Ultimo aggiornamento18 aprile 2025, alle 19:55

Prima la musica e poi le fatture

di Carlo Emilio Tortarolo - 24 Marzo 2025

L’ultimo scandalo sui pagamenti ritardati nel mondo della lirica accende il caso a livello nazionale

Mi scuserà il buon Antonio Salieri, di cui fra l’altro quest’anno ricorre il bicentenario, se il titolo di una delle sue più celebri opere (Prima la musica e poi le parole, N.d.R.) sia stato storpiato a fini di una mera titolazione giornalistica. Sono sicuro che la sua raffinita capacità critica e verve comica, magnificamente rappresentata proprio in quell’opera, avrebbe trovato comprensione nello snodo di questo articolo.

Con un articolo a firma Francesca Navari su La Nazione i riflettori finalmente si sono accesi a livello nazionale su una pratica che per gli addetti ai lavori, soprattutto per il mondo della lirica e dello spettacolo dal vivo, è più l’abitudine che l’eccezione: il problema dei pagamenti ritardati. 

Il caso del Festival Pucciniano 2024 (anno dell’anniversario del compositore oltretutto) con la quasi totalità dei cast artistici e degli allestimenti non ancora retribuita, ha superato il muro dell’omertà grazie al lavoro dell’associazione di categoria Assolirica e al capogruppo locale della Lega, Alessandro Santini, ma risulta, sfortunatamente, solo uno dei tanti casi simili di persistenti difficoltà gestionali e amministrative delle realtà musicali Italiane. 

Se da una parte il presidente della Fondazione Puccini, Fabrizio Miracolo, ha promesso una soluzione entro la fine di marzo o i primi di aprile, confidando non rientri nei casi di pesce d’aprile, il caso ha permesso di svelare una difficoltà che la crisi recente ha solo acuito.

Così fra ritardi da parte dei finanziatori o dai contributi dello Stato stesso, si volge troppo spesso lo sguardo altrove rispetto ad una mala gestione contrattuale che lascia troppo spazio a interpretazioni. 

Certo è risaputo che l’arte sia fatta di passioni, sudore e dedizione, ma che questo riguardi anche l’arrivare a fine mese, soprattutto per quegli artisti che non possono contare su cachet economicamente importanti e costanti, non era ancora arrivato al pubblico generalista che segue i quotidiani. Non è quindi dato sapere che molte istituzioni (per fortuna non tutte) confinino abitualmente il rispetto per gli artisti al solo palcoscenico, ma senza tradurlo, o senza volerlo tradurre, in pratiche economiche trasparenti e puntuali. 

Certo è risaputo che l’arte sia fatta di passioni, sudore e dedizione, ma che questo riguardi anche l’arrivare a fine mese, soprattutto per quegli artisti che non possono contare su cachet economicamente importanti e costanti, non era ancora arrivato al pubblico generalista che segue i quotidiani. 

In un’epoca in cui la modernità dovrebbe semplificare le cose, la realtà ci ricorda, con una punta di ironia, che la puntualità dei pagamenti è ancora un’orchestra da accordare.

Fin da quando l’arte e la musica sono diventati elemento di commercio, l’atto creativo è sempre stato accompagnato dall’affare economico, con pratiche, alcune volte paradossali, che ancora oggi spesso ci fanno sorridere. O forse no? 

Dal Seicento ai giorni nostri, il rapporto fra datore e lavoratore nel campo delle arti si è sempre trovato a metà fra il precariato e la scarsa fiducia reciproca.

Così fra ‘debiti d’onore’, piuttosto che in una reale liquidazione economica, ritardi in attesa dei pagamenti di corte o, ancora, i saldi durante l’intervallo per evitare che gli impresari scappassero con cassa, il mondo dello spettacolo ha sempre ruotato attorno a figure imprenditoriali di dubbia morale che pensavano prima alla propria sopravvivenza economica e solo dopo al risultato artistico.

Non è raro incontrare nelle testimonianze degli ultimi due secoli di veri e propri scandali a mezzo carta stampata, dove il passo da ‘debito d’onore’ a ‘debito perpetuo’ era l’abitudine.

Nel ventesimo secolo, con l’istituzionalizzazione della musica classica e il consolidamento di fondi pubblici e privati, ci si aspettava una svolta definitiva che invece non solo non è mai avvenuta ma guarda al passato in maniera preoccupante. Soprattutto nella realizzazione intere stagioni totalmente allo scoperto economico, sperando nel pagherò di sponsor (pochi) e Stato (elefantiaco nelle sue pratiche burocratiche e nel saldo dei suoi contributi).

Se da un lato la storia ci insegna che il mecenatismo e la ‘fiducia’ informale erano il collante di un’epoca passata, dall’altro oggi è doveroso e necessario che ogni contratto preveda, in modo chiaro e vincolante, la data entro la quale il compenso debba essere corrisposto.

Non è un mero dettaglio burocratico, ma un requisito fondamentale per tutelare la dignità e la professionalità degli artisti. 

La mancata indicazione, voluta o per errore, rischia di trasformare un accordo in un’arma a doppio taglio, alimentando ritardi che non sono altro che l’eco di una tradizione che, seppur nobile, ha sempre saputo suscitare polemiche e fame. Un’arma che oltretutto si trasforma per molte direzioni artistiche in una ghigliottina artistica, portando al depennamento di quegli artisti che hanno osato chiedere informazioni sullo stato del pagamento della loro giusta retribuzione ma che intanto hanno anticipato tutto quanto era necessario per poter salire su quel palco, come viaggi, alloggio e pasti.

E allora, mentre attendiamo che il piano di rientro annunciato dal Presidente della Fondazione Puccini, diventi realtà, uno spunto di riflessione per tutte le altre realtà italiane che non sono finite sul giornale affinché il prossimo futuro sia di pensare solo alla dimensione performativa: inserire a livello nazionale, ad esempio nel FNSV (Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo), un parametro vincolante di percentuale di contratti saldati entro un congruo orizzonte temporale.  

Solo con chiarezza contrattuale e rispetto reciproco potremo finalmente dare a ogni artista il meritato applauso, anche fuori dal palcoscenico.

Sogno? Forse. Ma in attesa di essere pagati, qualcosa bisogna pur fare per passare il tempo.

(NdA: l’immagine scelta per il presente articolo è l’opera ‘Da Vinci of Debt’ prodotta da Natural Light. L’opera è costituita da 2600 diplomi di laurea americani per un valore complessivo di 470 milioni di dollari, pari alla somma dei costi di studio per ciascun titolo. Considerata una delle opere artistiche più care al mondo, è stata creata per dimostrare la gravità della crisi dei debiti studenteschi)

Carlo Emilio Tortarolo

Autore

Direttore d'orchestra, pianista e manager culturale veneziano, Carlo Emilio è presidente di Juvenice - Giovani Amici della Fenice, associazione dai giovani per i giovani per la condivisione e la promozione degli spettacoli musicali, ed è segretario del Festival Pianistico ‘B. Cristofori’ di Padova.

tutti gli articoli di Carlo Emilio Tortarolo