Mahler e la Terza Sinfonia
di Redazione - 6 Dicembre 2019
la voce degli angeli
Dopo il canto patetico e profondo di notturna meditazione sul testo di Nietzsche, dalla struggente forza espressiva, nel percorso della grande Terza sinfonia di Gustav Mahler irrompono festose, nel Quinto movimento, le campane del mattino e il coro di voci bianche di Es sungen drei Engel [Cantavano tre angeli], su testo tratto da Des Knaben Wunderhorn [Il corno meraviglioso del fanciullo], la più vasta raccolta di liriche popolari, curata tra gli anni 1806-1808 dagli scrittori Achim von Arnim e Clemens Brentano nella cornice letteraria del primo Romanticismo tedesco. Mahler crea nella Terza Sinfonia un accostamento insolito, ma di grande effetto cromatico ed emotivo. Nel Wunderhorn letterario la lirica, recuperata da un antico foglio volante, è un Bettlerlied, un canto di nomadi mendicanti (i Wanderer Bettler) che, secondo le antiche credenze popolari, erano in grado di comunicare con l’aldilà, riportando poi in versi visioni e messaggi con un linguaggio figurato, intreccio di fantasia e retaggio popolare cristiano. Il titolo originario infatti, Armer Kinder Bettlerlied, rimanda alla rappresentazione simbolica di un “paradiso” in cui semplici angeli fanciulli, cantando il perdono di Cristo a Pietro, acclamano nel potere dell’Amore la vera via per la beatitudine celeste [Seligkeit].
L’idea poetica della lieta novella tra giubilo di campane, a contrasto con la solitaria meditazione notturna, era già nella scena Notte della prima parte del Faust di Goethe – una delle opere preferite da Mahler, che ne musicherà la scena finale nella grandiosa Ottava sinfonia – quando le campane del mattino di Pasqua, annuncianti la resurrezione di Cristo, distolgono Faust dal nefasto gesto del suicidio. La tenerezza di quelle voci, che richiamano la fede ingenua dell’infanzia, la libera gioia della festa primaverile, segnano la rinascita, umana, spirituale, cosmica… Grandi appelli in piccole voci, semplici, pure, serene perfino nella morte; quelle stesse voci alle quali Mahler affiderà i messaggi più autentici di fede, da Urlicht della Seconda sinfonia a Das himmlische Leben della Quarta, dai Kindertotenlieder ai cori dei Fanciulli beati dell’Ottava, pronti ad accogliere l’anima di Faust alle sfere più alte fino al visionario finale, esperienza contemplativa trascendente e rigeneratrice, rivelata in suprema gioia sulla via dell’Amore, in risposta a tutte le incertezze dell’esperienza umana. In Es sungen drei Engel, nell’onomatopeico “bimm bamm” introduttivo, squillano voci bianche e campane, scandite sulla compagine dei fiati in legno. Alle tre voci del coro femminile, la declamazione festosa delle prime due strofe:
Es sungen drei Engel einen süßen Gesang,
mit Freuden es selig in den Himmel klang,
sie jauchzten fröhlich auch dabei,
dass Petrus sei von Sünden frei!
Und als der Herr Jesus zu Tische saß,
mit seinen zwölf Jüngern das Abendmahl aß,
da sprach der Herr Jesus: „Was stehst du denn hier?
Wenn ich dich anseh’, so weinest du mir.”
[Tre angeli cantavano un dolce canto che con gioia, beato, risuonava nel cielo, ed essi esultavano allegri perché Pietro era libero dal peccato! E quando il Signore Gesù sedette a tavola, e con i suoi dodici discepoli cenò, così disse il Signore Gesù: “Che fai qui? Perché, quando ti guardo, piangi?]
Gioioso nel tempo e sfacciato nell’espressione, secondo l’indicazione in partitura, il Lied è capace di delineare, nella polifonia compatta delle voci angeliche e nel cromatismo sonoro di fiati e percussioni senza archi, punteggiato dal suono argentino delle campane, un paradiso festoso, luminoso, armonico, svincolato da legami terreni. Quattro accorate battute strumentali introducono la terza strofa, affidata alla voce “umana” del canto solista:
„Und sollt’ ich nicht weinen, du gütiger Gott?
Ich hab’ übertreten die Zehn Gebot.
Ich gehe und weine ja bitterlich.“
„Du sollst ja nicht weinen.“
„Ach komm und erbarme dich über mich!“
[“Non dovrei forse piangere, buon Dio? Io ho trasgredito i Dieci Comandamenti. Ora vado via e piangerò amaramente”. “Tu non devi piangere”. “Ah, vieni, ed abbi pietà di me!”]
È un contrito atto di dolore, cui fanno eco inquietanti sonorità “terrene” (oboe, clarinetto basso, controfagotto, tromboni, gong). Doppia la dimensione sonora: cori angelici che, nella ripetizione gioiosa del verso Du sollst ja nicht weinen, sembrano non conoscere il dolore, e la supplica, tragicamente umana, del perdono – Ach komm und erbarme dich über mich! –nell’accorata melodia ripresa dai ritornelli conclusivi di Das himmlische Leben, il Lied composto da Mahler nel 1892 sul testo di un canto popolare cattolico del Wunderhorn, che diverrà presto il nuovo, visionario paradiso della Quarta sinfonia:
In un inquietante, dinamico crescendo, violentemente espressivo sull’intera compagine orchestrale, la musica prende corpo preparando le strofe finali, introdotte dai violoncelli:
„Hast du denn übertreten die Zehn Gebot,
so fall auf die Knie und bete zu Gott.
Liebe nur Gott in alle Zeit,
so wirst du erlangen die himmlische Freud!“
Die himmlische Freud ist eine selige Stadt,
die himmlische Freud, die kein End mehr hat;
die himmlische Freud war Petro bereit
durch Jesum und Allen zur Seligkeit.
[“Se hai trasgredito i Dieci Comandamenti, piegati sulle ginocchia e prega Dio. Ama solo Dio, in ogni momento, così otterrai la gioia celeste!”. La gioia celeste è una città beata, la gioia celeste non avrà mai più fine; la gioia celeste fu preparata a Pietro ed a tutti, tramite Gesù, per raggiungere la beatitudine.]
Inni di gioia erompono nel contrappunto delle voci bianche, in una coralità quasi rapsodica di sensi per proclamare a gran voce la himmlische Freude, la gioia celeste. La polifonia diviene ora totale, vocale e strumentale. Voci nuove, terse, primigenie, giungono luminose per evocare il potere dell’amore, il dono della fede, la Seligkeit, punto di tensione finale dell’intero quadro sonoro, per poi ricomporsi nei franti bimm bamm finali, che sigillano il breve incanto della gioiosa, surreale evocazione.
Nei cromatismi cangianti del paradiso mahleriano di questo Lied, nelle variegate tinte sonore di un’orchestra in cui manca completamente il suono dei violini, non sogni e illusioni perdute, né oscuri pensieri di morte, ma il salvifico, visionario richiamo da mondi lontani, ricreati nella sostanza lirica e dinamica dei suoni, nella “metafisica” stessa della musica, che invitano a guardare “oltre il confine” per preparare, nella riconciliazione finale degli elementi, il “rito” del grande Adagio finale (Sesto movimento), teso alla ricerca estatica del senso più profondo dell’essere e del divenire.
Adele Boghetich