Guardare l’opera: Il Trittico di Puccini

Il Trittico di Giacomo Puccini è l’insieme di tre opere costituito da tre atti unici concepiti per essere eseguiti di seguito come unico corpo. Queste opere sono successive a “Madama Butterfly” e a “La Fanciulla del West”. 

Autore: Lorenzo Papacci

16 Aprile 2016

Il compositore lucchese era alla ricerca febbrile di nuovi soggetti e sollecitava continuamente gli autori per poter visionare nuovi lavori che puntualmente abbinava alla richiesta di modifiche. Già dal 1904 aveva il progetto di comporre un’opera in un solo atto, idea generata dal grande successo di “Cavalleria Rusticana” e di “Pagliacci”, lo scrittore Giovacchino Forzano fece poi mutare i piani del maestro proponendogli non una sola opera, bensì tre atti unici (inizialmente basati sulle tre cantiche dantesche) che potessero costituire uno spettacolo che occupasse una serata e non dovesse essere accostato al lavoro di altri autori. Forzano propose l’idea di un soggetto di genere drammatico (che era Il tabarro di Adami che Puccini aveva già per le mani), uno lirico-religioso e l’ultimo comico, nacquero così Suor Angelica e Gianni Schicchi che con il già citato Tabarro costituiscono il Trittico.

La prima era prevista al Teatro Costanzi di Roma, ma la cosa non fu possibile a causa della guerra che rendeva difficile la realizzazione della messinscena. L’opera fu rappresentata il 14 Dicembre 1918 al Metropolitan di New York che si confermò come una prestigiosa propaggine dell’opera italiana in America. Non si può dire se si sia trattato o meno di un successo: Gianni Schicchi fu molto apprezzato mentre Il Tabarro e Suor Angelica meno. Dopo la prima italiana Suor Angelica fu “riabilitata” rispetto alle critiche che gli vennero mosse dagli americani, il successo di Gianni Schicchi aumentò, mentre Il Tabarro fu aspramente criticato perché troppo crudo e violento. Anche Arturo Toscanini stroncò quest’ultimo aumentando i dissapori che correvano tra lui e Puccini. Come si è detto queste tre opere furono concepite per essere rappresentate assieme ma spesso si venne meno alla regola imposta dall’autore, soprattutto nel caso di Gianni Schicchi spesso rappresentato da solo, oggi ormai sono entrate nel repertorio tutte e tre e vengono rappresentate insieme.

Il Tabarro fu composto tra l’estate e l’autunno del 1913 e fra Ottobre 1915 e Novembre 1916. L’interruzione fu necessaria, poiché Puccini dovette completare l’opera La Rondine per la quale era vincolato da un contratto con il Carltheater di Vienna. Quest’opera è basata sul dramma Le Houppellande di Didier Gold che egli poté vedere a Parigi nel 1912 mentre si trovava lì per La fanciulla del West che veniva data all’Opéra. Affidò inizialmente il testo a Illica, poi a Martini ed infine a Giuseppe Adami, ebbe molti dubbi sul risultato di quel lavoro tanto da affidarlo in segreto al giovane Dario Niccodemi che però non seppe apportargli modifiche. Il Tabarro, essendo costituito da un solo atto, doveva essere rappresentato insieme ad un’altra opera e Puccini inizialmente pensò alla sua prima opera Le Villi, era costituita da due atti e che ormai non ricordava più nessuno. Fu poi il progetto di Forzano a mutare del tutto l’indirizzo del maestro.

L’opera inizia con un tramonto sulla Senna sul barcone di Michele, sposo di Giorgietta, egli teme che la moglie gli sia infedele e lo avverte perché sente la loro unione in crisi. Giorgietta infatti, è innamorata di Luigi, uno scaricatore di porto che ogni sera la raggiunge. Michele tenta di ricostruire il rapporto con la moglie ricordandole i momenti felici della loro unione e il loro bambino che si è spento prematuramente, tenta poi di abbracciare la moglie ma questa si ritrae con una scusa, entra in camera attendendo il sonno del marito che prelude ogni notte all’incontro con Luigi. Michele pensa a chi possa essere l’amante della moglie e accende la sua pipa. Luigi che nota il segnale di luce nella notte salta sul barcone, Michele lo riconosce, lo aggredisce e lo strangola dopo avergli fatto rivelare il tradimento, avvolge poi nel suo tabarro il cadavere che farà cadere a terra aprendo il mantello al ritorno della moglie.

E’ un’opera molto violenta condizionata dal Verismo di Cavalleria Rusticana, con uomini e donne della periferia parigina. Questo è un elemento bizzarro poiché Puccini si rifiutò di musicare La Lupa di Verga, quindi possiamo parlare di un’adesione solo tardiva ai personaggi veristi (mentre elementi di Verismo a livello stilistico li abbiamo anche in Tosca). La trama si svolge sullo sfondo di un tempo che avanza inesorabilmente e infatti, la vicenda si svolge al tramonto, in autunno e presso un fiume: tutti e tre sono elementi che rappresentano sia un passaggio che un continuo flusso. A causa dell’assenza di melodie semplici e di facile riconoscimento l’opera non ebbe quella presa di pubblico che la portò ad essere un’opera “popolare”. Puccini scelse di creare dei leitmotiv di poche note basati sulla timbricità sonora e non elaborati dal punto di vista armonico, che portano alla riconoscibilità di colori nell’opera. Nello stile compositivo vediamo una buona dose di maturità che esce fuori dalla sapiente dell’orchestrazione. Da questo momento Puccini comporrà opere con una continuità musicale maggiore, divise per grandi blocchi drammatico-tonali.

Suor Angelica narra la vicenda di una monaca del XVII secolo di un monastero vicino Siena. Angelica, ragazza di nobile famiglia, è stata costretta alla monacazione a causa di una relazione che ha portato poi alla nascita di un bambino che le è stato strappato e di cui ella ignora il destino. Sua zia va a parlarle in convento, Angelica si aspetta di essere perdonata dopo sette anni di convento e di conoscere il destino del suo bambino, ma la vecchia zia è venuta lì per chiederle solamente di rinunciare alla sua parte del patrimonio familiare per darlo come dote a sua sorella minore. Angelica però chiede insistentemente notizie alla zia, la quale in maniera sprezzante le dice che il suo bambino è morto da due anni a causa di una malattia. La monaca, sconvolta, cade a terra straziata. Ma la zia, imperterrita, dopo aver ottenuto la firma sull’atto, se ne va lasciando Angelica col suo dolore. La monaca medita di uccidersi e scende nell’orto del monastero per preparare una bevanda con erbe velenose e raggiungere il suo bambino, mentre muore comprende che il suicidio è peccato e chiede perdono alla Vergine che appare ad Angelica portandole il suo bambino tra le braccia mentre esala l’ultimo respiro.

Questo è il primo soggetto di Puccini che non è basato su altre opere precedenti ma è interamente originale, anche se troviamo la stessa ambientazione in Storia di una capinera di Giovanni Verga. Questa era la sua opera preferita delle tre. La storia gli fu proposta da Forzano assieme all’idea di fare tre atti unici e il compositore ne fu totalmente entusiasta da subito. Egli aveva anche una sorella, Iginia, monaca nel convento di Vicopelago che gli fornì un prezioso aiuto raccontando le sue esperienze di vita e la sua quotidianità. Un altro aiuto venne dal suo amico frate Pietro Panichelli per trovare delle parole ad hoc in latino per i canti degli angeli nell’apparizione della Vergine. E’ interessante notare che questa sia un’opera di soli personaggi femminili, come è pure emblematico il caso di Angelica, che pur avendo commesso un peccato carnale, è l’archetipo della purezza e il suo canto lo fa ben intendere essendo sempre lirico e alto, a questo viene contrapposto il canto della zia principessa che è violento e pieno di pathos drammatico, poiché questa invece è un personaggio privo di umanità che guarda solamente ai beni materiali passando sopra al dramma personale della nipote.

Gianni Schicchi è ambientato a Firenze alla fine del XIII secolo. Gianni Schicchi viene chiamato dai parenti del defunto Buoso Donati che ha lasciato tutta l’eredità a un convento di frati. All’inizio lui rifiuta perché non vuole collaborare con coloro che fanno parte dell’aristocrazia fiorentina e che disprezzano la “gente nova” e quindi lo considerano un parvenu. La figlia Lauretta gli fa pressione affinché egli accetti e aiuti la famiglia Donati, essendo lei innamorata di Rinuccio, il nipote di Buoso. Gianni riesce a capire come portare la situazione a suo vantaggio, fa nascondere il cadavere di Buoso e si infila nel suo letto per poterlo imitare e fare un falso testamento. Schicchi rassicura prima i parenti di accontentare tutti e rammenta loro che per i falsi testamenti in Firenze si viene condannati all’esilio e al taglio di una mano. All’arrivo del notaio Gianni Schicchi detta il testamento lasciando tutto a sé stesso. Nel frattempo contempla l’amore di Lauretta e Rinuccio che si abbracciano sul balcone e alle proteste dei parenti agita la mano infilata nella manica del vestito come un moncherino e canticchia il tema dell’esilio ricordando a tutti il rischio che corrono se non stanno buoni, infine dopo aver terminato il testamento caccia tutti di casa ormai divenuta sua.

Quando Forzano propose a Puccini il passaggio da un atto a tre non aveva a disposizione ancora l’idea per l’opera comica e il lucchese andò prima a Londra e poi a Parigi ma non trovò nulla da nessun autore che lo stimolasse. Al suo rientro Forzano gli propose l’idea di fare un’opera su Dante. Gianni Schicchi è basata sul canto XXX dell’Inferno dove si narrano le vicende del cavaliere fiorentino inserito nella bolgia dei falsari: “E l’Aretin che rimase, tremando/ mi disse”Quel folletto è Gianni Schicchi/ e va rabbioso altrui così conciando”…Questa a peccar con esso così venne,/falsificando sé in altrui forma,come l’altro che là sen va, sostenne,/per guadagnar la donna de la torma,/falsificare in sé Buoso Donati,/testando e dando al testamento norma” Dante, Inf. Canto XXX, vv. 31-33; 40-45 (E Griffolino d’Arezzo, unico rimasto, tutto tremante, mi disse: “Quello spirito furioso è Gianni Schicchi, e va in girò così arrabbiato conciando in tal modo gli altri”…ella arrivò a commettere atti peccaminosi con lui, camuffandosi in un’altra donna, come fece anche l’altro, Gianni Schicchi, che se ne fugge da quella parte, che osò, per riuscire ad ottenere la più bella cavalla della mandria, fingere di essere Buoso Donati, dettando le norme al notaio e rendendo così legale il testamento”).

La tradizione vuole che Gianni Schicchi de’ Cavalcanti fosse un cavaliere molto bravo nelle imitazioni di altre persone e venne chiamato dal nipote di Buoso per testare in suo favore, cosa che effettivamente fece lasciando per sé solo la “donna de la torma”, ossia la giumenta più bella d’Italia. Questa è l’unica opera buffa del lucchese e Forzano nel riprendere questa vicenda ne accentuò i caratteri grotteschi e giocosi (qui infatti Schicchi non lascia nulla ai parenti), ma questa è una comicità nera perché vediamo come i parenti di Buoso siano degli esseri sprezzanti di fronte al valore della vita e alla tragedia della morte, essendo anche Forzano toscano ciò gli permise di inserire nell’opera riferimenti storici, geografici e di tradizione popolare come lo stornello toscano che insieme ai “toscanismi” del linguaggio diventa qui un elemento di Verismo. La comicità in quest’opera, come abbiamo detto, è particolare e potrebbe essere paragonata a quella del “Falstaff” verdiano con la differenza che qui nasce dalla distorsione di un elemento tragico quasi in maniera pirandelliana, mentre in Falstaff è parte di un’apparente leggerezza che ha sotto un importante messaggio morale. Quest’opera ebbe molta più fortuna rispetto alle altre due e fu quella più rappresentata da sola venendo meno alla volontà dell’autore. Puccini anche qui, come nel Tabarro, basa tutto su dei leitmotiv semplici portati avanti incessantemente dall’orchestra, ci sono moltissimi concertati anche con un undici personaggi in scena a cui si oppongono momenti di una riscoperta cantabilità sentimentale come nella famosa preghiera di Lauretta al padre (“O mio babbino caro“) e nelle promesse di amore, vi è, infine, un grande uso del parlato fra le parti cantate.

http://www.youtube.com/watch?v=s6bSrGbak1g

Come ci si prepara a vedere un’opera del genere? La scelta di creare tre opere è particolare, perché essendo basate sui generi drammatico, lirico e comico si delinea quasi la volontà di inserire tutti i generi nello stesso spettacolo portando lo spettatore al continuo rinnovamento delle emozioni che ciò che vede gli desta. Non si fa in tempo ad inorridire di fronte all’omicidio nella prima e a chiedersi le ragioni che cadiamo in Suor Angelica dove un altro dramma termina con un’elevazione della protagonista che ci desta speranza e ci fa profondamente commuovere. A quel punto Gianni Schicchi riporta il riso e la felicità non senza però una nota amara quando vediamo questi personaggi che sono degli esseri umani rapaci. Come in un pranzo di un grande chef che vuole farci provare molti sapori, alcuni anche stridenti fra loro, Puccini con queste tre opere riesce con la sua musica a farci vivere queste tre storie così diverse ma accomunate dall’elemento realista, che possono farci inorridire, commuovere e ridere nella stessa serata.

Lorenzo Papacci

 

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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