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Sette appuntamenti per raccontare la Chigiana

di Redazione - 12 Settembre 2018

Sounding Times: le sonorità dei tempi, nel senso più ampio possibile, sono state il focus principale dell’edizione 2018 del Chigiana International Festival, uno degli appuntamenti musicali estivi più attesi e seguiti a livello internazionale.Le sale del Palazzo Chigi-Saracini, le navate delle chiese, così come i teatri, i chiostri e i cortili hanno trasformato la città di Siena in un organismo vivo e pulsante, il cui incessante battito cardiaco è stato scandito dagli innumerevoli concerti, eventi e conferenze che si sono susseguiti giorno dopo giorno.
I ragazzi di “Tell me Chigiana”, il workshop di storytelling digitale organizzato dall’Accademia, hanno seguito e raccontato il Festival, attraverso i social media con recensioni, cronache, guide all’ascolto ecc…
Anche quest’anno, come per la scorsa edizione, Quinte Parallele ospita piccoli assaggi di alcuni dei concerti più importanti della rassegna.

DA SANI A MESSIAEN VERSO LA FINE DEL TEMPO
Carlo Mezzalira

La relazione tra suono e tempo, tema portante dell’intero Chigiana International Festival 2018, ha caratterizzato anche la serata del 12 luglio, in occasione dell’esecuzione dei due quartetti da camera A time for the evening di Nicola Sani e Quatuor pour la fin du temps di Olivier Messiaen.
Il brano di Sani ha introdotto l’evento a una sala gremita di spettatori ma con ancora le luci accese, una soluzione “scenografica” che ha enfatizzato l’idea di imminenza della notte che sta alla base di quest’opera. Le luci si sono infatti abbassate con la chiusura del quartetto, al quale è seguito l’ingresso sul palco di Sandro Cappelletto, “voce narrante” per la seconda composizione.
La scelta di realizzare una drammaturgia rimanda proprio alla prima del Quatuor, quando lo stesso Messiaen lesse dei brevi testi per introdurre i movimenti del brano ai propri compagni di prigionia. Un gesto, quello di Cappelletto, che non solo ha omaggiato l’opera del compositore francese, ma l’ha svincolata dal contesto in cui è nata per renderla universale. La tecnica esecutiva è stata messa al servizio di un’elevata espressività drammatica, dagli episodi virtuosistici solisti, si pensi al terzo movimento padroneggiato da Yoshua Fortunato al clarinetto, alle sezioni più statiche come il duetto tra Anne Le Bozec e Alain Meunier, dove gli accordi del pianoforte, sempre più stridenti e dissonanti, hanno sorretto il tema struggente del violoncello composto da lunghe note “dolci e potenti”.
Questo lungo viaggio attraverso l’orrore, la desolazione e la fragilità umana è culminato con l’ottavo movimento da cui però è sorto il messaggio di speranza alla base del Quatuor, con gli acuti delicati del violino di Alessandro Mingrone che hanno condotto il pubblico nuovamente verso la luce.


IL TRIONFO DEL TEMPO E DEL DISINGANNO
Alma Mileto

Il 24 luglio, nello splendido Teatro dei Rozzi, gli allievi del Maestro William Matteuzzi e il famoso quintetto di musica antica ‘Il Rossignolo’ hanno messo in scena per il pubblico del Chigiana International Festival Il trionfo del tempo e del disinganno (Roma, 1707) del compositore tedesco G.F. Händel. Il tempo del maestoso oratorio di Händel è stato impastato con il tempo della Chigiana, la sua dimensione spaziale è stata rivoluzionata nell’intimità di un organico di strumentisti ridotto e nella selezione sullo spartito delle arie più celebri.
La contemporaneità del barocco sta nella sensualità delle sue forme. Tempo e Disinganno nell’opera di Händel sono entità tutt’altro che astratte, fanno corpo nel loro stratificarsi sulla superficie di uno ‘specchio delle brame’ in cui la protagonista ha paura di scorgere il suo riflesso. I due ‘cori in seno’ all’opera, il piacere di cogliere l’attimo e il pentimento dopo essere stati traditi dalla sua fuggevolezza, lottano fisicamente sul palco, in uno struggente svolgimento narrativo che si sgretola e si rinnova fino a tenere strette le spine “lasciando” al loro posto il fiore. Anche durante il concerto si è andati incontro consapevolmente ad una Verità che rende “il falso al falso e il vero al vero”. Non soltanto quella della sconfitta di Piacere, anche quella, autentica e vitale, di un’esecuzione che nasce nello stesso luogo in cui si sbroglia e si concede il suo tempo per “risolversi”. La musica è soprattutto questo: un tempo da concepire nelle sue genetiche slabbrature; un essere di continuo scalzati e rilanciati tra temporalità distanti: nella partitura, e fuori da essa.


20
th/21th CENTURY PERCUSSION
Antonella Manca

Sia esso mitico o primordiale, flusso quasi immobile o singolo attimo strappato alla vivacità del presente, il tempo, con il suo scorrere, si fa oggetto da manipolare per la costruzione di un nuovo universo espressivo, nelle mani delle avanguardie musicali a partire dalla seconda metà del ‘900. 20th/21th Century Percussion (S.Agostino, 26 luglio) ha raccontato il percorso di questa incessante ricerca attraverso la produzione di Stockhausen: dal primo esperimento di serialità integrale con Kreuzspiel, al riadattamento per vibrafono dell’appassionato dialogo tra Elu e Lufa che chiude l’atto II di Freitag aus Licht; dai primi passi verso un maggior coinvolgimento dell’interprete nel ricreare la partitura senza inizio né fine di Zyklus, alle parziali aperture verso le tecniche aleatorie in Refrain dove, mediante lo spostamento di una striscia di plastica posizionata sulle pagine a mo’ di lancetta d’orologio, prende forma l’opera. Per fare da cornice all’orizzonte sonoro del compositore tedesco – immenso, illuminato da brevi sprazzi di luce, a tratti quasi mistico – sono state scelte dal Maestro Caggiano per gli allievi del Chigiana Percussion Ensemble due pezzi che raccolgono l’eredità di Stockhausen, proiettandola, però, in due mondi profondamente distanti. Okho, di Xenakis, e Ostinato, di Battistelli, costituiscono un monito proprio per i movimenti d’avanguardia da cui hanno avuto origine: quell’orizzonte, che apparentemente poteva sembrare infinito, si rivela, in realtà, una linea di confine illusoria, oltre alla quale si nascondono altri mondi, forse in gran parte, inesplorati.  


ANTON GERZENBERG FRA SCHUMANN, STOCKHAUSEN E NONO
Federica Ciannella

La sera del 28 luglio, presso la Chiesa di Sant’Agostino, il ventiduenne pianista russo-tedesco Anton Gerzenberg ha incantato il pubblico del Chigiana International Festival con un programma variegato e trascinante, interamente dedicato al pianoforte – solo e con il live electronics a cura dei maestri Alvise Vidolin e Nicola Bernardini e dei loro allievi – dando prova di eccezionali capacità interpretative.
Come prendendoli per mano, Gerzenberg ha trascinati con sé gli ascoltatori in un viaggio misterioso e profondo conducendoli dalle terre incontaminate del mondo infantile, evocato dai tredici brani del ciclo poetico Kinderszenen Op.15 di Schumann, al delirio onirico di Lucifero del Klavierstucke XIII (Luzifers Traum) di Stockhausen. Nella seconda parte del concerto, infine, il viaggio è continuato passando dalle frasi stridenti ma malinconiche di ‘’…sofferte onde serene…’’ di Luigi Nono fino ai toni appassionati della prima sonata per pianoforte Op. 11 di Schumann. Così, se all’inizio e alla fine del concerto l’interprete ha proposto, con Schumann, brani che ben esprimono i due volti della tradizione romantica, quello più intimo e contenuto delle miniature pianistiche e quello più irruento e appassionato della sonata per pianoforte, nella parte centrale, approdando alle sonorità contemporanee di Stockhausen e Nono, lo strumento si è rivelato in vesti sicuramente più inconsuete. Nel Klavierstucke XIII il palco è divenuto lo scenario del susseguirsi rapsodico dei moti del sognare luciferino: Gerzenberg-Luzifer ha ‘’utilizzato’’ lo strumento tutto, non limitandosi alla sola tastiera ma percuotendolo e facendolo risuonare in ogni sua parte, integrando i suoni acustici e del live electronics con effetti sonori, vocali e scenici di grande impatto. Infine, con il brano di Nono il supporto del live electronics si è fatto ancora più incisivo: in un dialogo fra il pianoforte di Gerzenberg e una traccia registrata del celebre pianista, e amico del compositore, Maurizio Pollini (cui il brano è dedicato), la chiesa veniva pervasa da un amalgama di suoni acustici e elettronici intriso di malinconia e composta rassegnazione.


FROM BACH TO BRASIL

Armando Ianniello

L’1 e il 2 agosto il violoncellista brasiliano Antonio Meneses è stato protagonista al Chigiana International Festival in un doppio appuntamento musicale la cui peculiarità è stata riposta nell’esecuzione delle sei Suites per violoncello solo di Johann Sebastian Bach alternate a brani di compositori brasiliani, conterranei di Meneses. La prima sera il violoncellista spiega che le sei suite verranno eseguite su un violoncello dei nostri giorni ma accordato in 415 Hz, mentre i brani contemporanei saranno catapultati nel passato per mezzo di un violoncello accordato in 440 Hz, ma costruito all’epoca di Bach. Il viaggio nel tempo comincia con Etius Melos (Hommage à Bach) di Ronaldo Miranda. Le Suite dispari del corpus bachiano si alternano con Preambulum di Josè Almeida Prado e Preludiando di Marisa Rezene. Il 2 agosto Meneses guida la sua macchina del tempo avviando il motore con Cantoria op. 100 di Marios Nobre. Tra le proposte contemporanee si distingue il lavoro di Edino Krieger Pequena Seresta para Bach impiegato da Meneses come brano introduttivo della Suite n. 4 in mi bemolle maggiore. La scelta appare quanto mai coerente per l’adozione della tecnica di scrittura contrappuntistica che Krieger, su indicazione di Meneses, decide di impiegare per evidenziare il principio di scrittura contrappuntistica alla base di tutte le opere strumentali di Bach. Questa scelta viene ad essere il fulcro attorno al quale Meneses dà vita a Suites Brasileiras miscelando i colori nostalgici della saudade con la ricchezza musicale tipica dello stile barocco di cui Bach è esponente.


CHIGIANA MEETS SIENA JAZZ
Ilaria Rossi

Musica condivisa: è stato questo il filo conduttore del concerto del 3 Agosto alla Chiesa di Sant’Agostino. Ancora una volta l’Accademia Chigiana e la Siena Jazz University hanno dato vita a un dialogo in suoni, quest’anno completamente dedicato ai ritmi d’oltreoceano di Leonard Bernstein – del quale ricorre il centenario dalla nascita – e di George Gershwin. L’atmosfera di contaminazione tra pronunce musicali differenti era evidente già a partire dalle Symphonic Dances from West Side Story (1961), dove i ragazzi del Chigiana Percussion Ensemble e della SJU Orchestra, con l’Orchestra dei Conservatori della Toscana, si sono cimentati nel “jazz scritto”: dagli schiocchi di dita, dagli sguardi complici e dal gesto che quasi si tramuta in ballo, traspariva tutta la passione di chi si inoltra in territori linguistici nuovi, non previsti nella propria formazione, e li restituisce al pubblico con spontanea e rinnovata energia. Dopo i Prelude, Fugue and Riffs l’itinerario sonoro si è allontanato dalla musica “da leggere” per approdare a spazi più propriamente improvvisativi: i tre Preludes di Gershwin intervallati a tre celebri songs che narrano l’amore – “Our love is here to stay”, “I Loves You, Porgy” dal musical Porgy and Bess e “The man I love” – ri-arrangiate per l’occasione. L’intesa musicale che s’era creata in breve tempo in formazioni pur così eterogenee ha restituito nel corso della serata quell’idea di incontro col diverso che arricchisce e apre orizzonti di senso, offrendo occasioni preziose per i giovani musicisti di domani: “Siena suona bene, Siena suona giovane!”.

IL TRIO TRE VOCI E IL SUONO MISTICO DELL’ETERNITÀ
Silvia d’Anzelmo

È l’imbrunire e il caldo del giorno si placa per lasciare spazio alla frescura della sera. Ad accoglierci è il Chiostro di Torri con le sue arcate sostenute da esili colonnette e capitelli in stile romanico fatti di pietra scolpita in motivi geometrici o vegetali, materiale che nasconde nella semplicità una forza primordiale. Un luogo prezioso dove è ancora possibile percepire l’unione del tempo umano con l’eternità. Il perfetto scenario per ascoltare il Trio Tre Voci composto dalla viola di Kim Kashkashian, il flauto di Marina Piccinini e dall’arpa di Sivan Magen: un organico che richiama alla mente il suono di antichi riti, comuni all’intera umanità, come il programma scelto per il concerto del Chigiana International Festival del 7 agosto. Dalla bellezza salvifica di Debussy alla sacralità della natura di Takemitsu, passando per Prokofiev, Hosokawa e Ravel. Suoni e silenzio diventano un flusso continuo tra le mani dei tre musicisti tanto da avere l’impressione di esperire un tempo che non si svolge ma che si rigenera continuamente. I tre dimostrano una grande sintonia, sono i diversi componenti di un unico discorso. Tutto è perfettamente eseguito: dalla tranquillità alla tensione che percorre le corde degli strumenti e l’emissione del flauto che, alle volte, si fa volutamente nervosa. Un concerto che diventa un vero e proprio rito sacro e si conclude con il caloroso applauso del pubblico.

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