Sebastian di Cesare Picco
di Matteo Camogliano - 21 Marzo 2020
racconto di un viaggio musicale
Quando si parla dei grandi personaggi della storia, divenuti celebri per i loro meriti o demeriti, quasi sempre nel nostro cervello si crea l’immagine di personaggi adulti, se non addirittura anziani, dall’aria saggia e vissuta, come li abbiamo visti forse a scuola su qualche libro di storia. Risulta molto più difficile immaginarli bambini, è strano pensare a un Cesare, un Leonardo, Napoleone o Einstein, uomini che hanno lasciato profondi segni nella storia, all’età di dieci o quindici anni. Eppure anche loro sono stati bambini e poi ragazzi. Così vale anche per i grandi musicisti del passato, rappresentati spesso negli anni della vecchiaia oppure con candide parrucche a dare maggiore austerità e autorevolezza ai visi da trentenni. Eccezion fatta per Mozart, celebre enfant prodige, di cui comunque l’iconografia ha tramandato più che altro la sua immagine da musicista adulto, la figura del compositore è sempre quella di un uomo vetusto, saggio e serio. A maggior ragione se si pensa a Johann Sebastian Bach, l’osservante protestante considerato come padre della musica occidentale, di cui subito ci si dipinge davanti agli occhi l’immagine del viso imparruccato, un po’ tozzo e imbronciato.
L’elemento chiave che viene introdotto è infatti quello misterioso e soprannaturale, l’incontro con un vecchio che dà ambigui consigli e poi sparisce nel nulla, affidando i ragazzi alla guida di un corvo, uccello dal connotato mortifero e magico per eccellenza. Il corvo conduce i ragazzi su un percorso incerto, pericoloso, che li conduce quasi alla morte: ecco l’ascesa al monte delle streghe, che sembra appunto rievocare il monte del purgatorio dantesco o il monte Ventoso petrarchesco, salita faticosa e insidiosa, ma necessaria per conoscere la verità. Il viaggio dunque si fa esperienza mistica, religiosa, di contemplazione della natura e comprensione dell’universo, per arrivare alla conoscenza della verità, che per il giovane Bach è quella insita nello stretto legame tra la musica ed il creato.
Cesare Picco alterna nei suoi capitoli, ciascuno intitolato a un’opera del compositore, due racconti: uno dedicato a questo viaggio giovanile ed uno in cui invece si fa un salto temporale di circa cinquant’anni in avanti. Quest’altro racconto nel racconto narra le vicende di un Bach prima adulto e poi anziano e ormai alle soglie di quella malattia, la cecità, che lo conduce prima all’oscurità e poi alla morte. Qui, attraverso il punto di vista della seconda moglie Anna Magdalena, conosciamo la tenera intimità della famiglia di Johann Sebastian, ma anche quelli che sono i risvolti sulla carriera di Bach del viaggio compiuto da ragazzo, e dunque ovviamente le sue più importanti opere musicali, di cui capiamo o intravediamo l’ispirazione. Il viaggio resta infatti una componente forte e centrale anche nella maturità del compositore: lo vediamo dai numerosi spostamenti di città in città di cui ci viene narrato, e soprattutto dalla volontà di cercare sempre nuove opportunità e occasioni per scrivere musica migliore, insomma la ferma convinzione di non fermarsi mai, di andare sempre avanti nel cammino della vita.
L’atmosfera del libro inoltre sembra cambiare colore, o meglio tonalità, mano a mano che si procede nel racconto: da un’iniziale incertezza modale si passa a momenti di verde idillio in maggiore, poi l’aria si fa via via più cupa, fino ad arrivare nel buio e nella tristezza del modo minore, in cui tuttavia, alla fine, rientra un bagliore di luce serena e gioiosa, come una tipica e solare cadenza piccarda barocca.
Quel salto nel vuoto che Sebastian compie una volta giunto in cima al monte Brocken, nel momento di massimo pericolo, è lo stesso salto che dovrà fare con coraggio una volta piombato nel buio totale della cecità, in cui la unica guida rimane la musica che continua a scorrere davanti agli occhi della sua mente. In entrambe le circostanze ciò che muove Bach è una profonda fede, che se in gioventù è nelle parole di un vecchio misterioso e senza identità, in età adulta quella guida ha un’identità ben chiara in Dio, in cui Bach confida ciecamente, definendosi compositore Soli Deo Gratia.
Bach che dunque in vita risulta incomprensibile ai più, non esercita nel suo tempo influenze dirette e non conquista grandi platee e consensi, ma consegna al futuro un linguaggio dal quale non si può prescindere, non solo per la storia della musica, ma per quella della filosofia del pensiero occidentale, per la storia dell’uomo.
Senza Bach, Dio sarebbe sminuito. Solo con Bach si ha l’impressione che l’universo non sia un fallimento. In lui tutto è profondo, reale, senza finzioni. Se esiste un assoluto, è Bach. Non si possono avere sensazioni simili con un’opera letteraria, perché in Bach non c’entra il linguaggio. Certo, ci sono dei testi su Bach, ma non eccezionali. Il suono è tutto. Bach dà un senso alla religione. Bach compromette l’idea del nulla dell’altro mondo. Non tutto è illusione quando si ascolta un tale richiamo.
Quando voi ascoltate Bach vedete nascere Dio… Dopo un oratorio, una cantata o una “Passione”, Dio deve esistere… Pensare che tanti teologi e filosofi hanno sprecato notti e giorni a cercare prove dell’esistenza di Dio, dimenticando la sola!Emil Cioran