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Corrispondenze tra un compositore e un musicologo

di Emanuele Franceschetti - 22 Gennaio 2021

«Les couleurs et les sons se répondent»: così dichiara Baudelaire nella celebre poesia Correspondances. È proprio a partire da questa citazione che prende il via un’altra corrispondenza – in questo caso epistolare – tra due importanti personaggi della scena musicale: un compositore, Andrea Liberovici, e un musicologo, Gianfranco Vinay.

Quella di Andrea Liberovici è una storia ricca di storie. E di geografie, incontri, incroci, esperimenti, contaminazioni di forme, stili e linguaggi. È necessario, per avvicinarsi alla sua vicenda biografica creativa, tenere a mente il terreno fertile su cui si innestano le sue radici: Andrea è figlio di Sergio Liberovici (1930-1991; compositore eclettico e ‘militante’, studioso, didatta e divulgatore) e della cantante Margherita ‘Margot’ Galante Garrone (1941-2017; anche lei membro, come Sergio, del gruppo Cantacronache, e fondatrice del ‘Gran Teatrino La Fede delle Femmine’). Il compianto musicologo e intellettuale Giovanni Morelli (1942-2011), inoltre, accompagna e nutre la radice di Andrea, che si forma così – a sua stessa detta – sotto l’egida di una ‘doppia’ luminosa paternità; e che proprio della città lagunare farà il suo prescelto spazio sonoro ed umano, domestico e creativo.
Andrea Liberovici, fin da giovanissimo, è onnivoro e curioso. Studia nei Conservatori di Torino e Venezia, approfondisce il canto con Cathy Berberian, e realizza i suoi primi lavori da ‘cantautore’ audace e provocatore, mostrando fin da subito il suo plurilinguismo e la sua reticenza alle ‘gabbie’ dei generi e delle strade già battute. Grazie all’incontro (che Liberovici stesso definisce cruciale e fortunato) con Edoardo Sanguineti, nel 1996, fonda ‘il teatro del suono’, maturando con sempre maggior convinzione la propria vocazione teatro, che si realizza – de facto – come una vocazione all’ ‘altro da sé’, alla relazione (tra individui, forme e linguaggi), all’attraversamento. Uno sguardo attento alla sua produzione musical-teatrale e alle sue collaborazioni non può che confermare la densità di tali traiettorie, oltre che (e di questo, credo, Liberovici sarebbe più che contento) la difficoltà di inquadrarlo attraverso una definizione univoca e bastevole: dalla “rapsodia onirica” («Il Gazzettino») di Rap (1996), realizzato con Edoardo Sanguineti per offrire una ‘pulsione anarchica’ (Sanguineti) all’incontro tra poesia e musica, all’ “opera mosaico” Trilogy in two, in cui Liberovici (autore del testo, delle musiche, del video e della regia) reinventa e camuffa Faust, il grande archetipo della cultura europea.
Per intendere e raccontare l’esperienza creativa di Liberovici occorre maneggiare con cura il panorama furibondo e appassionante dei linguaggi artistici contemporanei, sempre più desiderosi di rimescolare i propri codici genetici e i propri piani espressivi, sull’onda lunga di una tradizione ‘multimediale’ e ‘trans-disciplinare’ che affonda le proprie radici nel Novecento delle avanguardie e delle sperimentazioni. È (anche) per questo che la possibilità di far ‘risuonare’ l’opera di Liberovici attraverso uno scambio ‘quasi epistolare’ permette ai lettori, agli spettatori e agli ascoltatori di assistere, in real time, ad un’esperienza di ‘ricezione’ completamente epurata dai rigori del discorso critico ed accademico.

Questa è d’altronde una peculiarità dell’altro protagonista, il musicologo di chiara fama Gianfranco Vinay. Forte della sua lunga esperienza da didatta – prima al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino e successivamente a Parigi presso l’Ircam/CNRS e l’Università Paris8 – Vinay ha sempre saputo proporre i risultati della sua ricerca scientifica in un modo accessibile, perfino avvincente. Basti pensare alle sue ‘capitali’ monografie su Charles Ives o su Igor Stravinsky (fondamentale il suo Stravinsky Neoclassico. L’invenzione della memoria nel ‘900 musicale, Venezia, Marsilio, 1987). Studioso poliedrico e insaziabile ricercatore, Vinay ha saputo fendere con il suo occhio indagatore tanto i capolavori quanto le opere minori del secolo scorso, spaziando con facilità dal jazz ai Balletti Russi. Non solo il Novecento: Gianfranco Vinay è anche un lettore esperto delle musiche del presente, come testimoniano i suoi approfondimenti sul rapporto contemporaneo tra musica e danza e gli studi su Salvatore Sciarrino. L’ampio spettro degli interessi in campo musicale e lo stile per nulla inamidato ma sempre fresco fanno di Vinay l’interlocutore più vicino e congeniale a trattare le composizioni di Liberovici.

Nel carteggio tra Liberovici e Vinay sarà possibile curiosare – con un po’ di sano voyeurismo, why not? – tra le pieghe di un’amicizia ricca di materiali e memorie, di curiosità e tentativi di interpretazione. A tal fine, la forma dialogica dello scambio epistolare, purtroppo sempre meno praticato, ci porta indietro ad un mondo in cui il canale di comunicazione tra l’autore e il critico era ben più attivo e fonte di numerosi stimoli e impulsi artistici. Solo apparentemente d’altri tempi, crediamo che il carteggio possa abitare perfettamente anche il presente e il futuro dell’esperienza musicale.

Emanuele Franceschetti e Matteo Macinanti

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