Ultimo aggiornamento12 dicembre 2024, alle 17:02

Il recital di Sokolov a Roma nella Sala Santa Cecilia

di Valerio Sebastiani - 15 Aprile 2022

Grigory Sokolov non si racconta, si vive! Per iniziare questo racconto della serata di lunedì 11 aprile nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Ennio Morricone di Roma, mi piace storpiare una battuta di un misterioso (e mistico) personaggio della Grande Bellezza di Paolo Sorrentino e adattarla a un altrettanto mistico individuo che ormai incanta la Sala Santa Cecilia di Roma da molti anni. Questo perché è grande la soggezione nel parlare delle esperienze d’ascolto che questo titano propone ogni volta, ovviamente per il grado di complessità di dettagli che riesce a sprigionare a ogni concerto.  

Tutti e tutte, ormai, conosciamo a perfezione le abitudini di Sokolov (avevo avuto l’occasione di recensire un suo concerto, tenutosi sempre nella Sala Santa Cecilia a Roma); sapevamo che avrebbe mosse masse considerevoli di persone, adunando anche molti giovani. Sapevamo che avrebbe regalato al pubblico i suoi sei encore. Sapevamo che, ritornando come nel 2019 i primi giorni di aprile, avrebbe proposto un programma legato al romanticismo tedesco in tutte le sue possibili declinazioni. Forse non era scontato.

Grigory Sokolov è uno dei pochi che riesce a scatenare tifo da ultrà nelle sale da concerto, mantenendo sempre quell’incarnato serafico e placido: Sokolov comunica la sua visione attraverso la musica e lo fa prendendo in considerazione tutti i risvolti dell’umano.  

La scelta del programma, d’altronde, è orientata proprio su musiche che spaziano dal furore eroico, alla nevrosi, passando attraverso il lirismo più intimista. 

Si inizia con le 15 Variazioni e fuga op.35 sul tema dell’Eroica di Beethoven, un omaggio che il compositore di Bonn fa alla Rivoluzione francese. Un filtro in negativo dell’omonima sinfonia, grazie al quale si scoprono le sembianze più singolari di Beethoven: razionalismo contrappuntista, invenzione, variazioni vertiginose. Attraverso Sokolov parla un Beethoven dinamico, brillante, che impiega tuttavia le arditezze virtuosistiche con grande sapienza, conservando un panorama sonoro fatto di caleidoscopiche sfaccettature.  

Il concerto è proseguito con le tinte in chiaroscuro degli Intermezzi op.117 di Brahms. Un ponte necessario tra Beethoven e Schumann, con i suoi abissi malinconici e gli slanci melodici leggeri: un Brahms del tardo stile, che guarda verso il Novecento con il suo frammentismo arricchito da sovrapposizioni melodiche e voci interne. 

Ma di frammenti melodici turbinosi e crepitanti sono fatti anche i brani di Kreisleriana, la vera sorpresa della serata.

Dicevamo rapidamente sopra del carattere schivo di Sokolov, refrattario a rilasciare interviste, a stare sotto le luci della ribalta. Ebbene, in realtà qualche intervista esiste, e in molti me ne hanno ricordata una in particolare, comparsa sulla rivista cartacea Cd Classica, oggi praticamente introvabile, in cui Sokolov si sbottona in maniera del tutto in aspettata, ammettendo di non frequentare la letteratura pianistica schumanniana: “La colpa ovviamente è mia, non di Schumann”.  

Schumann, effettivamente, non compare così spesso nel suo repertorio (per lo meno non come Richter, o Lupu): troviamo i Bunte Blätter, qualche Sonata e poco altro nulla in confronto a Brahms, Beethoven o Bach, veri prediletti. 

Pace facta con il geniale e turbolento compositore di Zwickau lunedì sera Grigory Sokolov ha dato prova non solo di aver cambiato radicalmente predisposizione (e questo non dovrebbe stupirci più di tanto), ma di essere in grado di svelare quelle profonde contraddizioni che si legano indissolubilmente alla figura di Schumann. 

Fantasia, umorismo, irregolarità, tensione, raccoglimento. Sotto le mani di Sokolov, i Kreisleriana sembrano assumere la fisionomia più schiettamente “schumanniana” che poteva darsi, inserendosi nella scia delle grandi interpretazioni di questo complesso compositore, si pensi a Horowitz, o Radu Lupu. Ma, ça va sans dire, la traccia di Sokolov rimane personalissima. 

Anche quando deve necessariamente esibire un controllo tecnico rigorosissimo, Sokolov riesce a sprigionare pura poesia.

Parliamo della pedalizzazione per esempio. Per i numerosi ritardando, per i segni di sforzato realizzati con caleidoscopica varietà, per i mordenti realizzati con grande nitidezza, Sokolov si fa strada nella raccolta impiegando il pedale con grande parsimonia, definendo così degli effetti di nitidezza e temperamento sonoro strabilianti.  

La conclusione dell’ottavo brano dei Kreisleriana di lunedì sera, rimarrà per me uno dei momenti più alti non dico solo dell’intera serata, ma di una significativa porzione della storia dell’interpretazione di questa raccolta. 

I rituali sei bis che Grigory Sokolov, accolto da grandiose ovazioni, ha voluto regalare al pubblico di Roma (che, a vedere la platea, sarebbe rimasto a oltranza), sono stati la cartina tornasole della sua poetica pianistica: lirismo, contemplazione, virtuosismo ragionato e mai invadente. Un secondo recital in miniatura con molti elementi in condivisione con il primo. 

  1. J. Brahms, Ballade dai Sechs Klavierstucke op.118
  2. A. Scriabin, Preludio n.4 dai 24 Preludi op.11
  3. S. Rachmaninov, Preludio n.9 dai 10 Preludi op.23
  4. S. Rachmaninov, Preludio n.10 dai 10 Preludi op.23
  5. F. Chopin, Preludio n.20 dai 24 Preludi op.28

Classe 1992. Laureato in Musicologia all’Università “La Sapienza” di Roma, ha studiato Pianoforte presso il Conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone. Ha frequentato i corsi del MaDAMM (Master in Direzione Artistica e Management Musicale) tenuti dall’Istituto Musicale “Luigi Boccherini” di Lucca. Attualmente è assistente alla direzione artistica dell'Accademia Filarmonica Romana e consulente scientifico della Treccani. Ha svolto attività di ricerca presso l’Akademie der Künste di Berlino e per conto dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Milita in Quinte Parallele dal 2016.

tutti gli articoli di Valerio Sebastiani