al mondo giapponese, ma viene introdotto in scena dagli stessi servi, fatto che chiarifica la posizione di The Star-Spangled Banner, citata come simbolo di assoggettamento e modernità in contrasto ai temi tradizionali della secolare cultura giapponese che colorano la Butterfly. Addirittura, nell’opera in video di Jean-Pierre Ponnelle (1974), Plácido Domingo, nei panni di Pinkerton, versa del whiskey in un bicchierino di sakè. Dal punto di vista musicale, invece, una simile interruzione colloquiale comporta l’irreparabilità dell’organicità del numero chiuso. Pinkerton si riaggancia al tema, ostentando l’ardimento della vita del marinaio, mai priva di allusioni sessuali («Affonda l’áncora / alla ventura…»), senza riuscire tuttavia a venire a capo della sua inconcludenza né ad argomentare le obiezioni di Sharpless («È un facile vangelo… / che fa la vita vaga / ma che intristisce il cor…»). L’aria si risolve per liquidazione: il maldestro tentativo di lirismo del luogotenente viene chiuso bruscamente dall’inno fortemente tonale, simbolo potente in cui il profittatore si identifica e che sugella l’amicizia dei due, che brindano all’eterna gloria dell’America.
Nel dialogo in versi sciolti a seguire la brevissima cantilena dalle sonorità orientaleggianti di Goro, che si limita a quantificare la bellezza di Butterfly valutandola per «sol 100 yen», viene interrotta da uno sgarbato intervento di Pinkerton che, preso dall’impazienza, chiede di condurre a lui la giovane ragazza – un residuo dell’arroganza presente nell’abbozzo originario di Illica, in cui i due americani si sarebbero dovuti rivolgere ai giapponesi chiamandoli “musi”. In tono confidenziale Sharpless, pur rivelando in seguito una maggiore umanità rispetto al luogotenente riguardo la sincerità dell’amore di Butterfly, si interessa al coinvolgimento emotivo di Pinkerton usando l’espressione gergale, o quantomeno lontana dall’eroismo della tragedia, «Quale smania vi prende! / Sareste addirittura / cotto?», alla quale il tenore non manca di rimarcare «Non so! Dipende / dal grado di cottura!».
Nell’illustrare le sue ragioni del cuore, nell’aria “Amore o Grillo” Pinkerton si adagia irrimediabilmente sul livello medio-basso del linguaggio, svelando la natura distruttiva del suo desiderio. La poca considerazione per la donna in quanto tale, solo velatamente accennata in “Dovunque al mondo” («La vita ei non appaga / se non fa suo tesor / i fiori d’ogni plaga…»), si trasforma in un vero e proprio sciovinismo sessuale. Seppure formalmente più strutturata, l’aria, musicalmente, suggerisce l’insensibilità e irresolutezza del luogotenente: l’accompagnamento dagli archi in pizzicato, in controtempo ma statici, sostengono il gesto melodico di una marcia e i crescendo o acuti vengono toccati solo quando la violenza si insinua nelle sue parole. L’aria del profittatore yankee, assalito dal «furor» di rincorrere la giovane Butterfly come fosse una preda, non ha direzione. Inoltre, la raffinata scelta stilistica di Giacosa di distici di quinari con assonanze e rime interne al verso, che strutturano il brano a mo’ di miniatura, nonché il diffuso uso di diminutivi («farfalletta», «grazietta», ecc.), non solo abbassano il livello del discorso ma rimandano all’artigianato e all’oggettistica tramite cui l’Occidente ha conosciuto l’Oriente – lo yankee, infatti, si riferisce a Butterfly come a una «figura da paravento». Le intenzioni di Pinkerton, ora apparentemente più convincenti, si sintetizzano tuttavia nella coincidenza del verso pensoso di Sharpless «Quella divina / mite vocina / non dovrebbe dar note di dolor» con quello violento del tenore «Non c’è gran male / s’io vo’ quell’ale / drizzar ai dolci voli dell’amor!». Ma si rivelano infondate: il luogotenente si ferma nuovamente per offrire da bere al console, brindando, stavolta, ad una «vera sposa americana».