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Mischa Maisky e le Suites di Bach: una costante evoluzione

di Marta Jane Feroli - 4 Novembre 2021

Martedì 2 novembre il grande violoncellista Mischa Maisky, ospite dell’Accademia Filarmonica Romana, è tornato ad incantare il pubblico romano in un concerto dedicato alle Suites di Bach. Il concerto si è svolto nell’ambito della rassegna “La musica da camera dal barocco al contemporaneo” sostenuta dalla Regione Lazio.

Conosciamo tutti questo gigante del violoncello di origine lettone, ma allo stesso tempo cittadino del mondo:

“Suono un violoncello italiano, con archi francesi e tedeschi su corde austriache. I miei figli sono nati in Belgio, Italia e Svizzera. Guido un’auto giapponese, indosso un orologio svizzero, una collana indiana e mi sento a casa ovunque ci siano persone che amino la musica”

Mstislav Rostropovič lo ha lodato come “uno dei più promettenti talenti della nuova generazione dei violoncellisti, Il suo modo di suonare combina poesia e squisita delicatezza, con grande temperamento e tecnica brillante”, ed è famoso anche per aver mantenuto intatta la sua cifra stilistica durante la sua illustre carriera. Il suo debutto internazionale risale al 1975, dopo aver già vinto il Concorso Tchaikowskij di Mosca, ed è l’unico che sia stato allievo di due leggende del violoncello: Rostropovič e Grigorij Pjatigorskij.

Non è una novità che Mischa Maisky interpreti le Suites di Bach, autentici monumenti con i quali il violoncellista si è cimentato assiduamente, incidendole per ben tre volte, e portandole nel suo repertorio da concerto immancabilmente durante la sua carriera artistica, come nel tour mondiale del 2000 dedicato proprio alla musica di Bach

Per la Filarmonica Romana, in questa serata al Teatro Olimpico, ha deciso di eseguire la Suite No. 3 in do maggiore BWV 1009, la Suite No. 2 in re minore BWV 1008, e infine la Suite No. 6 in re maggiore BWV 1012.

Il Maestro fa l’ingresso sul palco, il tempo di accomodarsi, impugnare l’archetto, e coglie il pubblico di sorpresa lanciandosi in un inizio mozzafiato nel Preludio in do maggiore, dominando il suo strumento già dal primo tocco dell’arco sulle corde.  La Suite n.3, dal carattere brillante e giocoso, risuona con grande virtuosismo e abilità tra le sue dita, riesce ad esaltare il suo carattere danzante, accompagnando l’emissione sonora da fluidi e naturali movimenti del corpo, portando Maisky a danzare con il violoncello la danza delle danze.

La Suite n.2 , in re minore, dal carattere totalmente contrastante, viene quasi sussurrata nel Preludio, in un piano quasi impercettibile, ma pieno di armonici, e Maisky fa uscire tutto il mistero e il dolore che si cela dietro queste pagine, con la sua sapiente capacità narrativa. Questa Suite, particolarmente intima, sarebbe legata secondo alcuni indizi storici alla morte della prima moglie del compositore, e porta con sé la citazione della Sultane di François Couperin, anch’essa in re minore, composta in memoria di Marie Adelaide, moglie del delfino di Francia. Le ampie dinamiche e colori usati da Maisky sono eccezionali, e il musicista regala al pubblico un’esecuzione tagliente, passando dalla profonda intimità del Preludio, al carattere accentuatamente grottesco dell’Allemanda, danza dopo danza, fino a sfociare nella Giga quasi furiosa.

Il Maestro fa delle brevi pause tra un brano e l’altro scegliendo di cambiare anche il colore del suo abito, probabilmente accordandosi al colore dell’emozione della Suite da eseguire. Torna in scena con un magnifico blu per eseguire la Suite n. 6, suonata con estrema libertà, dando grande respiro al Preludio, e marcando incisivamente la Corrente e la Giga. Anche qui, esegue le danze senza sosta, senza soluzione di continuità e senza lasciare al pubblico il tempo di pensare, marcando ancora di più la naturale successione che suggerisce la forma della Suite.

Negli anni Maisky ha spesso provocato radicali divisioni nel gusto del pubblico, oltrepassando il canone interpretativo filologico, scegliendo di mettere in prima linea la ricerca del suono e della struttura, concedendosi anche accelerazioni e appoggi per alcuni poco affini alla prassi esecutiva dell’epoca. E in questo concerto ci stupisce ancora, facendo percepire al pubblico un’ulteriore mutazione nella sua interpretazione e un’evoluzione della sua ricerca esecutiva, in una versione ancora più libera, molto differente rispetto a quella della sua prima incisione del 1985. Oggi ci propone dei cambiamenti di velocità, particolarmente spiccati nelle danze veloci, e sono talmente marcati che ci fanno pensare ad una scelta interpretativa filtrata dalla consapevolezza di una nuova intuizione. Le sue nuove idee interpretative emergono anche nella scelta dei contrasti dinamici all’interno dei Minuetti e nella furia della Giga finale, spesso attaccata senza soluzione di continuità dopo l’ultima nota del Minuetto. Scelte nuove, ma servite, come sempre, da una tecnica impeccabile, un suono puro e profondo, coniugati dal suo grande pathos interpretativo. L’espressività eccezionale che ci trasmette è sicuramente enfatizzata dal suo meraviglioso strumento, un Montagnana del XVIII secolo, pregevole strumento di liuteria italiana costruito nel 1720 a Venezia, proprio negli stessi anni in cui Bach stava scrivendo i suoi sei capolavori.

Le sei Suites di Johan Sebastian Bach furono composte nei primi anni del XVIII secolo, alcuni ritengono sia attendibile la data del 1723, e furono scritte con l’intento di approfondire e sviluppare le possibilità tecniche dello strumento. Negli anni hanno rappresentato uno scoglio per tutti i violoncellisti che hanno dovuto scontrarsi con la loro difficoltà già durante i primi studi in conservatorio, e con le quali si sono cimentati tra i più grandi virtuosi, come Casals, Fournier, Rostropovič, Yo Yo Ma, e molti altri virtuosi, risultando ancora oggi la più significativa opera per violoncello solo mai realizzata.

La Suite anticamente era una delle strutture più popolari della musica strumentale europea, una raccolta di movimenti di danza inserite in una successione non rigorosa, in seguito stilizzata. Bach nelle sue Suites organizza la successione in maniera rigorosa delle danze, secondo lo schema composto da Allemanda, Corrente, Sarabanda e Giga, inserendo poi nel V movimento altre danze minori, come Minuetto, Bourrée o Gavotta. Inoltre le sue Suites hanno un Preludio dal carattere improvvisativo e tipicamente strumentale, che introduce l’esecutore e l’ascoltatore nella personalità dell’intero ciclo di danze. In questa successione così rigorosa le Suites di Bach incarnano l’essenza del Barocco: regola, invenzione, ordine e libertà. Il violoncello dialoga, moltiplicandosi in una polifonia di suoni, esplorando tutte le sue potenzialità espressive.

Siamo soliti pensare alla musica Bach come liturgica, assoluta, profetica. Ma nelle Suites il rigore mistico assume anche dei colori più umani e distesi, rigore che l’archetto di Maisky rende passionale, in un’interpretazione fatta di carne e respiri. Il suo rapporto con lo strumento sembra viscerale, e vive di una grande gestualità e fisicità che probabilmente il Maestro sfrutta per ottenere da ogni movimento il massimo profitto.

Concluso il concerto, il pubblico regala un fragore di applausi, talmente tanti da invogliare Maisky a tre generosissimi bis, tutti nel nome di Bach: una Sarabanda in do minore, dedicata alla memoria del pianista brasiliano Nelson Freire, venuto a mancare proprio pochi giorni fa, e le prime tre danze della Suite No.1 in Sol maggiore.

Sicuramente eseguire le Suites di seguito regala un’esperienza ipnotizzante sia per chi le ascolta, sia per chi le esegue, soprattutto se eseguite dallo stesso violoncellista che, tempo fa, disse:

“Se potessi dire che la musica è la mia religione, allora le Suite di Bach sarebbero la Bibbia”.


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Diplomata e laureata brillantemente in flauto traverso e violoncello, da sempre appassionata di ricerca musicologica.

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