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Riscoprire la gioia della musica da camera

di Filippo Simonelli - 29 Giugno 2020

Le piccole formazioni e il contesto informale possono aiutare la musica classica a ripartire davvero

In questi mesi di isolamento forzato, molti musicisti ci hanno portato letteralmente in casa loro: seppur virtualmente, abbiamo potuto sbirciare le loro vite quotidiane – non senza qualche eccesso di esibizionismo, a dire il vero – e vedere la nascita intima di questo o quel capolavoro del loro repertorio. Che lezioni possiamo trarre per il ritorno alla normalità?

Anzitutto questo periodo ci ha aiutato a prendere consapevolezza della complessità del mestiere di musicista e di tutto il microcosmo che gli ruota attorno, e anche se nella ripartenza l’impatto è stato problematico (ne abbiamo parlato già qui, ad esempio), questa accresciuta coscienza difficilmente sarà avvenuta invano.
Ma c’è anche un ulteriore fattore da prendere in considerazione e che potrebbe portare ad una modifica delle nostre abitudini d’ascolto e di fruizione della musica nel futuro prossimo e meno prossimo, si spera: la riscoperta della musica da camera. Già, perché in questi mesi l’unico modo di assistere a musica che veniva creata “sul momento” era quello di introdursi, seppure virtualmente, nelle camere dei musicisti ricreando un’intimità artificiale ma essenziale in un momento di grande difficoltà come quello che abbiamo attraversato. Questo si è tradotto poi, all’allentarsi delle restrizioni dell’ultimissimo lasso di tempo, in una ripresa delle stagioni cameristiche di istituzioni di tutte le dimensioni nel nostro paese, arrivando persino ad una ripresa dei cosiddetti “home-concerts”, un trend già in crescita in tempi non sospetti e che ora può assumere anche un ulteriore valore nella misura in cui rende impossibili i temutissimi assembramenti che invece sembrano essere inevitabili nel caso di musica sinfonica o performances operistiche.
Tralasciando il doppio standard di legislatori e regolatori che hanno permesso attività verosimilmente più a rischio di diffusione del contagio mentre un ordinato concerto è ancora soggetto a durissime restrizioni, soffermiamoci ora sulle ricadute positive che questa situazione paradossale può avere per il mondo della musica.

Riscoprire il rispetto tra i musicisti

La musica da camera, ed in particolare il quartetto d’archi che ne è forse il genere più rappresentativo, è sempre stata identificata con la “conversazione tra gentiluomini”. Tra i musicisti di un ensemble da camera, pur vigendo una sostanziale gerarchia che l’autore mette inevitabilmente su carta quando sceglie di evidenziare questa o quella parte, sopravvive una sorta di cavalleria reciproca e un grande rispetto. In alcuni grandi gruppi del passato addirittura c’era una differenza abissale tra il modo di vivere i rapporti reciproci tra i musicisti durante una performance e al di fuori di essa: questa ambivalenza, quasi una sorta di Jekyll & Hyde, ha sempre un che di stupefacente e magico in fondo.

Valorizzare l’intimità e il respiro

Intimamente legato a quanto detto sopra è un altro aspetto imprescindibile della musica da camera: l’intimità. Non a caso già l’etimo stesso del nome del genere “cameristico” rivela la sua funzione originaria, ovvero quello di essere eseguita in uno spazio circoscritto come quello della camera, secondo alcuni contrapposto a quello più ampio delle sonate da chiesa. La diatriba sull’origine esatta dell’espressione è sicuramente interessante ma non è questo il luogo adatto per parlarne (se ne discute molto accuratamente qui), ma per noi rileva proprio l’aspetto amicale, o intimo che dir si voglia, della musica da camera delle origini. Musica suonata per un pubblico di pochi intimi, all’inizio nobili, magari committenti stessi della nuova creazione, poi borghesi o semplicemente amici musicisti in situazioni simili a quelle delle celebri Schubertiadi della Vienna di inizio Ottocento. In parte la progressiva istituzionalizzazione in stagioni di musica da camera ha reso più formali questi appuntamenti, accentuando in parte il distacco tra interprete e pubblico. La situazione forzata in cui ci troviamo potrebbe avere, tra gli inaspettati benefici, quello di riavvicinare, anche solo per una serata o poco più, pubblico e interpreti. Certo, direte voi, è piuttosto improbabile avere un interprete di fama mondiale a tenere concerti in casa nostra. Questa ragionevole osservazione ci porta al nostro ultimo punto.

Superare le barriere

La musica da camera in origine non era pensata solamente per i grandi virtuosi: al contrario essendo concepita come una conversazione per gentiluomini era anche diretta a dei dilettanti che appunto potessero poi far sfoggio delle loro abilità nelle loro esibizioni private. È chiaro che il linguaggio di un quartetto di Haydn, per esempio, si prestasse di più ad una comprensione immediata rispetto all’Adagissimo di Ferneyough, per esempio, e quindi più generalmente che la musica che viene composta oggi è meno adatta ad essere eseguita in contesti informali e quasi dilettantistici come lo è stata in passato. Ma questo non dovrebbe essere un disincentivo a fare musica in contesti del genere, magari mettendosi in gioco o coinvolgendo musicisti giovani e ancora in formazione. La necessità di vivere musica dal vivo, dopo mesi di finzione obbligata, è talmente grande che qualsiasi pratica per farci respirare è una grande fortuna. Senza poi trascurare il fatto che queste ipotetiche esibizioni casalinghe potrebbero diventare col tempo uno stimolo ad incontrare più musica, ad andare poi a sentire concerti in tutt’altri contesti con un bagaglio culturale maggiore e comunque una grande voglia di mettersi in gioco.
Insomma, la lezione che potremmo, e forse dovremmo trarre da questa situazione che in parte stiamo ancora vivendo la si potrebbe sintetizzare così: ripartiamo dalla musica da camera per le ovvie ragioni pratiche ma anche per il suo carattere così speciale e personale, ascoltiamo più musica dal vivo anche a costo di non avere l’esibizione della vita nel proprio salotto, riaccendiamo la curiosità verso questa professione e arte al tempo stesso per tornare a goderne a pieno e con una rinnovata consapevolezza quando sarà possibile per tutti.

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Filippo Simonelli

Direttore

Non ho mai deciso se preferisco Brahms, Shostakovic o Palestrina, così quasi dieci anni fa ho aperto Quinte Parallele per dare spazio a chiunque volesse provare a farmi prendere una decisione tra uno di questi tre - e tanti altri.

Nel frattempo mi sono laureato e ho fatto tutt'altro, ma la musica e il giornalismo mi garbano ancora assai.

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