Esplorare e scoprire
di Nicola Guerini - 2 Ottobre 2019
l’eclettismo di Claudio Scimone
Chi ha conosciuto o ha collaborato con Claudio Scimone lo ricorda come un uomo coltissimo e un artista curioso e poliedrico. Ciò che colpiva in lui era l’entusiasmo contagioso, la generosità e la gioia della condivisione: aspetti che lo hanno caratterizzato e reso un interprete libero e senza pregiudizi. Quando parliamo della sua attività dobbiamo considerare i diversi aspetti del suo eclettismo: la sua formazione musicale, la ricerca e l’esplorazione stilistica, il suo impegno per la divulgazione, il suo interesse per la musicologia e la sua costante promozione della Cultura e dei valori della Bellezza. Scimone si è occupato del linguaggio dell’Arte mettendo sempre al centro il binomio ricerca e riscoperta del repertorio con la figura del direttore d’orchestra e l’interprete. Se tutti questi interessi lo hanno formato, Scimone ha poi restituito a queste discipline tutti i traguardi raggiunti sul podio diventando un interprete estremamente attento al testo musicale, sensibile alla prassi, alle scelte interpretative e alla diffusione di un nuovo repertorio.
Scimone studia al liceo classico e coltiva gli interessi musicali studiando e diplomandosi in pianoforte con Carlo Vidusso. Prende lezioni di fagotto e di violino per proprio diletto e si dedica allo studio della composizione diplomandosi sotto la guida di Arrigo Pedrollo. Frequenta a Salisburgo i corsi di pianoforte con Carlo Zecchi dal quale riceve i primi rudimenti e consigli per la tecnica direttoriale. È appassionato anche di filosofia ma decide di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza.
Sempre a Salisburgo incontra il grande Dimitri Mitrópoulos che segue per tre anni a Salisburgo e a Vienna, poi a New York e ad Atene. Con Mitropulus capisce davvero «cosa significa essere un direttore d’orchestra e cosa significa comunicare qualcosa di spirituale agli uomini attraverso gli uomini», racconta Scimone in un’intervista, «Mitropulus non era solo il direttore leggendario dalla memoria spaventosa con un orecchio che gli permetteva di percepire anche il più lieve soffio, una nota sbagliata in un tutti della Lulù di Berg, ma soprattutto ha comunicato il senso mistico della direzione d’orchestra per cui il direttore è un po’ il tramite fra una verità superiore e chi l’ascolta. È una ritualità, una ritualità gioiosa, una ritualità che coinvolge, non una esibizione: è una ritualità che si vive insieme fra persone alle quali si vuol bene e con spettatori che nella vita non si conoscono.»
Per Claudio Scimone quel “rito” insieme alla condivisione rappresentano un parametro importante per la sua missione di interprete: un atto d’amore tra chi suona e chi ascolta.
Decide di seguire anche un’altro gigante del podio: «Mi sono iscritto ad un corso con un altro grandissimo, Franco Ferrara. Avevo già il diploma di pianoforte e studiavo un po’ di violino e un po’ di fagotto […], ho imparato a preparare tecnicamente le parti per indicare tutte le informazioni per gli strumentisti…..» e aggiunge un dettaglio importante per la sua visione del testo musicale, «…ciò che conta più di tutto per me è il messaggio, ma quel messaggio che si matura al di fuori della stretta realtà musicale».
Con Franco Ferrara frequenta i corsi a Hilversum, in Olanda, presso le “Radio Unite Olandesi“ (corsi che furono attivi dal 1958 al 1973).
Scimone inizia i primi passi dirigendo allo studio teologico per laici del Santo in un breve concerto natalizio, prosegue dirigendo a Padova gruppi di studenti e successivamente un’orchestra professionale al politecnico di Milano fondata da Alberto Zedda. Il suo percorso artistico, tracciato sempre dalla sperimentazione, dallo studio e dal “ricercare continuo”, lo porta ad incontrare strumentisti di talento per la gioia di far musica insieme e iniziare così un cammino che diventerà il “progetto” artistico di tutta la sua vita. Insieme a loro infatti, nel 1959, fonda a Padova I Solisti Veneti per amore del territorio e per dare opportunità professionali ad eccellenti musicisti che non avevano realtà per esprimersi.
Questa è un’intuizione che si rivela determinante per diventare ben presto una realtà artistica di riferimento: riferimento per la riscoperta della cultura musicale veneta che sarà da lui promossa come “ambasciatore” e direttore d’orchestra nelle sale e nei teatri di tutto il mondo. Undici archi e un cembalo: questo era l’organico iniziale che fu poi ampliato per accogliere nuovi strumentisti e sviluppare il repertorio. Nei suoi obiettivi c’è la progettualità e l’impegno di fidelizzare il pubblico con programmi stimolanti e mai scontati. Si forma così ben presto il “suo” pubblico che lo sostiene, lo incoraggia, lo segue sempre più numeroso e internazionale.
Non si può certo dimenticare il suo impegno per la divulgazione e la diffusione della grande musica. A partire dal 1965 I Solisti Veneti, furono i primi in Italia ad eseguire concerti nelle scuole con programmi e presentazioni differenziate a seconda dei singoli gradi di istruzione (elementare, secondaria inferiore e superiore, università, scuole ad indirizzo musicale). Con il primo concerto al Teatro Olimpico di Vicenza, datato 26 ottobre 1959, l’ensemble comincia la lunga avventura e sotto la sua guida si specializza nel repertorio del Settecento senza trascurare l’interesse per l’Ottocento, il Novecento storico e il contemporaneo. È impressionante leggere i migliaia di programmi con autori, stili, linguaggi diversi pensati, ritrovati e realizzati da Claudio Scimone.
La sua carriera è un crescendo continuo. Debutta al Covent Garden con l’Elisir d’Amore e presto collabora per i concerti, le opere e le registrazioni con le orchestre e i teatri più importanti del panorama internazionale. Sarà presente più volte nelle stagioni del Teatro La Fenice, dell’Arena di Verona, delle Terme di Caracalla, del Rossini Opera Festival di Pesaro, dei Teatri d’ Opera di New York, Parigi, Bruxelles, Macerata (Sferisterio), Houston, Melbourne, Liegi, ecc. Collabora con le Orchestre Sinfoniche, in concerto e in disco tra le quali la Philarmonia e la Royal Philharmonic di Londra, la Mostly Mozart Orchestra, le Orchestre della Radio Francese a Parigi, la Yomiuri Symphony Orchestra e la New Japan Philhamonic di Tokyo, la Bamberger Symphoniker, l’English Chamber Orchestra, l’Ensemble Orchestral de Paris, l’Orchestra della RAI di Torino, l’ Orchestre Philarmonique de Montecarlo, l’Orchestra Gulbenkian di Lisbona, della quale è direttore stabile e onorario, e molte altre fra cui naturalmente I Solisti Veneti.
Ha collaborato più volte con interpreti quali Placido Domingo, Andrea Bocelli, Ruggero Raimondi, Cecilia Gasdia, Katia Ricciarelli, Josè Carreras ed è stato anche lo scopritore di talenti come il basso Samuel Ramey, il soprano June Anderson, il tenore Chris Merritt e il mezzosoprano Margherita Zimmermann.
È un protagonista autorevole della renaissance rossiniana e collabora con la Fondazione Rossini di Pesaro per l’edizione critica delle opere del compositore. A lui si devono le prime esecuzioni moderne del Mosè in Egitto, del Maometto II, dell’Edipo a Colono (tutte per il Rossini Opera Festival di Pesaro).
Tra i meriti che vanno attributi a Scimone c’è anche quello di aver riportato alla luce le partiture dimenticate di grandi compositori italiani fra cui Albinoni, Mercadante, Geminiani, Tartini, Boccherini, Giannella, Galuppi, Rolla, Salieri, senza dimenticare l’opera sinfonica di Muzio Clementi e il bellissimo Guillaume Tell di André Grétry.
La sua produzione discografica è vastissima: oltre 350 titoli in LP, CD e DVD per le più importanti etichette (Erato- WEA, Philips, BMG – RCA, ecc.) e la serie di DVD dedicati alla musica veneta nei grandi capolavori dell’arte veneta tra cui Le Stagioni di Vivaldi nelle Ville Venete (Arthaus) , Il Gloria e la musica sacra di Antonio Vivaldi in San Marco a Venezia e nella Cappella di Giotto a Padova (Dynamic”) , I Concerti per flauto di Vivaldi nel Palazzo Ducale con James Galway (Hardy) , Il Concilio dei Pianeti di Albinoni nella Sala della Ragione di Padova (Unitel). Ci sono anche cinque importanti lungometraggi televisivi, cinque film, tra cui Le Sette Ultime Parole di Cristo su musica di F. J. Haydn, girato nella cappella degli Scrovegni di Giotto, con la regia di Ermanno Olmi, Vivaldi: une ville un artiste di Eric Lippmann (Rai Uno, RF3), Vivaldi, pientre de la Musique di François Reichenbach, Vivaldi et Venice (1985) di Eric Lippmann, Vivaldi, il Prete Rosso di Liana Marabini (2017) e il documentario per la Rai del 1973 Un’ora con Claudio Scimone.
I Solisti Veneti pubblicano sotto la sua direzione una serie di cataloghi tematici di opere dei compositori veneziani tra i quali Albinoni, Bonporti, Tartini, Galuppi, Platti Torelli e Antonio Vivaldi, del quale ha esplorato l’immenso repertorio rivestendo il ruolo di ricercatore, dell’interprete, del pioniere per la diffusione e la registrazione dell’opera omnia edita in vita dal compositore. Va ricordato inoltre che per il repertorio vivaldiano Scimone è stato uno dei primi a restituire l’Orlando Furioso con la prima esecuzione moderna del 1978 al Teatro Filarmonico di Verona con Marilyn Horne, Victoria de Los Angeles, Lucia Valentini Terrani e la regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi.
A proposito del repertorio settecentesco è interessante riportare qualche frase di un’ intervista pubblicata sulla rivista Suonare News a cura di Alice Bertolini in cui Scimone spiega il suo rapporto con la filologia musicale e la prassi esecutiva:
«Ho sempre coltivato la filologia come scienza per la preparazione delle esecuzioni, ma odio la falsa filologia come dogma. Quando abbiamo iniziato, Vivaldi era rubricato come musica antica e quindi le interpretazioni erano lente, pesanti, senza colori. Noi invece pensiamo a lui come a un uomo pieno di temperamento, un mago del colore che ha lavorato in mezzo ad architetti come Palladio, a pittori come Tiepolo, Tintoretto, Veronese. Tutti sbagliano l’attacco della Primavera: lo suonano staccato come una marcetta. Ma il brano originale era anche un coro dell’opera, quindi va eseguito legato e cantabile. […] Certa filologia ha basi teoriche tendenziose e dogmatiche. Ad esempio, c’è un diktat che vieta il vibrato, ma il vibrato è sempre esistito. Non dico che Vivaldi vada suonato come Brahms, ma i musicisti hanno sempre suonato secondo natura e non secondo le teorie dei trattati, che sembrano essere l’unica bibbia dei filologi».
Scimone è un interprete libero e in qualche modo contro corrente per l’epoca, come la partecipazione nel 1970 con i Solisti Veneti al Festivalbar e l’esecuzione dell’Andante per due mandolini di Vivaldi votato da 365.000 spettatori.
Se ha dedicato molti anni al Settecento italiano non ha trascurato il proprio interesse per le partiture del Novecento e del linguaggio contemporaneo. Diversi compositori, infatti, gli hanno dedicato una propria opera dando vita ad una nuova letteratura per 12 o più archi solisti: Sylvano Bussotti, Franco Donatoni, Riccardo Malipiero, Marius Constant, Christobal Halffter, Luis De Pablo, Domenico Guaccero, Georges Aperghis, Maria Cristina De Santi, Ennio Morricone, Lucio Dalla, Pino Donaggio, Bepi De Marzi, Nicola Campogrande, Giacomo Manzoni, Azio Corghi e Luciano Chailly.
A tutte queste attività si aggiunge la passione per la formazione dei giovani musicisti. Numerose sono le master class collettive nelle quali I Solisti Veneti suonavano e suonano insieme a orchestre di giovani e studenti, come a Caracas per il Sistema di Josè Abreu, nei Paesi Europei, negli Usa, in Canada, Cina e numerosi altri Paesi fra cui Armenia, Kenya, Oman.
«Esplorare e scoprire» quindi, come lui amava definire il suo incessante lavoro di direttore: due termini che meglio definiscono il suo eclettismo e caratterizzano la vita intera dedicata alla Musica.
Claudio Scimone si spegne nella sua Padova il 6 settembre 2018. Aveva 83 anni.
Restano le sue registrazioni e le testimonianze di chi lo ha amato e ne ha apprezzato il profilo umano e artistico. Risuonano ancora le sue parole, la sua voglia di comunicare «qualcosa di spirituale agli uomini attraverso gli uomini» ma soprattutto la dimensione mistica della direzione d’orchestra che lui considerava un “rito”: un rito che continua e che si traduce nel suono dei “suoi” Solisti, ora testamento artistico del suo pensiero, della sua generosità e della sua irresistibile gioia di far musica.
Nicola Guerini