helloCosa ci ha lasciato Ezio Bosso
Ciò che Ezio Bosso ha fatto, sempre e in ogni occasione, è stato rispondere ad un’esigenza egocentrica e al contempo meravigliosa: condividere la propria emotività, portare agli altri ciò che esondava in modo anche confuso e turbolento dal suo modo di vivere e di essere. L’attenzione che Bosso attirava su di sé, sul proprio personaggio, la defletteva istantaneamente verso il suo amore per la musica. Non era «Ezio Bosso» il messaggio, ma «Ezio Bosso che viveva solo per la musica». Il suo messaggio era l’immedesimazione che generava nel pubblico, era diventare l’incarnazione di che cosa potesse fare la musica, quale fosse la sua forza trascinante, capace di dare vita anche ad un uomo che avrebbe avuto tutto il diritto di disperarsi e di richiudersi in se stesso, ma che invece sceglieva di reagire prendendo la bacchetta in mano e componendo. Vorrei sapere quante delle persone che hanno visto quei due episodi di Che storia è la musica! ricordano fatti, informazioni o anche solo frammenti delle sinfonie di Beethoven e Čajkovskij. E poi vorrei sapere quante di quelle persone hanno spento la televisione, dopo ore, pensando quanto fosse bella la musica, quanto fosse importante nelle nostre vite. E forse è questo ciò di cui c’è più bisogno adesso. Non conoscere la musica, ma amarla. Non a livello intellettuale ma empatico, epidermico, di pancia. Assistiamo da anni a questo rivolgersi al basso ventre dei cittadini per i fini più meschini, perché non poterlo fare per un fine nobile?
È da quel giugno che continuo a pensare, spesso correndo a vuoto come un criceto nella ruota, cosa mi era rimasto di ciò che avevo osservato. Ezio Bosso aveva fatto il salto: parlare di musica non era più un trasmettere nozioni, ma trasmettere emozioni, attraverso sé e la propria storia. In molti potranno trovare melenso questo approccio e storcere il naso; io stesso l’ho pensato. Ma mi chiedo se non sia quella la strada da percorrere oggi, in questo mondo profondamente centrato sull’individuo e al contempo bisognoso di storie, inconsapevole dei propri bisogni emotivi perché stordito da un consumismo che è arrivato a pervadere anche il contatto con se stessi, che è una delle anime più profonde dell’arte e della cultura. Bosso forse l’aveva capito, forse l’aveva intuito, forse ha cercato di dare una propria risposta ad un’esigenza più ampia, forse ha cercato di esprimere una propria pulsione interiore, forse tutte queste cose, un po’ alla rinfusa. Cosa ci ha lasciato Ezio Bosso, dunque? Un seme, un seme di qualcosa di diverso, che sta a noi saper curare, come nel secondo movimento della sua Seconda Sinfonia, perché possa crescere come un albero.
Alessandro Tommasi