Santa Cecilia ricomincia, di nuovo
di Filippo Simonelli - 17 Maggio 2021
L’ultimo concerto dell’Accademia di Santa Cecilia recensito su queste pagine era stato quello inaugurale della Stagione 2020-2021, o meglio quello che avrebbe dovuto esserlo. Era fine ottobre 2020, quel che è successo dopo purtroppo è storia ben nota. Tornare in sala per una nuova ripresa, dopo tutti questi mesi, presenta delle incognite inevitabili, accompagnate per fortuna da punti fermi inamovibili, a partire dall’altissimo livello strumentale. Ma andiamo con ordine.
Il programma e i protagonisti
Per inaugurare la serie dei “Concerti di Primavera” l’Accademia di Santa Cecilia ha scelto di proporre un programma sostanzioso nonostante le restrizioni: concerto per pianoforte e orchestra n. 1 di Brahms, con Beatrice Rana al pianoforte, e poi tutto d’un fiato, senza intervalli, dentro la Sesta Sinfonia di Shostakovich, il tutto sotto il comando di Alpesh Chahuan. La pianista salentina è oramai una presenza stabile dell’Accademia, e il feeling che ha con l’orchestra è talmente evidente da essere quasi scontato; per il direttore di Birmingham invece si trattava di un debutto, un battesimo di fuoco come culmine di un’esperienza italiana che lo ha già portato sui palcoscenici di numerose realtà del nostro paese, tra cui la Filarmonica Toscanini di cui è stato direttore principale per tre anni.
L’interpretazione di Chauhan e Rana
Il concerto di Brahms è un brano impegnativo sotto ogni punto di vista: musicale, tecnico, muscolare persino. È cosa nota che lo stesso compositore fosse un valentissimo pianista e quindi si sentisse quasi in dovere di mettere sotto pressione quanti avessero osato affrontare le sue creazioni, arrivando a rasentare il sadismo talvolta. Il risultato è un brano di musica imponentemente brahmsiano, che alterna momenti pachidermici come la tonante introduzione del primo movimento ad assaggi di dolcezza nascosta tra le pieghe di una partitura sempre incredibilmente densa. Mettere in piedi una creazione di questo genere è tutt’altro che semplice anche solo per curare gli aspetti d’insieme dell’orchestra e l’amalgama con il solista. Il risultato raggiunto dalla coppia Rana-Chahuan è stato all’altezza delle aspettative; del rapporto privilegiato tra solista e orchestra si è già detto in precedenza, e l’apporto del direttore è stato misurato ma comunque personale, come già era stato nelle precedenti interpretazioni brahmsiane del giovane direttore inglese: sonorità possenti alternate a colori crepuscolari, per cercare di sintetizzare in una ricerca sonora quelli che sono gli aspetti prevalenti della poetica del compositore di Amburgo.
Dopo i primi lunghi e liberatori applausi, sparito il pianoforte dal palcoscenico e ingrossate le fila dell’orchestra, è arrivato il momento di Shostakovich, un banco di prova più impegnativo per il direttore che col repertorio romantico ha già dimostrato in passato di avere una grande familiarità. La sinfonia del compositore sovietico presenta una struttura generale diversa rispetto al modello classico: il lirismo è interamente concentrato nel primo tempo, un lunghissimo adagio di quasi venti minuti seguito da un allegro brillante (per gli standard di Shostakovich, naturalmente) e un presto turbinoso.
Cosa è emerso da questo ascolto? Anzitutto che l’Orchestra tutta è in gran forma: sicuramente il non aver interrotto le attività, deviandole in streaming, ha aiutato a mantenere alta la soglia di attenzione dei musicisti; tra le numerose prime parti che si son fatte valere nel nugolo della scrittura di Shostakovich hanno brillato certamente il primo violino Andrea Obiso, che ha eseguito il suo solo con la stessa naturalezza con cui noialtri prendiamo un bicchier d’acqua, la flautista Adriana Ferreira, pronta a rispondere presente ogni volta in cui è stata chiamata in causa dal nostro Dmitri, e tutto il pacchetto di percussioni, anima rullante della sinfonia. Chahuan ha dimostrato di avere un gran controllo dell’orchestra mantenendo anzitutto un portamento sicuro e tranquillo nonostante le montagne russe emotive della musica, alternando una gestualità universale e di facile comprensione ad alcuni movimenti personalissimi, indirizzati principalmente verso una sezione ottoni chiamata di frequente a fare gli straordinari.
La risposta del pubblico di Santa Cecilia
Il pubblico ha risposto in maniera entusiastica a questa prima riapertura. Pur utilizzando un cliché stantio e polveroso, c’è proprio da dire che gli applausi sono stati commossi.
Ma attenzione, stavolta non si tratta di una frase fatta da critico pigro, perché gli applausi ci sono stati, rumorosi e tanti, – nonostante le presenze in sala fossero contingentate e distanziate – sinceri e davvero commossi. Di più, erano applausi reciproci: il pubblico era grato, ma è stata l’Orchestra a rendere il maggiore omaggio. Non solo all’inizio del concerto, quando dopo mesi di concerti sotto una morfina virtuale ha potuto rivedere le facce curiose e attente del pubblico in sala, ma anche nel congratularsi con il binomio straordinario di solista e direttore, e infine nei complimenti che ogni sezione della compagine ha dato e ricevuto singolarmente. In questi applausi c’è tutta l’umanità di questi musicisti, nascosta inevitabilmente dietro mascherine e dispositivi di protezione individuali, che riemerge strabordante dopo una pausa interminabile.