La scommessa dell’Avos Project
di Filippo Simonelli - 29 Settembre 2020
L’Avos Project non è la solita scuola di musica
Generalmente una scuola di musica che apre non fa particolarmente notizia di per sé. L’Avos Project non è però una qualsiasi scuola di musica – basta scorrere l’elenco degli insegnanti per convincersi del contrario – ma soprattutto non è un progetto nato con un intento esclusivamente didattico. Avos è il nome di un quartetto con pianoforte attivo dal 2007 con un certo successo prima a Roma e dintorni, ma molto presto anche in giro per l’Italia e in ambito internazionale (una descrizione più dettagliata del progetto la potete trovare qui). A dare forza e riconoscibilità a questo progetto è il fatto di essere un quartetto con pianoforte, formazione relativamente poco percorsa dai musicisti per quanto alcuni dei più grandi compositori della storia le abbiano dedicato pagine memorabili, con Brahms capostipite. All’attività concertistica l’Avos ha associato presto un’intensa attività di didattica. Nel corso degli anni ci sono stati dei cambi di formazione che hanno dato forma e nuovo vigore al progetto fino a renderlo quello che conosciamo oggi: il passaggio da Quartetto Avos/Avos Piano Quartet a Avos Project è stato un fisiologico adattamento alla necessità di coltivare l’amore per la musica non solo nel pubblico ma anche nelle future generazioni, a partire dal 2017 con continuità. Nelle parole di Mario Montore, membro fondatore dell’ensemble insieme alla violinista Mirei Yamada e al violoncellista Alessio Pianelli, “l’idea era quella di coniugare l’amore per la musica, il desiderio di condivisione tipico della musica da camera e l’amore smisurato per la città di Roma”. Sotto le ali dell’Avos Project primigenio sono cresciuti alcuni dei musicisti più talentuosi dell’attuale panorama romano, tra cui il quartetto Werther che abbiamo intervistato qualche settimana fa, e grazie ad una nuova collaborazione con l’Ateneo di Roma Tre e con la Scuola di Musica Sherazade la vocazione didattica si è rafforzata sempre di più. Gli iscritti ai corsi dell’Avos si sono letteralmente moltiplicati nel corso del tempo, fino a farli diventare un vero riferimento per la musica da camera a Roma, aggiungendo corsi con musicisti come Luca Sanzò o Carlo Maria Parazzoli. Il 2020 avrebbe dovuto essere l’anno della svolta, ma poi è arrivata la pandemia.
Senza diffondersi su discorsi e generalizzazioni su quel che ha significato la pandemia per il mondo della musica, è indiscutibile che ha dato a tutti noi molto più tempo libero, forzatamente. È chiaro che i danni per la didattica tradizionale che questo periodo di sosta obbligata ha portato sono stati enormi, ma al tempo stesso ha permesso di ripensare il progetto. In quel tempo libero il cantiere Avos ha preso forma, prima su carta e poi sempre più concretamente: nel corso di lunghe chiacchierate telefoniche, racconta il violista Riccardo Savinelli, uno degli assi portanti dell’odierno Avos, “è nata l’idea di impostare una Accademia come un luogo che ci rappresentasse di più, un posto dove poter vivere la musica non con uno scambio ‘verticale’ docente-discente, ma con una condivisione ‘orizzontale’, diffusa e partecipata”. Attorno ad una sorta di quadrumvirato formato da Mario Montore, il già citato Riccardo Savinelli, il pianista Massimo Spada e la spalla dei secondi violini di Santa Cecilia David Romano si sono associati sempre più musicisti/docenti, fino a portare il progetto alla forma definitiva con cui sta per prendere il via.
Un centro di aggregazione e assembramento
Vogliamo creare un centro di aggregazione e di assembramento, sostiene sempre Montore. Per quanto in questo periodo sia necessariamente fuori moda dire cose del genere, sta di fatto che uno spirito collettivo e di comunità sia necessario per una scuola che deve formare gente che impari a suonare l’uno per l’altro, in formazioni che valorizzino al di sopra dell’imprescindibile talento individuale il lavoro e lo sforzo collettivo. La cosa che colpisce apparentemente è che ad insegnare musica da camera ci saranno anche moltissimi professori d’orchestra, appartenenti in gran parte a quella dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che fanno anche musica da camera ma che masticano tutti i giorni la vita orchestrale in tutta la sua maestosità. C’è in effetti da sottolineare il fatto che, a differenza delle precedenti versioni dell’Avos Project, i corsi che partiranno quest’anno comprendono anche dei corsi di strumento veri e propri, pur mantenendo una imprescindibile centralità per la musica da camera, si intende. Avos è per noi una visione sul futuro di fare musica – spiega Massimo Spada – il tutto in una città unica come Roma, dove l’offerta è tanta, ma molto frastagliata. Il nostro contributo si prefigge di poter riunire in un’unica realtà tante istanze diverse, tutte fondamentali per lo sviluppo del musicista in erba.
I docenti sono tanti, e l’offerta formativa è molto ricca. Si passa da musicisti che già giovanissimi hanno raggiunto una maturità totale ad altri che invece portano esperienza e maturità al servizio degli allievi.
Le possibilità sono molteplici e variegate, e un elenco di massima è disponibile qui, anche se non è impossibile aspettarsi nuove sorprese in itinere. La classe di violino rappresenta per certi versi una sorta di caso di studio: ci si trova la possibilità di studiare con docenti di livello altissimo (in questo caso Andrea Obiso, lo stesso Romano e Mirei Yamada, storica componente dell’Avos), ma affiancati a professionisti che raramente si trovano in veste di docenti – è il caso di Roberto Gonzales-Monjas e Salvatore Quaranta – e ad arricchire il curriculum c’è la possibilità di partecipare a due seminari che appartengono praticamente a due mondi opposti: quello della prassi esecutiva (o meglio, delle prassi) tenuto da Riccardo Minasi, e quello che mischia invece suggestioni jazz all’universo elettronico di Luca Ciarla.
David Romano è ancora più netto dei suoi sodali: vogliamo interrompere la fuga dei cervelli musicali da questa città e da questo paese. Molti studenti si trovano a finire un percorso di studi e poi non avere sbocchi concreti e devono continuare a studiare per anni e anni prima di avere una possibilità, magari anche di ripiego. Con Avos vogliamo cercare invece di professionalizzare da subito gli studenti, anche se sono ragazzini di quattordici o quindici anni: per questo stiamo già lavorando con stagioni e sale da concerto per strutturare partnership. Per molti sarà un vero e proprio battesimo del fuoco, e noi anche come docenti cercheremo da subito di trattarli da pari nostri. Certo – ammette – mi rendo conto che per uno studente non sia facilissimo salire sul palco insieme ad un insegnante che poche ore prima ti ha strigliato, ma insomma fa parte anche questo della crescita.
L’idea futura: creare un riferimento “dinamico” per la musica da camera
C’è comunque un che di folle e grandioso – soprattutto folle – nel far nascere una scuola di musica in un momento del genere. La musica è uno dei settori più penalizzati dal post-emergenza, e in altri paesi che spesso ci hanno fatto da modello ci sono interi teatri chiusi e musicisti che pensano seriamente di cambiare lavoro. Ma giocare d’anticipo sulla musica da camera, scommettere su quella che, salvo rare eccezioni, non ha mai fatto i sold out dei teatri d’opera e delle stagioni sinfoniche, rivela l’indole dei suoi creatori. Parlando con Mario Montore capita spesso di imbattersi in metafore d’azzardo, e rivela con una certa soddisfazione che l’azzardo in famiglia è anche una professione.
Ci sono però diversi tipi di giocatori e diversi approcci al rischio. In Avos troviamo un po’ di tutto: il compiacimento per l’aver costruito una bellissima giocata, non un bluff, ovvero una scuola nel centro della città eterna con alcuni dei docenti più prestigiosi al mondo – non solo italiani; la scommessa in prospettiva, ovvero l’idea di valorizzare non solo la musica che si sa meglio fare, quella cameristica, ma anche quella che può prendersi sempre più spazio viste le limitazioni correnti, in un’ottica più da investitore che da scommettitore sportivo. E infine un’idea da sognatore, ovvero quella di creare un polo di aggregazione non solo per chi la musica la fa e la persegue come propria stella polare fin da bambino, ma anche per quelle migliaia di persone che ogni giorno passeggiano sotto le finestre di Via del Corso 4, che sono a pochi piani da un quartetto di Beethoven o dalla Sonata di Franck e devono solo scoprire quello che una musica del genere può fare per le loro vite. Vincere questa scommessa è sicuramente la sfida più impegnativa dell’Avos, ma le premesse organizzative ed artistiche per farlo ci sono tutte, unite a quel pizzico di necessaria incoscienza che serve per fare le cose in grande. I risultati si vedranno nel tempo, ma ora c’è da vedere quel che succederà a partire dal 5 ottobre.