Shakespeare in Musica: Romeo e Giulietta di Čaikovskij

“La mia Ouverture procede abbastanza rapidamente, la maggior parte è già stata composta e una parte considerevole di ciò che Voi mi avete consigliato di fare è stata realizzata secondo le Vostre istruzioni. In primo luogo, l’impianto è Vostro: l’introduzione che descrive il frate, la rissa – Allegro, l’amore – il secondo tema – e, secondariamente, le modulazioni, sono Vostre: l’introduzione in mi maggiore, l’Allegro in si bemolle minore e il secondo soggetto in re maggiore.

Autore: Matteo Macinanti

22 Aprile 2016

Certamente non sono nella posizione di dire cosa sia buono e che cosa no. Non posso essere oggettivo verso le mie creature; scrivo come sono capace; è sempre difficile per me soffermarmi su un’idea musicale tra quelle che mi vengono in mente, ma una volta sceltane una, mi abituo a essa, ai suoi lati positivi come a quelli negativi, così che mi risulta incredibilmente faticoso rielaborarla o riscriverla”.

Con queste parole Čaikovskij parlava della sua ultima fatica a Milij Balakirev, il noto fondatore del Gruppo dei Cinque, che aveva consigliato all’amico compositore di scrivere una musica che avesse come tema il dramma shakespeariano di Romeo e Giulietta.

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P.I. Čaikovskij                    M. Balakirev


La popolarità di Shakespeare godeva allora di una buona fama in Russia: già nel XVIII secolo le opere del Bardo dell’Avon erano state importate all’interno dei circoli culturali russi grazie a poeti quali Sumarokov, Karamzin e, soprattutto, grazie all’operato di Caterina II la Grande.
Fondamentali furono, altresì, l’ammirazione nutrita nei confronti di Shakespeare da parte di Puškin e la bravura interpretativa di un grande attore come Pavel Mochalov nei panni dei protagonisti dei drammi shakespeariani.
Lo stesso Čaikovskij fu un appassionato frequentatore di teatri e, come ci viene detto nelle sue lettere, durante i suoi viaggi si portava dietro sempre qualche dramma da leggere.

Questo primo approccio con Shakespeare, al quale Balakirev partecipò in qualità di sensale, trovò Čaikovskij molto entusiasta; oggi possiamo affermare con certezza che la sua ouverture Romeo e Giulietta può essere definita a ragione il suo primo capolavoro  sinfonico indiscusso.

Che Čaikovskij tenesse molto a questa composizione lo dimostrano i continui rimaneggiamenti sul progetto originale che la sua composizione dovette subire anche sotto i consigli di una figura carismatica come Balakirev.
In particolare, alla prima versione del 1869, il compositore russo rimise mano l’anno successivo, modificando l’introduzione, una parte dello sviluppo e la conclusione.
Ma la forma definitiva, quella che viene eseguita oggi nelle nostre sale, vide la luce solo nel 1880 quando Čaikovskij riscrisse completamente il finale.

La prima esecuzione della versione non ancora definitiva ebbe luogo nel 1870 a Mosca, in un concerto della Società Musicale Russa diretta da Nikolaj Rubinstein, ed ebbe subito un riscontro del tutto positivo da parte del pubblico, e in particolare dell’ispiratore Balakirev.


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La composizione di Čaikovskij si presenta come un’ Ouverture-Fantasia a programma, avente come argomento l’oltremodo nota vicenda dell’amore di Romeo e Giulietta, contrastato non solo dalle rispettive famiglie, ma ancor più dallo stesso destino.

Il modello di riferimento è certamente quello delle ouvertures beethoveniane e dei poemi sinfonici lisztiani, ma la vera innovazione risiede nel fatto che Čaikovskij riesca ad incanalare il suo spirito violentemente romantico all’interno di una struttura tipica del periodo classico: la forma-sonata.
In effetti, l’Ouverture Romeo e Giulietta presenta le tre parti fondamentali della forma suddetta (esposizione, sviluppo e ripresa), alle quali si aggiungono un’introduzione e una coda d’appendice.

Questa compresenza di furor (l’impulso romantico) e mens bona (l’ordinamento prefissato) ben si addice all’argomento trattato: un amore impetuoso che non rientra negli schemi imposti dalla società e dalle leggi.

Tre sono i pilastri tematici, fortemente differenziati tra loro, che sostengono l’intera composizione: il motivo iniziale, dal carattere religioso e solenne, il gruppo tematico successivo, fortemente ritmico e contrastato, e per finire un secondo gruppo tematico, indubbiamente il più pregno di pathos drammatico, che risulta essere, ancora oggi, una delle melodie più note e rielaborate del nostro compositore russo.


Ci addentreremo ora più da vicino nelle pieghe della composizione per comprendere i dettagli di questo caposaldo musicale dell’epoca romantica.

L’Ouverture inizia con un Andante non tanto, quasi Moderato che ha la funzione di calare da subito l’ascoltatore nella giusta ambientazione sonora: una frase collocata nel tessuto scuro dell’orchestra (clarinetti in la e fagotti) presenta la prima delle tre travi portanti che sostengono l’architettura di questa composizione.

Come già poteva notare Balakirev, in questa melodia si può ravvisare la raffigurazione musicale di un personaggio-chiave della vicenda, il frate francescano Lorenzo.

L’affinità patente con la vocalità della musica liturgica ortodossa e il registro utilizzato di fiati ad ancia conferiscono alla musica l’andamento di un grande organo da cattedrale.

Oltre a portare una carica ieratica e mistica, questo prima motivo prefigura altresì quelli che saranno i risvolti futuri del dramma.
Già abbiamo avuto modo di parlare dell’importanza del destino in questa composizione; effettivamente sono presenti sin da subito alcuni segnali che preludono a questa tematica: dopo la linea vocale di clarinetti e fagotti, compare un gioco di entrate degli strumenti ad arco, dal registro basso dei violoncelli e contrabbassi fino a quello acuto e chiaro dei violini, ai quali si assomma un altro strumento grave, il corno in fa.

La sospensione mistica di questa parte introduttiva si colora quindi, già da subito, di qualche accento drammatico e di qualche intervallo sintomatico di un certo clima di mistero: al pedale delle viole sul mi diesis si sovrappone una discesa dei bassi verso la nota si; in tal modo si viene a costituire un intervallo di 4a aumentata, più noto con il nome di tritono, quello che gli antichi chiamavano “diabolus in musica” (un intervallo particolarmente dissonante e quindi collegato fin dal medioevo al mondo ctonio).

La musica successivamente subisce un’espansione verso il registro alto, come una sorta di apertura all’interno dello spazio sonoro.

Sull’accigliata fronte della notte

ride già l’alba, col suo grigio sguardo

variegando le nubi dell’oriente

con variopinte lamine di luce,

e la chiazzata tenebra si sfiocca

col suo passo ubriaco, vacillando,

sul sentiero del giorno che s’avanza

sulle infuocate ruote di Titano.

(Romeo e Giulietta, Atto II, Scena III)


Queste sono le primissime parole che Shakespeare mette in bocca a Frate Lorenzo nella sua prima comparsa sulla scena.
Mentre nel dramma si può parlare di un sopravanzare della luce del giorno sull’oscurità della notte (lo stesso giorno nel quale si consumerà la vicenda), nell’ouverture di Čaikovskij, al contrario, l’espansione verso l’alto serve ad apportare solamente un crescendo tensivo in cui di nuovo il destino gioca un ruolo protagonista.

La tonalità cambia da fa diesis minore a fa minore.
Il lamento condotto dai violoncelli, a cui fanno da contrappunto gli accenti degli ottoni, accompagna flauto e clarinetto in una ripida salita che si arresta faticosamente per tre volte su un altissimo la, mentre l’arpa scandisce il tempo con degli accordi arpeggiati.

Successivamente questo elemento motivico viene ripetuto, questa volta però in modo più marcato e con un accompagnamento pizzicato degli archi che, attraverso diminuzioni di valore delle note, collabora a far scivolare sempre di più la musica verso un piano drammatico.

La tensione frattanto cresce e quell’apertura drammatica dei flauti la riascoltiamo ora come punto di arrivo di un poco a poco crescendo: a condurre il canto sono ora i violini sopra il ricamo querimonioso dei fiati.

La musica, a questo punto, inizia a crescere di intensità e di velocità in corrispondenza di un poco a poco stringendo, nel quale, ad una domanda degli archi corrisponde una risposta dei fiati.

Arriviamo così ad un primo climax sonoro, l’Allegro, in cui un botta e risposta di fiati e corni sull’incalzante disegno degli archi conduce ad un punto di arresto, una croma comune a tutta l’orchestra sul forte.

L’ambiente sonoro si svuota in modo repentino, congiuntamente allo smorzarsi del rullo dei timpani. La musica riparte, sempre dal registro basso e il dialogo tra archi e fiati cerca di reinstaraursi a fatica.
Questo botta e risposta si fa via via sempre più serrato fino a far approdare l’ascoltatore alla prima e vera Esposizione, ossia la prima delle tre parti in cui si è soliti dividere lo schema della forma-Sonata.

Questa Esposizione consiste nella presentazione del primo vero gruppo tematico: il modo di condurre il discorso melodico cambia improvvisamente e il tessuto musicale viene spezzato e ferito da accordi sul fortissimo che richiamano da vicino il motivo della lotta perpetua, a suon di colpi di spada, tra le due famiglie di Verona, Montecchi e Capuleti.

Il livello di tensione al quale Čaikovskij ci fa arrivare, senza nemmeno accorgercene, è  portato a questo punto al parossismo.

Oltre alla frammentazione del discorso melodico, Čaikovskij inserisce in partitura sferzate di note (in gergo tecnico schleifer), in domanda e risposta tra le diverse sezioni dell’orchestra.
Un successivo episodio contrappuntistico vede l’entrata a canone di due voci, violoncelli e contrabbassi come voce conduttrice e flauti e clarinetti come voce accompagnatrice.
Questa sezione ci conduce verso il momento tensivo più alto di questa prima parte: mentre gli archi si affaticano in una corsa a rotta di collo su delle quartine velocissime, il resto dell’orchestra (fiati e ottoni) si inserisce in questo disegno cromatico fornendo dei segni di interpunzione, per la verità, del tutto irregolari.

Lo sfasamento che viene prodotto da questi accordi strappati produce un senso di smarrimento, come se venisse perso per un momento ogni riferimento di coordinazione spazio-temporale.
Sembrerebbe quasi una resa musicale, peraltro riuscitissima, della condizione in cui si trova Romeo allorché, nel II atto, esclama: “Turn back, dull earth, and find thy centre out” (“Tornatene indietro, terra inerte, e riprendi il tuo centro!”).
Come Romeo paragona il suo scostarsi dal luogo dove si trova Giulietta al tralignare della Terra dal suo luogo naturale, con la conseguente rottura dell’armonia dell’universo,  così Čaikovskij inserisce questo episodio proprio per raffigurare il senso di irregolarità e di perdita dell’equilibrio che permea l’intera composizione.

C’è da dire che il gusto per i ritmi irregolari e sghembi è comune alla cultura musicale russa: basti pensare ad alcune composizioni di Rimskij Korsakov come “La fiaba dello zar Saltan”, o ancora “Quadri di un’esposizione” di Musorgskij o, ancora, “La sagra della Primavera” di Igor’ Stravinskij.
Ebbene, tutte queste opere celeberrime contengono in sé metri irregolari e ritmi tendenzialmente fuori dagli schemi usuali.
Lo stesso Čaikovskij, in altre composizioni, ricorre a metri irregolari, laddove vuole esprimere un senso di sfasamento e frizione (come non citare il 5/4 del Valzer irregolare della Sinfonia n.6).

Rispetto alla già citata composizione di Stravinskij, è curioso, ma allo stesso tempo non del tutto peregrino, mettere a confronto questo episodio del Romeo e Giulietta dove, come si è detto, alcuni accordi sul fortissimo sorprendono l’ascoltatore per la loro collocazione irregolare, con una sezione dell’ultimo quadro della prima parte de “la Sacre”.

•ascolta qui il confronto↓
Čaikovskij
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Stravinskij
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La furia drammatica di questo gruppo tematico, esasperatamente violento, giunge a termine, non prima di aver inferto un ultimo colpo sul fortissimo discorso melodico.

Un ulteriore svuotamento del ripieno orchestrale mostra nuovamente il procedere della composizione per ondate di tensione.
Arriviamo quindi ad un episodio di transizione che ci conduce poco a poco verso il secondo gruppo tematico, quello che finalmente presenta i due protagonisti della vicenda.
Viola e corno inglese, sviluppano all’unisono la prima frase di questo secondo gruppo tematico.

Ecco la sposa… Oh, sì leggero piede
potrebbe camminare eternamente
su quella soglia, senza consumarla.
Un amante potrebbe navigare
sul tenue filo d’una ragnatela
fluttuante alla brezza dell’estate,
sì leggera è l’umana vanità.
(Romeo e Giulietta, Atto II, Scena IV)
Come soavi suonan nella notte
le voci degli amanti:
sommessa musicalità d’argento
dolcissima all’orecchio che l’ascolta…
       (Romeo e Giulietta, Atto II, Scena IV)

La musica si colora all’improvviso di una leggerezza eterea, alla quale contribuiscono gli arpeggiati dell’arpa e il pizzicato lieve degli archi.
Tuttavia il discorso orchestrale subisce ancora un crescendo di tensione, questa volta del tutto positivo: una seconda idea leggermente affannosa, affidata ai violini, conduce all’idea complementare di questo secondo gruppo tematico.
Il sospiro dei violini, suggellato dal palpitare dei corni, si accompagna alla ripresentazione del tema già sentito, questa volta introdotto da un filamento cromatico del flauto.
Il fascino dolcissimo di questa melodia ha fatto sì che essa divenisse una delle melodie di Čaikovskij più conosciute e rielaborate: il cosiddetto “tema d’amore”.

•ascolta qui↓
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F. M. Brown – Romeo e Giulietta, 1867

L’amore è vaporosa nebbiolina
formata dai sospiri;
se si dissolve, è fuoco che sfavilla
scintillando negli occhi degli amanti;
s’è ostacolato, è un mare alimentato
dalle lacrime degli stessi amanti.
Che altro è più? Una follia segreta,
un’acritudine che mozza il fiato,
una dolcezza che ti tira su.
(Romeo e Giulietta, Atto I, Scena I)


L’eccitazione emotiva sembrerebbe essere ormai del tutto scaricata dal leggerissimo tappeto d’archi sul quale archi e legni terminano la loro esposizione.

Pur tuttavia, come si è detto, il vero protagonista, purtroppo, non è l’amore ma l’infelice destino.
Quest’ultimo a sorpresa si intrufola nuovamente nel discorso orchestrale dando inizio alla seconda macro-sezione, ossia lo Sviluppo.

Ricompaiono, anche sovrapposti, i temi già ascoltati: il primo gruppo tematico, il corale introduttivo e derivazioni del secondo gruppo tematico.

In un vortice progressivo di crescente pathos sferzante giungiamo ad un ulteriore momento di sospensione in cui i violini scandiscono il tempo con sincopati mentre appaiono sprazzi di accenni di melodie da fiati e ottoni.

Questa pulsazione ritmica corre indefessa verso la sezione in cui si giunge al colmo dello sforzo tensivo.
Prima di riproporre gli accordi irregolari in piena orchestra, la grancassa e i piatti fungono da sostegno per la pulsazione ritmica, squarciando lo spazio sonoro con dei colpi fortissimi.

Il vortice si spegne all’improvviso, ma questa volta rimane come sottofondo il brulichio dato da quartine rapidissime ai violini, questa volta in tonalità maggiore.

Il modo maggiore viene infatti impiegato da un episodio di transizione per arrivare alla Ripresa.
Un grande crescendo riporta  sulla scena l’idea complementare del secondo gruppo tematico: questa volta il tema d’amore viene cantato dagli archi, mentre i fiati forniscono un accompagnamento in terzine e i corni continuano il loro disegno palpitante.
A sorpresa, però, si inserisce nuovamente l’idea angosciosa del primo tema: l’odio tra le famiglie non può tollerare l’amore di Giulietta e Romeo.
Per un’altra volta il tema d’amore sembrerebbe imporsi, sovrastando con l’ardore sentimentale i dissidi del tema guerresco.
Niente da fare; anche questa volta, il canto dei due innamorati subisce una deformazione che fa sì che a dominare siano le spade e il sangue.

Ora non c’è più spazio per l’amore. Assistiamo infatti al momento più orrorifico dell’intera composizione: nel bel mezzo di una salita verso altezze vertiginose, i violini si interrompono lasciando lo spazio ad un profondo e grave sol diesis di tromboni e tuba.
L’effetto che viene fuori da questo procedimento, assai cinematografico, è quello di una fuga affannosa sopra una montagna, fuga interrotta dalla visione di un improvviso burrone.
L’evasione precipitosa dei violini cerca altre strade, ma non c’è nulla da fare per i nostri fuggitivi: il destino, con un fortissimo rullo di timpani, scaglia la sua scure inesorabile sui due innamorati.

•ascolta qui↓
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J. H. Füssli – Romeo al letto di morte di Giulietta, 1809

Moderato assai: ormai la musica si tramuta una marcia funebre, scandita dai colpi di timpano, e il tema d’amore è ridotto ad un fantasma.
Con l’ingresso dell’arpa però assistiamo all’ultima riproposizione struggente, ma profondamente sconvolta, dell’esplosione amorosa.
Giammai. Il destino reclama l’ultima parola: con un finale strappato e a pieno organico, appone la sua firma alla triste vicenda di Romeo e Giulietta.

Matteo Macinanti

 

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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