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Le sette ultime parole di Cristo in croce di Haydn

di Matteo Macinanti - 25 Marzo 2016

“Circa quindici anni fa mi fu chiesto da un canonico di Cadice di comporre della musica per le ultime sette Parole del Nostro Salvatore sulla croce. Nella cattedrale di Cadice era tradizione produrre ogni anno un oratorio per la Quaresima, in cui la musica doveva tener conto delle seguenti circostanze. I muri, le finestre, i pilastri della chiesa erano ricoperti di drappi neri e solo una grande lampada che pendeva dal centro del soffitto rompeva quella solenne oscurità. A mezzogiorno le porte venivano chiuse e aveva inizio la cerimonia. Dopo una breve funzione il vescovo saliva sul pulpito e pronunciava la prima delle sette parole (o frasi) tenendo un discorso su di essa. Dopo di che scendeva dal pulpito e si prosternava davanti all’altare. Questo intervallo di tempo era riempito dalla musica. Allo stesso modo il vescovo pronunciava poi la seconda parola, poi la terza e così via, e la musica seguiva al termine ogni discorso. La musica da me composta dovette adattarsi a queste circostanze e non fu facile scrivere sette Adagi di dieci minuti l’uno senza annoiare gli ascoltatori: a dire il vero mi fu quasi impossibile rispettare i limiti stabiliti”.

Basterebbero queste poche righe, inviate dallo stesso Haydn all’editore Breitkopf & Härtel nel 1801, per comprendere il contesto che ha permesso la creazione di questo capolavoro. Va premesso sin da subito che la composizione, della quale ci proponiamo di presentare una guida all’ascolto, è ascritta nel numero delle opere che più hanno impresso la loro orma nella storia dell’Occidente musicale.

Nel 1766 Haydn era stato nominato Kapellmeister dell’orchestra che suonava per la corte dei principi Esterházy, famiglia ricca e potente di provenienza ungherese. Questi ultimi avevano spostato la loro residenza da Eisenstadt in una reggia fatta costruire dal principe Nikolaus in un luogo della puszta ungherese denominato successivamente EsterházaNonostante si trovasse in un luogo isolato e poco ospitale, Haydn, a capo della sua piccola orchestra, ebbe modo di attendere alle richieste del suo signore, il principe Nikolaus, arrivando a toccare trasversalmente un gran numero di generi musicali: musica sacra, d’intrattenimento, per il teatro, ecc. Oltre alle richieste del principe, ad Haydn vennero affidate delle richieste di composizioni provenienti da tutta Europa. Tra di queste, una spicca in modo particolare: la commissione del 1786 che richiese un canonico spagnolo appartenente alla diocesi di Cadice, don José Sáenz de Santa María.

Il risultato di questa commissione prese il nome di “Musica instrumentale sopra le 7 ultime parole del nostro Redentore in croce ovvero Sette Sonate con una introduzione ed alla fine un Terremoto”.

In particolare, Haydn scrisse sette sonate per orchestra per ognuna delle sette ultime parole, alle quali premise un’introduzione e aggiunse, a mo’ di explicit, un ultimo movimento intitolato Terremoto, ispirato al racconto evangelico della morte di Cristo. La versione originale prevedeva un organico orchestrale piuttosto contenuto (2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi), ma ben presto lo stesso Haydn si premurò di preparare altre trascrizioni (per quartetto d’archi, per coro e orchestra in forma di oratorio ed infine una versione per pianoforte solo, non scritta direttamente da Haydn, ma approvata lui vivo).

Prima di analizzare ogni singola sonata, sarà bene soffermarsi sull’importanza e centralità di questa composizione all’interno della produzione haydniana. In primo luogo bisogna sottolineare che fu proprio con quest’opera che la fama del compositore austriaco si estese in tutta Europa,  innalzandolo così al grado di “compositore ufficiale” di un’intera epoca. La grandezza di questa musica, tuttavia, non risiede tanto nella sua accoglienza, positiva o meno, presso gli ascoltatori del suo tempo, bensì nel fatto che essa si possa definire un’opera fondante un’epoca nuova, che sarà poi quella del suo allievo Beethoven.

Queste innovazioni che stiamo introducendo sono da inserire in un momento della vita di Haydn in cui il compositore sperimenta nuove soluzioni sul rapporto parola-musica. La questione, apparentemente marginale, acquista la dovuta importanza nel momento in cui viene messa alla luce del contesto culturale, e in particolare musicale, del secondo Settecento. Dopo le ricerche in campo musicale dell’organista ferrarese Girolamo Frescobaldi, il quale aveva già cercato di tradurre nella musica strumentale i risultati ottenuti da Monteverdi in quella vocale, Haydn si prodigò per far sì che il linguaggio strumentale potesse arrivare ad avere la stessa pregnanza della quale godeva, e aveva sempre goduto, la musica verbale/vocale. In tal modo Haydn pose le basi del futuro stile classico, all’interno del quale, per la prima volta, acquisterà maggiore priorità e preponderanza la musica strumentale.

Per arrivare a tale risultato il lavoro del compositore austriaco s’incentrò sulla traduzione in musica, puramente strumentale, del materiale verbale. Difatti ognuno degli incipit delle sette sonate si configura come la traslitterazione musicale della sillabazione delle sette “parole” latine:



Introduzione
    Maestoso e adagio

Sin dalle prime battute l’ascoltatore ha la sensazione di immergersi in una musica alta, elevata. È proprio l’innalzamento la parola-chiave di questo primo movimento, e questa elevazione, tanto musicale quanto concettuale, la si può riscontare nel movimento ascendente che domina questa pagina. L’abbiamo chiamata concettuale non solo perché permette all’ascoltatore di rendersi cosciente di essere davanti a qualcosa di sommo, ma anche perché non risulta difficile trovare una similitudine tra l’innalzamento climatico della musica e l’innalzamento del legno della Croce, preludio agli ultimi istanti della vita terrena di Gesù.

È in questo primo movimento che vengono resi noti i procedimenti stilistici e tecnici che permeano l’intera composizione:  i cromatismi per esprimere il dolore luttuoso, i silenzi eloquenti generati dalle pause, le dissonanze poste sugli sforzati (delle vere e proprie ferite al discorso musicale stanti a rappresentare un altro tipo di ferite, quelle inferte al corpo martoriato di Cristo), le brusche elisioni nel passaggio da una tonalità all’altra. Ma l’altro asse da cui scaturisce questa Introduzione è il contrasto tra i temi, tra i piano e forte, tra le tonalità (da Re minore arriviamo alla tonalità lontana di Re bemolle maggiore). Questo genere di contrasto ben si adatta all’evento nel quale stiamo per essere introdotti, dal momento che il discorso musicale riflette idealmente il paradosso che è alla base della stessa Passione: la Morte come preludio alla vera Vita.

Prima di passare alla Sonata I, non si può fare a meno di evidenziare una curiosa somiglianza che lega quest’opera capitale con un’altra altrettanto importante: Il Don Giovanni di Mozart. Nello stesso periodo in cui Haydn sta concependo questa musica, a suo dire la sua preferita, Mozart sta lavorando infatti alla composizione del Don Giovanni, un’opera all’interno della quale assistiamo all’entrata del mondo ultraterreno e soprannaturale nella vita quotidiana di alcuni personaggi, provenienti dai ceti sociali più diversi. Questi ultimi subiscono la tracotanza di un unico personaggio, Don Giovanni, per il quale l’unico limite alla sua efferatezza risulta essere solamente l’intervento delle forze ctonie.

L’ouverture dell’opera mozartiana si apre con due accordi maestosi e allo stesso tempo tremendi e orrorifici, che riascolteremo solo una volta, ossia nel Finale e in particolare nel momento in cui la Statua del Commendatore, venendo a portare la redenzione allo scapestrato seduttore di donne, entra nella sala dove Don Giovanni sta conducendo la sua vita dissoluta. Ebbene, come nel Don Giovanni (Ouverture e finale) questi due accordi hanno la funzione di spalancare in modo subitaneo nella quotidianità dei piccoli fatterelli un mondo sovrannaturale, così anche ne “le sette ultime parole di Cristo in croce” i due accordi iniziali hanno il compito di aprire all’ascoltatore/fedele, immerso nella realtà di tutti i giorni, una dimensione superiore, trascendente. Come potremo vedere in seguito, un punto fondamentale della presente composizione sarà proprio l’unione del mondo celeste e trascendente con quello terreno; una doppia natura che riflette quella del protagonista assoluto della vicenda: l’Uomo-Dio.


Sonata I Pater, dimitte illis, quia nesciunt, quid faciunt” – Largo

Nella prima sonata viene presentata un’ulteriore cifra stilistica dell’intera composizione: all’atmosfera solenne e tremenda dell’Introduzione, segue qui un clima di serena fiducia, quella nei confronti del Padre che accompagna il Figlio di Dio nel suo calvario. Haydn infatti sceglie di descrivere la frase che Gesù, ripetendo più volte, indirizzava al Padre (“perdonali perché non sanno quello che fanno”) in una tonalità di modo maggiore, il Si bemolle, che a tutta prima cozza con la realtà alla quale si riferisce ma che, come abbiamo già avuto modo di spiegare, sta a simboleggiare un senso profondo, sotteso all’evento della Crocifissione, di filiale abbandono.

L’esposizione iniziale di questo movimento presenta una melodia dolce, la cui costruzione è la risultante di quel lavoro di traslitterazione che abbiamo indicato sopra: la progressione di un intervallo di quinta discendente (pa-ter, pa-ter) richiama proprio un’invocazione crescente verso l’alto, sconvolgente ma allo stesso tempo nobile. La stessa frase melodica si chiude in modo sereno laddove si fa riferimento alla mancanza di consapevolezza dei carnefici in rapporto al misfatto che si apprestano a compiere. Questa primo tema verrà poi sostituito da un altro, dal sapore più supplichevole che subirà delle elaborazioni motiviche e che fungerà, insieme alla prima frase, come cellula generatrice dell’intera sonata iniziale. Ultimo protagonista di questo movimento risulta essere l’andamento dei bassi con il loro pedale ostinato che funge da cornice per lo sviluppo e le modulazioni dei materiali presi dai primi due temi.



Sonata II
  “Hodie mecum eris in Paradiso”Grave e cantabile

L’episodio dell’ultimo colloquio di Cristo con un uomo, il buon ladrone, viene presentato con l’indicazione “grave e cantabile”. Ritorniamo in una tonalità minore, e anche qui possiamo ascoltare un accompagnamento alla melodia incessante e massiccio, portato avanti dagli strumenti di registro basso come fagotti e corni. Il primo tema viene poi trasfigurato e ci viene presentato successivamente completamente rinnovato non solo nella tonalità, da minore a maggiore, ma anche  nell’accompagnamento, realizzato questa volta da un cullante basso albertino. La successiva ripresa del primo tema in minore avviene senza la sezione di sviluppo, ma anche questa volta, ad avere l’ultima parola è il secondo tema, cantabile e delicato, che viene presentato nella tonalità di Do maggiore, una sorta di Paradiso musicale, identico a quello promesso da Gesù al ladrone. Nella coda finale compare ancora il contrasto, o meglio dialogo, tra le due componenti della sezione in questione che si rivelano essere i due interlocutori originali: Cristo e il ladrone.



Sonata III
  “Mulier, ecce filius tuus” – Grave

Siamo di fronte ad una delle sonate più belle, quella in cui entra in scena Maria, la madre del Salvatore. La tonalità d’impianto è il Mi maggiore, la tonalità preferita da Haydn. La sonata viene introdotta da tre accordi solenni e liturgici che preludono al primo tema. Quest’ultimo presenta un andamento melodico che ricorda il “Pater, pater” della prima sonata; mentre nel caso precedente il vocativo era un ascendente grido sereno rivolto verso l’alto al Padre, questa volta Cristo si rivolge alla Madre: è per questo che abbiamo  in questo frangente un clima più raccolto e contenuto in cui il nome “Mater” è presentato con una progressione stavolta discendente e più intimistica indirizzata ai piedi della Croce, dove sono presenti Maria e il discepolo Giovanni. Questa melodia verrà sottoposta in seguito ad un processo di elaborazione per il quale il tema principale attraverserà trasversalmente tutti i registri. Un nuovo episodio alla fine della sezione espositiva presenta un’apertura dell’oboe che conduce alla sezione di sviluppo.

Anche qui si possono ritrovare gli elementi costitutivi succitati: sforzati, cromatismi ed elisioni alle quali si aggiunge l’espansione polifonica imitativa che permette di ascoltare la melodia nelle varie sezioni dell’orchestra.


Sonata IV   Deus meus, Deus meus, utquid dereliquisti me?” – Largo

Veniamo ricondotti immantinente in un’atmosfera tragicamente solenne. Questa sonata in Fa minore è la traduzione in musica del momento della Passione in cui il Figlio di Dio rivolge al Padre il grido “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Anche qui il contrasto è la linea guida che determina il movimento: il tema iniziale viene presentato in modo tragico ma, come già era avvenuto precedentemente, verrà trasformato in una tonalità maggiore, di sereno abbandono. Viene presentato poi un episodio affidato al violino primo a mo’ di cadenza solistica che presenta un’immagine molto icastica del clima di solitudine che caratterizza il movimento in questione e che si presenterà più volte nel corso della sonata, in un crescendo di drammaticità. Ad arricchire il discorso musicale intervengono qui elementi sincopati e anticipazioni degli accenti forti sul battere che creano una sorta di sfasamento del discorso musicale, ai quali vengono aggiunte delle pause pregnanti di significato. Tutto ciò permette all’ascoltatore di immergersi in un mistero immenso: l’invocazione  alla quale non segue risposta di un figlio al padre.



Sonata V
  “Sitio”  Adagio

Sitio. “Ho sete”. Con queste due uniche sillabe Haydn crea una delle più belle sonate dell’insieme. Il movimento inizia con un accordo sul fortissimo che subisce subitamente un processo di svuotamento. Mentre nello spazio risuona ancora l’eco di questo primo accordo, sentiamo farsi timidamente avanti gli archi pizzicati i quali presentano un accompagnamento delicato che sta a simboleggiare il ticchettio della pioggia e la fresca vitalità di una polla d’acqua, l’elemento protagonista della sonata. Precedentemente parlavamo di come Haydn in quest’opera riesca egregiamente nel connubio tra il mondo terreno e il mondo trascendentale: è proprio con la scelta di un’ ipotiposi, ossia un’immagine particolarmente ben riuscita, appartenente al mondo materiale, com’è quella dell’acqua che zampilla e che piove dal cielo, che il nostro compositore sceglie di rappresentare l’esclamazione, umanissima, di Gesù. Su questo ricamo nei bassi viene presentato il tema principale, composto di due sole note, che finirà per diventare la cellula generatrice dell’intero movimento.

Un brusco cambio di atmosfera, fatto di note ribattute, fa piombare l’ascoltatore nella tragicità del movimento richiamando il dolore di un corpo martoriato e disidratato. Anche questa volta il presente episodio è un momento di passaggio e non un punto d’arrivo, dal momento che conduce nuovamente all’idea dell’invocazione costituita dal tema di due note con l’accompagnamento delle note ribattute. In questa sonata troviamo un ulteriore procedimento stilistico: Haydn giocando sui chiaro-scuri musicali porta talvolta il discorso musicale ad un massimo livello di esasperazione drammatica al quale però segue, senza soluzione di continuità, un momento di rarefazione ed eterea sospensione in cui esce il carattere meditativo alla base dell’opera.



Sonata VI
  “Consummatum est” – Lento

Una formula d’apertura di sole cinque note (“con-sum-ma-tum est”) introduce la penultima sonata. Haydn si serve qui di un cliché per aprire la sonata: un giro cadenzale, di largo uso al suo tempo, che richiama, anch’esso, certe sonorità ultraterrene proprie del Don Giovanni mozartiano. Questo materiale di cinque note verrà poi impiegato in senso contrappuntistico andando a costituire in tal modo l’ossatura del brano. L’ascoltatore potrà infatti notare che questa breve successione di cinque note attraversa tutti i registri dell’orchestra: da quello alto fino a quello basso di accompagnamento. Questa trasformazione di semplici materiali sarà in seguito una vera propria caratteristica del cosiddetto stile classico, del quale Haydn ne è sicuramente il progenitore (basti pensare alla V Sinfonia di Beethoven, dove l’intero primo movimento è  costruito tutto su un’unica successione di quattro note). Tutto è compiuto”: ci avviamo ormai verso la conclusione di questa “musica instrumentale”.



Sonata VII
  “In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum” – Largo

Siamo arrivati all’ultima delle sette “parole” di Cristo in croce. Ancora una volta la musica a prima vista sembrerebbe essere slegata dal contesto reale per il quale è stata scritta; siamo alle ultime battute, Cristo nell’atto di riconsegnare lo Spirito al Padre compie l’estremo atto di affidamento: il carattere della musica qui non ha  più la carica drammatica che abbiamo avuto modo di ascoltare precedentemente, bensì ha un andamento quasi solenne e trionfante. Eccoci ancora una volta alle prese col paradosso: la morte di un uomo arriva ad acquistare la valenza di una vittorioso trionfo. L’esitante ed estrema esalazione viene suggerita da un andamento cadenzante affidato ai violini primi mentre la musica va spegnendosi sempre più, non prima però di aver presentato un ultima citazione: l’ultimo micro-movimento melodico presentato è costituito da due sole note, le stesse che, come abbiamo già detto, legavano il “Pater” della prima Sonata con il “Mater” della Sonata III. Cristo qui non è più l’eroico trionfatore della Morte bensì un Figlio che aderisce incondizionatamente alla volontà, oscura e paradossale, del Padre.



Terremoto

Presto e con tutta la forza “E Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!” (Mt 27,50-54)

Con questo Finale arriviamo all’apoteosi del contrasto: l’ultima sonata si era flebilmente spenta su un sereno accordo ed ora con tre violentissime sferzate di note (chiamate in gergo tecnico schleifer) veniamo catapultati in un clima drammatico portato al parossismo. Lo sconvolgimento della Natura che partecipa in prima persona all’evento della morte del suo Creatore viene resa palpabile dall’aggiunta nell’organico orchestrale di trombe e timpani. La potenza evocatrice della musica inoltre viene accentuata da una vera e propria rottura del linguaggio musicale: il ritmo si spezza, diventa imprevedibile e arriva a raggiungere soluzioni ardite e assolutamente innovative. Haydn arriva addirittura a scomodare la poliritmia, ossia la coesistenza simultanea di due ritmi diversi: mentre l’andamento dei violini è in due, l’orchestra fa da contrappunto con un ritmo ternario. A ciò si assommeranno ulteriori ritmi irregolari, dissonanze, tremoli e trilli velocissimi, note accentate e ribattute la cui dinamica viene indicata per prima volta fff (fortissimissimo). Possiamo affermare con certezza che questa musica terrificante abbia avuto un impatto fortissimo sulle orecchie degli ascoltatori di fine ‘700 non ancora abituati alle grandi sonorità del Romanticismo e del successivo ‘900. Certo è, però, che questa musica arriva a smuovere e a scuotere anche l’ascoltatore dei nostri tempi proprio per la potenza sconvolgente che riesce ad evocare. Si può dire, senza retorica, che quest’ultima sezione abbia proprio l’intento di scuotere l’ascoltatore per rammentargli di essere dinnanzi ad un evento fondamentale: la vicenda di un Uomo che ha diviso la Storia in due parti.

Matteo Macinanti

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