I successi e i fallimenti di una voce indimenticabile
di Redazione - 18 Marzo 2024
Dinah Washington: identikit di una delle regine del blues americano
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In quest’ottica nasce la rubrica “Divulgatore per un giorno”, curata dal nostro Marco Surace, che negli scorsi mesi ha guidato un gruppo di studenti di musica del Conservatorio Franco Vittadini di Pavia nella ricerca della loro personale voce e della loro identità di divulgatori musicali.
L’ultimo articolo della rubrica è un “identikit” di Giada Plastina atto a ricostruire la vita e l’arte di una delle voci black più particolari del blues americano: Dinah Washington.
Aveva una voce flautata, sinuosa, carezzevole e penetrante.
Grande insegnante del blues e del gospel, conosceva e sapeva
eseguire perfettamente tutte le tecniche della musica black.
(Arnold Shaw)
Dinah Washington, nome d’arte di Ruth Lee Jones, nata il 29 agosto 1924, a Tuscalosa, in Alabama, da Ollie Jones e Alice Williams.
L’infanzia della giovane Ruth fu poco felice. La situazione socio-economica degli afro-americani negli Stati del Sud costrinse lei e la sua famiglia a cercare fortuna a Chicago. Ebbe un padre poco presente e dedito al gioco d’azzardo. La madre, che doveva lavorare per mantenere la famiglia, la affidava spesso alla Parrocchia del quartiere. La Chiesa divenne un punto di riferimento per Ruth, dove cominciò a cantare, accompagnata al pianoforte dalla madre.
A dieci anni divenne una componente effettiva del coro della Chiesa di St. Luke, nel South Side e, successivamente, leader e pianista.
Si iscrisse alla DuSable High School dove studiò musica e cominciò ad esibirsi nei night club dove esordì con il nome d’arte Dinah Washington.
Ruth crebbe nella culla del gospel, scoprendo la sua attitudine come cantante e pianista in grado di eseguire qualsiasi cosa sentisse.
Il debutto ufficiale di Dinah Washington avvenne a diciotto anni: nel 1942 si esibì al Garrick Stage Bar di Chicago. Scoperta dal manager Joe Glaser, nel 1943 la Washington entrò a far parte dell’orchestra del grande vibrafonista Lionel Hampton come cantante, con cui restò per tre anni.
In questo stesso periodo firmò un contratto con la casa discografica Keynote Records per la quale registrò le sue prime incisioni accompagnata dallo stesso Hampton.
I primi successi furono Evil gal blues e Salty papa blues, scritti da Lionel Hampton in collaborazione con Leonard Feather, critico musicale e storico del Jazz oltre che brillante musicista e arrangiatore. Nel 1948 firmò un contratto con la Mercury-EmArcy Records con la quale incise una versione strepitosa di West Side Baby. Seguirono poi moltissime altre hit che la resero famosa in tutti gli Stati Uniti, come Am I Asking too much, Trouble in Mind, la reinterpretazione di Cold, Cold Heart di Hank Williams, You don’t know what love is arrangiata da Quincy Jones. In quegli anni Dinah Washington aveva già un enorme repertorio con brani di quasi tutti gli autori più prestigiosi del Great American Songbook (termine riferito ai musicisti legati al panorama musicale di Broadway e alla Tin Pan Alley, in un periodo che inizia dagli anni Venti fino agli anni Sessanta con l’avvento del rock and roll).
Lasciata l’orchestra di Hampton, per un breve periodo lavorò come solista per l’Apollo Records prediligendo il rhythm and blues, genere a lei molto congeniale che la portò in cima alle classifiche con brani come I love you yes I do e It’s too soon to know. In questo periodo registrò molti brani di blues e rhythm & blues, tra cui due hit: Trouble in Mind e Baby, Get Lost meritandosi i titoli di “Regina del blues”, “Regina del rhythm & blues” e, addirittura, “Regina dei jukeboxes”.
Per i critici il miglior periodo di Dinah fu quello che andò dal 1954 al 1958, durante il quale si esibì con musicisti di alto livello e allora molto affermati (da Clark Terry a Maynard Ferguson). Questi sono anche gli anni delle memorabili registrazioni per la Mercury Records, come gli album “The Jazz Sides”, “Dinah Jams”, “The fats waller songbook”, “For those in love”. Altro grande successo fu Teach me tonight, del 1954, premiata con il Grammy Hall of Fame Award 1999. Nel 1958 riportò una sua trionfale esibizione al famoso Newport Jazz Festival, accanto ai migliori Jazzmen del momento.
Ma il suo più grande successo fu indubbiamente What a difference a day makes, del 1959, che vinse un Grammy Award per la miglior performance rhythm and blues, raggiunse il numero 8 nella classifica Hot 100 di Bilboard e venne premiata con il Grammy Hall of Fame 1998. Alla fine degli anni Cinquanta, Dinah era già un’artista affermata. In questo periodo di successo, su spinta dei discografici, si cimentò in repertorio meno impegnato e più commerciale, come September in the Rain, Tears and Laughters, Mad about the boy.
Altro grande successo fu l’album inciso in duo nel 1960 con il cantante Brook Benton; due singoli raggiunsero il primo posto nella classifica americana rhythm and blues: Baby (You’ve Got What it takes) e A Rockin’ Good Way (to Mess Around And Fall in Love). Nel 1961 si chiuse il contratto con la Mercury Records, per la quale furono state registrate ben 444 incisioni, compresi inediti e versioni alternative raccolte dalla Universal Music in sette cofanetti dal titolo “The Complete Dinah Washington on Mercury (Vol. 1-7)”.
Oggi Dinah Washington è considerata una delle grandi voci “nere” insieme ad Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan e Billie Holiday. In meno di vent’anni di carriera, ha prodotto un’ampia discografia e la sua voce e il suo swing emergono anche in brani più lontani dalla sua sensibilità artistica. Il canto di Dinah è un esempio originalissimo dell’espressività vocale nero-americana in cui si fondono, spontaneamente e senza artificiosità, le forme più popolari della black music: gospel, blues, boogie-woogie, rhythm, rock & roll nero, soul. Dinah era anche dotata di una dizione cristallina e, come Billie Holiday, di un formidabile senso del tempo. La sua voce, perfettamente intonata, aveva un vibrato caratteristico e un peculiare timbro lievemente nasale, rilassato e penetrante allo stesso tempo. Il suo canto si faceva ironico e bluesy anche nelle ballads e negli standards più jazzistici per poi riempirsi di pathos con inflessioni laceranti che ricordavano i” field hollers”, gridi intonati degli schiavi nei campi di lavoro. Lo stesso Quincy Jones, che, oltre ad essere stato uno dei suoi tanti amanti, fu anche il suo arrangiatore, disse di lei:
“Dinah potrebbe prendere una melodia in mano come se fosse un uovo, romperla, farla friggere e sfrigolare, ricomporla, rimettere l’uovo dentro la scatola nel frigorifero e se ne potrebbe capire ogni singola sillaba”
In meno di vent’anni di carriera, ha prodotto un’ampia discografia e la sua voce e il suo swing emergono anche in brani più lontani dalla sua sensibilità artistica
Alle soddisfazioni artistiche, però, si contrappose una vita privata costellata da delusioni e problemi. Con sette matrimoni alla spalle e un difficile rapporto con i discografici, alla fine del 1962 Dinah fu quasi tentata di lasciar perdere tutto. Ci ripensò e nell’estate del 1963 si preparò con cura al ritorno sulle scene, riprendendo a provare in sala e in palcoscenico, ma la tensione dell’attesa la soffocava ed un regime dietetico drastico l’aveva indebolita. Purtroppo la sua movimentata vita privata, i suoi problemi di linea, il suo difficile rapporto con l’ambiente di lavoro e le innumerevoli frustrazioni l’avevano resa facile preda anche dei barbiturici e degli anoressizzanti. La sera del 14 dicembre 1963, Dinah si trovava nella sua casa di Detroit: proprio a causa di una micidiale overdose di pillole dietetiche e alcol, si chiuse la sua esistenza tormentata all’età di soli 39 anni. È sepolta nel cimitero di Burr Oak, ad Alsip, Illinois.
e aggiunse anche che il fatto di essere musicista le permetteva di interagire con facilità con chi l’accompagnava, essendo in grado di leggere a prima vista i suoi arrangiamenti.
Insomma, Dinah era una “first take artist”, cioè, una cantante la cui prima registrazione in studio era già di tale livello qualitativo da poter essere pubblicata senza ulteriori tentativi. Tutto questo grazie alla sua preparazione musicale e la sua intensa partecipazione che la facevano rendere in studio tanto quanto in concerto. Pur spaziando tra i vari generi musicali, dal pop al jazz, dal blues al country, non volle mai registrare un album gospel. Credeva fosse sbagliato mescolare il religioso ed il secolare. Per Dinah il music business era troppo in contrasto con la sacralità del gospel.