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Oltre la paura. Fare musica come esperienza di condivisione

di Redazione - 18 Aprile 2025

QPArena è il primo spazio online pensato per dare ai professionisti della musica l’opportunità di esprimersi in prima persona: un intervento, sotto forma di lettera aperta, che permetta ad artisti di tutte le generazioni e le sensibilità di esprimersi e rivolgersi in prima persona al loro pubblico, che in questo caso è anche il nostro pubblico. Oggi possiamo contare sulla riflessione di Eugenio Della Chiara, chitarrista, artista Naxos e docente presso il Conservatorio “Lucio Campiani” di Mantova.

Eugenio Della Chiara

Qualche giorno fa mi è capitato di rispondere a uno stimato collega che, tramite un suo profilo social, chiedeva ai suoi contatti concertisti quali strategie usassero per vincere l’ansia da palcoscenico. Rileggendo quanto avevo scritto mi sono accorto che forse le mie considerazioni cominciavano a trascendere l’ambito di un semplice commento a un post: per questo desidero condividerle come lettera aperta ai colleghi musicisti.

Ai miei studenti dico sempre che è impossibile non avere né tensione né ansia prima di suonare. Prima di tutto perché siamo umani, e quindi attraversati da passioni che ci rendono tali; in secondo luogo, tendenzialmente non si è in tensione solo per quegli aspetti della vita che ci interessano poco: se suonare dal vivo diventasse qualcosa che non mi agita minimamente forse mi preoccuperei. La tensione è come una forza da cui siamo attraversati: può bloccarci se non sappiamo come affrontarla, ma col tempo si può imparare a gestirla e magari persino a portarla dalla nostra parte; è come l’acqua, che può sommergere intere città se è incontrollata, ma può anche produrre energia se è ben incanalata.


In una delle risposte al quesito del collega, un’amica citava Ivo Pogorelich. Ecco, sotto certi aspetti a me piace avvicinarmi al concerto un po’ come fa lui, anche se magari con meno estro; mi piace restare in mezzo alle persone fino all’ultimo, parlare, scherzare: non mi piace l’idea di dovermi astrarre dal contesto per raggiungere chissà quale stato di concentrazione. Desidero fare in modo che il concerto sia parte della vita, non un momento “altro” rispetto ad essa.

Purtroppo quello che io chiamo “superomismo musicale tardoromantico” ha contribuito a plasmare una visione dell’interprete quale semidio che concede qualche bagliore del suo magistero al pubblico; credo invece che, anche per il bene della musica, dovremmo tornare a un’idea del concerto molto più settecentesca e classica, ricominciando a pensarlo come un momento di condivisione tra pari, di scambio autentico e di felicità.
La musica, pensata come esperienza di condivisione, è qualcosa di splendido. Perché non vogliamo riabbracciare questa concezione da cui sono nati tanti capolavori? Quale potere abbiamo paura di perdere?

Un lungo post scriptum

L’importante è che a guidare le nostre scelte non siano il narcisismo o la paura di apparire inadeguati, ma la volontà di fare ciò che – nella singola situazione – ci permetta di dare tutto noi stessi alla musica.


Una riflessione a parte andrebbe fatta per quei casi in cui la tensione deriva quasi esclusivamente da una situazione specifica, come l’obbligo di suonare a memoria. Da parte mia, credo che la memoria non possa mai essere requisito fondamentale in un’esecuzione: io stesso ho avuto periodi della vita in cui suonavo meglio leggendo e altri in cui mi trovavo meglio a memoria. Non siamo esseri lineari (per fortuna!) e il percorso che facciamo ci plasma ora in un senso, ora nell’altro. L’importante è che a guidare le nostre scelte non siano il narcisismo o la paura di apparire inadeguati, ma la volontà di fare ciò che – nella singola situazione – ci permetta di dare tutto noi stessi alla musica.

La consuetudine del suonare “a memoria” nasce pressappoco in epoca tardo romantica, proprio quando il concerto (come accennato prima) passa dall’essere un momento di condivisione fra persone in dialogo tra loro a un’occasione in cui il performer trasmette unilateralmente il proprio pensiero al pubblico. È come se, in questo processo, si fosse via via incrinato il “senso di comunione” tra chi suona e chi ascolta. A ogni modo, in alcuni ambiti – soprattutto quelli legati alla musica antica, che guarda caso sono sempre più vitali – la questione dell’esecuzione a memoria non è più nemmeno un tema, e viene giustamente lasciata alla libertà degli interpreti. Purtroppo, in altri contesti si è ancora un po’ affezionati a un certo machismo (che va ben oltre l’argomento trattato in queste righe) decisamente fuori tempo massimo.

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