Max Bruch, lo scozzese
di Michela Marchiana - 6 Gennaio 2017
Già in passato ci eravamo occupati di Max Bruch e del suo concerto per violino e orchestra in Sol Minore Op. 26.
Compositore e direttore d’orchestra nato a Colonia nel 1838, compose il primo brano musicale all’età di 9 anni come regalo alla madre per il suo compleanno. Le prime lezioni di musica gli furono impartite dal pianista e compositore Ferdinand Hiller, a cui Robert Schumann dedicò il suo concerto per pianoforte e orchestra in La Minore Op. 54.
Ebbe una grande e importante carriera come insegnante (ebbe come allievi di composizione, tra gli altri, Ottorino Respighi e Ralph Vaughan Williams alla Berlin Hochschule für Musik, dove insegnò fino al 1910) e nel ruolo di insegnante, compositore e direttore d’orchestra girò le più importanti città tedesche come Mannheim, Coblenza, Sondershausen, Berlino e la già famosa Bonn. Dopo una vita tranquilla e senza le pene interiori tipiche del Romanticismo e che spesso scaturiscono dalle sue composizioni, Max Bruch si spense a Berlino nel 1920.
Esponente del Romanticismo musicale, si attenne alle idee più conservatrici dello stile compositivo ispirandosi ad una delle colonne portanti di questo movimento, cioè Felix Mendelssohn, tenendosi lontano da quelle che sarebbero state vere e proprie svolte e rivoluzioni nel mondo della musica grazie a signori come Franz Liszt, Johannes Brahms e Richard Wagner.
Essendo ben saldo nel suo pensiero compose, in linea con il Romanticismo, facendo attenzione al folklore e alle nuove e riscoperte identità popolari e nazionali, senza però dimenticare la ormai (o meglio, la “di nuovo”) centrale dimensione spirituale e religiosa.
Per il lato del folklore e del nazionalismo non si può non parlare della sua Fantasia Scozzese op. 46. In una lettera al suo editore Franz Simrok, Bruch spiega che il termine “Fantasia” per questa composizione non è totalmente pertinente perché la “fantasia” è un pezzo piuttosto breve e di solito non si riferisce a un pezzo con più movimenti. Tuttavia essendo qui i movimenti (che sono quattro, diversamente dalla solita forma dei concerti) collegati e legati da un filo rosso, che è l’inserimento di tipici canti popolari scozzesi, il nome “fantasia” sembrava più appropriato rispetto a “concerto”. Inoltre, con un sorriso sulle labbra, si potrebbe pensare, non considerando per un attimo Bruch un compositore ma una persona, un essere umano, sognatore come tanti e convinto di nuovi e idealizzati concetti romantici, che abbia usato il termine “fantasia” perché pensando alla Scozia, le note che ha composto, basandosi su famosi Inni popolari, siano state frutto della sua immaginazione, del suo estro artistico, insomma, della sua fantasia. Tutto ciò perché, strano ma vero, Bruch non ebbe occasione di visitare la Scozia di persona se non qualche anno dopo aver composto la Fantasia, ma la vide sempre come una terra magica e incantevole grazie ai numerosi poeti e scrittori, come Walter Scott, ed ebbe modo di conoscerne le tradizioni e i canti popolari grazie a James Johnson e alla sua raccolta di canti popolari scozzesi “The Scots Musical Museum”.
Il titolo originale è “Fantasia per violino e orchestra e arpa facendo libero uso di melodie popolari scozzesi”, titolo che indica l’importanza prominente dell’arpa, che secondo Bruch era lo strumento che rappresentava al meglio la tradizione scozzese. Infatti, ascoltando la Fantasia, in alcuni momenti si potrebbe pensare a due strumenti solisti, il violino e l’arpa, o comunque a tre diversi livelli di importanza nella gerarchia orchestrale: il violino protagonista, che dialoga con il coprotagonista che è per l’appunto l’arpa, con l’orchestra che fa da sfondo e da riempimento.
Analizzando la Fantasia si nota una diversità e originalità nella composizione rispetto agli altri lavori di Bruch.
Il compositore tedesco si era sempre concentrato sull’aspetto melodico degli strumenti, e addirittura, per quanto riguarda il violino, aveva affermato che poteva “cantare una melodia meglio di un pianoforte”; ed è proprio questo preferire la melodia rispetto al virtuosismo che lo aveva fatto allontanare dai nuovi protagonisti della musica come Liszt e Wagner e che lo ha inserito in quella categoria di compositori non troppo apprezzati e dimenticati dell’epoca.
La Fantasia comunque, come si è accennato, rappresenta un’eccezione. Pur mantenendo momenti di canto, in cui la melodia prevale nella scena, come fosse un’aria d’opera, non mancano, anzi sono piuttosto frequenti, passaggi di grande virtuosismo e conseguentemente di grande difficoltà tecnica, come doppie corde, trilli, arpeggi, complessi colpi d’arco e passaggi ritmicamente veloci per mostrare le abilità tecniche del solista.
Nel dettaglio il primo movimento è costruito sopra il canto “Auld Rob Morris”, un canto nostalgico che richiama alla memoria il passato. Stando a lettere e memorie di Bruch e di alcuni suoi amici, il Grave iniziale (con indicazione in partitura “Quasi recitativo“) rappresenterebbe un menestrello che contemplando le rovine della sua terra natìa ne ricorda i momenti di gloria e splendore, dando così vita al successivo “Adagio cantabile”.
Il secondo movimento (Allegro) è basato sul canto “Hey Dusty Miller”, una forma di danza con ritmo ternario.
Questo movimento è, insieme al quarto, il più virtuosistico per via del tempo di esecuzione, che deve essere piuttosto veloce. Dopo una breve introduzione inizia la vera e propria danza che appoggiandosi ad accordi di quinte ripetuti danno una chiara idea del concetto di musica folkloristica.
Il terzo movimento è un Andante sostenuto basato sull’aria ““I’m a-Doun for Lack o’ Johnnie” e potrebbe essere considerato un tema con variazioni, variazioni che mettono in risalto, ancora una volta, l’aspetto virtuosistico dell’esecutore, senza però mettere da parte la trascinante melodia.
L’ultimo ed energico quarto movimento è un Allegro guerriero. Curioso il termine “guerriero”, inserito perché il canto popolare usato dal compositore è “Hey Tuttie Tatie” che, secondo una leggenda, venne cantato per la prima volta da Roberto I Bruce di Scozia nella Battaglia di Bannockburn del 1314, che fu una vittoria decisiva per la Scozia all’interno della prima guerra di indipendenza scozzese, che di fatto nel 1328 ottenne l’indipendenza dall’Inghilterra. Lo stesso inno tra l’altro venne usato da Robert Burns nel 1793 per scrivere “Scots Wha Hae” che è un inno nazionale, non ufficiale, ma impregnato di un forte nazionalismo. In Bruch questo canto viene reso dal violino in modo molto elaborato, inserendo complicate doppie corde e “orpelli” di note molto veloci arpeggiate, sempre accompagnate soprattutto dall’arpa, mentre quando i due protagonisti si riposano l’orchestra ha il compito di mantenere il clima caldo ed energico o anche di tranquillizzarlo per staccarsi un momento dalla battaglia e volgere il pensiero a tempi di pace, senza però distrarsi troppo a lungo.
La composizione fu dedicata al violinista Pablo de Sarasate, ma fu studiata e suonata la prima volta dall’immancabile Joseph Joachim a Liverpool nel 1881.
Michela Marchiana