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La “Resurrezione” attesa a Santa Cecilia

di Valerio Sebastiani - 5 Giugno 2019

Mikko Franck dirige la Seconda di Mahler

Il concerto dello scorso weekend che ha visto ospite il quarantenne finlandese Mikko Franck( intervistato in un’altra occasione qui) ed interprete della Seconda Sinfonia (Auferstehung) di Mahler, ha lasciato tanti quesiti sul significato di interpretare il compositore boemo, ora che, dopo la grande spinta provocata dalla sua Reinassance negli anni ’60 e ’70 del Novecento, è diventato una presenza imprescindibile nei programmi di sala mondiali. Mahler rimane comunque uno dei compositori che più ha fatto discutere interpreti e musicologi, filosofi e storici della cultura, che si sono sempre divisi sulla natura concreta di questo compositore: un classico che ha operato una delle più mirabili sintesi della tradizione musicale austro-tedesca, oppure visionario ambiguo, unico nel suo genere, proiettato verso il futuro? Mikko Franck, dirigendo in maniera esemplare, con il suo entusiasmo serafico l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ha dato prova di saper scegliere una parte. In questa recensione si proverà a riconsegnare attraverso la debolezza delle parole, i numerosi spunti e suggestioni che l’interprete finlandese è stato in grado di scatenare. Non una mera cronaca, ma l’illuminazione – puramente soggettiva (perché a volte determinate recensioni lo impongono) – di alcuni aspetti salienti di un concerto, sotto molti punti di vista, memorabile.

Una cosa va detta immediatamente. Mikko Franck è stato in grado di riconsegnare una Seconda Sinfonia come, probabilmente, non si sentiva da molto tempo. Un Mahler veramente eterogeneo, in cui le protagoniste indiscusse sono state le profondità di piani, le stratificazioni di sonorità cangianti, i toni grotteschi e tragici a dirigere il discorso narrativo. Un Mahler in cui si ristabilisce l’idea di una sintassi in cui la tensione continua, la dialettica irrisolvibile, gli attriti per il raggiungimento di un’inattesa quiete, sono la condizione naturale per la definizione di quel “perpetuum mobile” inarrestabile e vertiginoso che Adorno aveva individuato proprio in questa Sinfonia. Coerente fino alla fine, Franck ci ha condotto in un universo sonoro che fa sgretolare i punti di riferimento che di norma appartengono ai linguaggio della sinfonia.

Esaminare il tutto, una volta terminata l’esecuzione, risulta impossibile. Si ricordano solo episodi frammentari, l’emersione e la ripresa di un tema, la cui reminiscenza però non offre il senso di una sintesi, ma l’inquietudine di una narrazione quasi proustiana. Una narrazione mastodontica, in cui la densità e la proliferazione di elementi in gioco porta alle vertigini. Franck ha il merito di rendere trasparente questa densità, e di mostrare con una intensità quasi analitica ogni piano della narrazione. Quello di Mahler è un approccio quasi “iperdimensionale” alla gestione del materiale sonoro, che però esula dal gigantismo e dall’ampollosità fin de siècle, e della sua abbondanza nei rilievi e negli arabeschi dorati. In Mahler vi traspare ancor più una “ansietà demiurgica” come la definisce Pierre Boulez, nel gestire l’ipertrofia dei temi, la proliferazione degli elementi dinamici e le proporzioni smisurate del materiale. Per forza di cose dunque, Franck ha evitato di disporre il materiale musicale tutto sullo stesso livello, come fanno molti direttori d’orchestra al giorno d’oggi, ciò sarebbe impossibile e deleterio per un compositore che ha sempre curato gli aspetti della profondità e dei molteplici punti prospettici. Il direttore finlandese è riuscito altresì a ricondurre tutto ad una omogeneità di fondo, talvolta anche sacrificando dei momenti puramente emozionali, per difendere al meglio un’accurata pianificazione e controllo della scala di gradazioni sonore. Tondichter era l’appellativo con cui alcuni contemporanei definivano Mahler. Ce lo ricorda Alfredo Casella in un celebre discorso commemorativo pronunciato ad Amsterdam nel 1920. Non è sembrato un caso allora che Franck abbia voluto allinearsi proprio su questa scia interpretativa, indirizzando l’attenzione dell’ascoltatore sull’energia sonora pura, sottolineando con accuratezza i contrasti timbrici e dinamici.
A ragione di ciò mi sento di affermare che il Mahler risvegliato dalla interpretazione di Franck sia proprio quel Mahler che chiunque si può aspettare di avere di fronte: Mahler l’intempestivo; il Mahler strattonato dal “troppo presto” da una parte e dall’altra da un “troppo tardi”; il Mahler che anela con tutto sé stesso ad esser classico, ma che è già lanciato verso quello che sarà la musica espressionista della Seconda Scuola di Vienna (Berg, soprattutto).

Alcuni punti dell’esecuzione meritano di essere menzionati.
Il movimento introduttivo è stato condotto sottolineando magistralmente tutti i suoi toni cupi, curando nel particolare tutte le diverse gradazioni dinamiche e gestendo in maniera coerente l’impulso alla narrazione dei vari soggetti tematici che vengono messi in campo. Indimenticabile e terrificante. I movimenti centrali, controllati con maestria e spigliatezza ne hanno fatto un perfetto contraltare, riuscendo a creare un’atmosfera di sospensione e straniamento, disattesa subito dopo in maniera sconcertante. Personalmente mai avevo ascoltato l’annuncio del giudizio universale nell’ultimo movimento – con quello straordinario crescendo di tutte le percussioni – eseguito in maniera tanto spaventosa, quanto coinvolgente al tempo stesso. Nel corso dello sviluppo successivo a questo episodio, l’orchestra riesce a mantenere questo slancio irruente, fino al culmine del parossismo, disintegrato subitamente dall’esordio sommesso del coro. Qual è il vero contenuto di questo movimento? Trasformata in musica, l’allucinazione del “giudizio universale” è una successione violenta di immagini interiori, divisi tra il solenne e il triviale (la chiassosa banda di ottoni fuori scena amplifica sicuramente il contesto drammatico – e teatrale – della marcia dei morti, adoperando formule musicali solo apparentemente ordinarie) che però giungono alla fine ad una solenne sicurezza: “Morirò per vivere”, “Resusciterai, sì, resusciterai, cuore mio, dopo breve riposo e il tuo palpito ti porterà a Dio”. Lo slancio verso la resurrezione tuttavia è gestito da Franck – e questa è l’unica opinione controversa che ho maturato durante il concerto – in maniera troppo sbrigativa, soffocando la grandiosa solennità delle appoggiature degli ottoni sulla tonica.

Molti possono essere i Mahler che vengono riconsegnati. Molti i livelli attraverso cui leggere la sua opera. Sarebbe interessante vedere prima o poi un Mahler in cui a essere predominante sia la sua visione della tradizione, del mondo passato, degli archetipi della musica tedesca, in cui sia ribadito il desiderio a rendere sfavillante la forma e non instabile e destrutturata.
Fino a quel momento ci facciamo andare più che bene Mikko Franck e i suoi strumenti umani (umanissimi). E non è poco.

Valerio Sebastiani

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Classe 1992. Laureato in Musicologia all’Università “La Sapienza” di Roma, ha studiato Pianoforte presso il Conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone. Ha frequentato i corsi del MaDAMM (Master in Direzione Artistica e Management Musicale) tenuti dall’Istituto Musicale “Luigi Boccherini” di Lucca. Attualmente è assistente alla direzione artistica dell'Accademia Filarmonica Romana e consulente scientifico della Treccani. Ha svolto attività di ricerca presso l’Akademie der Künste di Berlino e per conto dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Milita in Quinte Parallele dal 2016.

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