Guardare l’Opera: Il Barbiere di Siviglia di Rossini
di Silvia D'Anzelmo - 19 Luglio 2016
“Ah! Che bel baccano fu quella serata! Credetti che il Teatro Argentina crollasse sotto le fischiate e gli schiamazzi del pubblico romano”. Può sembrare assurdo ma queste sono le parole con cui Gioacchino Rossini descrisse la prima della sua opera più famosa.
“Il Barbiere di Siviglia”, l’opera che oggi viene considerata “un’autentica sineddoche del comico”– prendo in prestito le parole di Michele Girardi– nella sera del suo debutto si rivelò un disastro totale, un vero fiasco. Eppure nelle rappresentazioni immediatamente successive l’opera piacque e tanto da occupare un posto stabile nei teatri di tutto il mondo: il Barbiere condivide quindi il destino di opere come “La Traviata” o “Carmen”, per citare solo le più celebri, che dopo il crollo della prima divennero comunicatrici inesauribili, eternamente attuali.
Siamo nell’autunno del 1815 e Rossini viene ingaggiato dall’impresario del Teatro Argentina, il duca Francesco Sforza Cesarini, per la composizione di un’opera da rappresentare durante la stagione romana del carnevale 1816. Il giovane pesarese ha solo 23 anni ma sta cominciando a farsi strada nell’agone operistico con grande abilità grazie a opere come “Tancredi”, “L’italiana in Algeri” o il “Turco in Italia”. Il suo crescente prestigio è testimoniato dall’incarico di direttore dei Teatri Reali di Napoli che l’impresario Domenico Barbaja gli affida nel 1815; nonostante il legame con i teatri di Napoli, Rossini ha la possibilità, grazie a una clausola contenuta nel contratto stipulato con Barbaja, di poter allestire opere nei teatri di altre città. La licenza con la quale può permettersi di accettare l’invito del duca Sforza Cesarini è la prima di quelle concesse dal contratto. La stagione di carnevale comportava la presentazione al pubblico di novità assolute e riprese di opere già allestite adattate in base alla compagnia scritturata in quell’anno. Gli accordi con Sforza-Cesarini prevedevano la ripresa de “L’Italiana in Algeri” e la stesura di un’opera nuova tratta dalla commedia “Il Barbiere di Siviglia” di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais. Gli accordi tra il duca Sforza-Cesarini e Rossini vennero presi all’ultimo momento: il contratto venne siglato il 15 dicembre 1815 per un’opera da mettere in scena entro la fine di febbraio dell’anno successivo, data di conclusione della stagione del carnevale; addirittura l’impresario non era ancora riuscito a scritturare la compagnia che avrebbe messo in scena le opere per il teatro Argentina: si era in tempi strettissimi e bisognava lavorare a tutto regime.
Il poeta designato alla versificazione del libretto fu Jacopo Ferretti che era tenuto in grande considerazione nell’ambiente teatrale del tempo ma, in questo caso, la sua versione del Barbiere non convinse forse l’impresario, forse lo stesso Rossini. Si decise allora di contattare un altro librettista, Cesare Sterbini, ingegno fresco, giovane con cui il musicista aveva già collaborato per l’opera “Torvaldo e Dorliska”. Sterbini fu obbligato a firmare un contratto che prevedeva uno schema già concordato, ossia, il canovaccio con la scaletta dei pezzi sulla quale avrebbe costruito il libretto era già stato stilato; dunque, il fatto che Rossini si prestasse a musicare qualsiasi cosa senza interessarsi al soggetto o alle parole non è che una favola, un mito che ci arriva dalla costruzione a posteriori dell’immagine del musicista pesarese, della sua personalità singolare e bizzarra. Rossini, infatti, partecipa attivamente alla scelta di un nuovo soggetto da mettere in musica concordando con il librettista il “programma” cioè la trasformazione dell’azione narrata in momenti drammatici da cui trarre i numeri chiusi, i pezzi musicali. Nel caso del Barbiere lo schema iniziale corrisponde quasi perfettamente alla successione dei numeri musicali, con l’eccezione di alcune inversioni nell’ordine dei brani. Sterbini non ha dunque la possibilità di cambiare questo schema che gli viene presentato già bello e fatto ed è costretto a versificarlo, così com’è, in un tempo brevissimo: dall’ingaggio alla consegna del libretto completo passano appena venti giorni.
Rossini, dunque, aveva chiaro in testa quel che voleva, era determinato a scrivere di quel soggetto, di quelle situazioni e in una maniera ben precisa: non ha accettato qualcosa di preconfezionato sulla quale poggiare la sua musica con leggerezza e superficialità. Certo non bisogna esagerare e fare del Pesarese un Giuseppe Verdi intento alla scelta oculata e quasi ossessiva della musica che condensi la situazione drammatica, ma non si può neanche pensare Rossini come un musicista sciatto e disinteressato. Il fatto che finì di orchestrare le circa seicento pagine di partitura del Barbiere in quindici giorni non vuol dire che scrivesse in maniera sconsiderata, era semplicemente una prassi tipica dell’epoca. L’opera italiana agli inizi dell’Ottocento filava a gran velocità: era una continua corsa per rispettare scadenze strettissime, quasi opprimenti: librettisti, compositori, cantanti e musicisti, tutti erano abituati a lavorare in tempi brevissimi per cercare di fare presto e bene ma non sempre si raggiungevano risultati eccellenti, come è facile intendere. Nel caso di Rossini, lui è uno di quelli il cui talento gli permetteva di fare ottima musica in quindici giorni. E riusciva a farlo grazie a degli escamotage che a noi moderni, abituati all’idea del musicista intellettuale, del genio che crea dal nulla qualcosa di unico e irripetibile, sembrano trucchetti da impostore. Innanzi tutto il pesarese fa largo uso di autoimprestiti, ossia riprende materiale musicale già utilizzato in altre sue opere. Per quanto riguarda il Barbiere, Rossini innesta con disinvoltura idee musicali prese da lavori precedenti: prima fra tutte la Sinfonia iniziale che era stata già la Sinfonia di “Aureliano in Palmira” e di “Elisabetta regina d’Inghilterra”, la Cavatina di Rosina “Una voce poco fa” ripresa sempre dall’Elisabetta o il coro iniziale “Piano, pianissimo senza parlar” ricavato dal “Sigismondo”, per citarne alcuni. Altro procedimento utilizzato per economizzare il processo creativo è quello della reiterazione di frammenti musicali, procedimento che il musicista riesce a rendere veicolo di significati come ironia, frenesia, aspettazione: è il famoso “crescendo” che trascina e coinvolge l’ascoltatore fino al parossismo. Tutti questi elementi non guastano la struttura del Barbiere che, anzi, risulta un’opera musicalmente di grandissimo valore, strutturalmente omogenea e percorsa da una frenesia inarrestabile che lascia l’ascoltatore rapito dalla prima all’ultima nota.
Com’è possibile allora che nella prima rappresentazione cadde rovinosamente tra grida e fischi? La versione ufficiale, che è stata tramandata da molti dei presenti allo spettacolo, parla di invidie, di urla e schiamazzi dovuti ai sostenitori di Giovanni Paisiello che aveva messo in scena un Barbiere di Siviglia nel 1782. Come scrisse Gertrude Righetti-Giorgi, prima Rosina, molti quella sera erano contrariati fino ad affermare “ecco dove arriva l’orgoglio di un giovane senza consiglio! Ei volge in mente di annientare il nome immortale di Paisiello”. In effetti, Rossini aveva richiesto a Sterbini di apporre un “Avvertimento al Pubblico” nella quale si dichiarava che la commedia di Beaumarchais veniva “ridotta a dramma comico col titolo di Almaviva, o sia L’inutile precauzione all’oggetto di pienamente convincere il pubblico de’ sentimenti di rispetto e venerazione che animano l’autore della musica del presente dramma verso il tanto celebre Paisiello che ha già trattato questo soggetto sotto il primitivo suo titolo”. Più avanti però, nello stesso avvertimento, il librettista afferma che Rossini ha preteso l’intera riscrittura del libretto per adattarlo al “moderno gusto teatrale cotanto cangiato dall’epoca in cui scrisse la sua musica il rinomato Paisiello”: la rivalità con un’opera oramai passata di moda e un compositore, il Paisiello, oramai non più attivo da molto, sembra un po’ forzata. Molto più interessante, invece, il fatto che vengano fatte delle modifiche, “aggiunte parecchie nuove situazioni di pezzi musicali”, introdotti i cori per rispondere alle esigenze del teatro moderno. Molto probabilmente, quindi, il fiasco del Barbiere non fu dovuto a Paisiello ma alla modernità di quest’opera che spiazzò le orecchie di un pubblico non troppo avvezzo a certe arditezze. Lo stesso Rossini non si agitò troppo per il fiasco: “Ieri andò in scena la mia opera, e fu solennemente fischiata o che pazzie di cose straordinarie si vedono in questo paese…Vi dirò che in mezzo a questo la musica è bella assai e nascono di già sfide per questa sarà seconda recita dove si sentirà la musica cosa che non accadde ieri”. Aveva ragione, perché il pubblico tornò, ascoltò e questa volta applaudì.
Il Barbiere di Siviglia si apre con una Sinfonia iniziale, brano formalmente perfetto e, probabilmente, uno dei più famosi e conosciuti tra quelli scritti da Rossini. Questa Sinfonia non anticipa elementi musicali che saranno presenti nel Barbiere ma ci dà già l’idea della travolgente carica ritmica da cui verremo investiti nell’ascolto dell’opera; il brano è diviso in varie parti: una prima sezione chiamata “Introduzione” dal carattere lento, e poi un’altra sezione che si ripete due volte, in cui ascoltiamo due temi musicali dal carattere estremamente contrastante; il primo elemento musicale è fortemente ritmato e frammentario, il secondo invece ha un carattere più pacato e melodico ossia facile da tenere a mente e da cantare. Dopo averci fatto ascoltare questi due elementi musicali chiamati temi, Rossini chiude con un crescendo per poi ripetere tutta la sezione: a questo punto l’opera inizia.
Il sipario si apre su una piazza di Siviglia avvolta nell’aria calma e frizzante che precede l’alba; la silenziosa tranquillità viene subito turbata dal giovane Conte d’Almaviva che vuole conquistare, con una serenata, il cuore di una fanciulla conosciuta a Madrid. Ad aspettarlo sotto le finestre della bella c’è Fiorello, suo servitore, che con frammenti sussurrati in pianissimo ha radunato uno stuolo di musici per accompagnare il canto del Conte; ma le eleganti parole e la melodia preziosa di “Ecco ridente in cielo” non sortiscono l’effetto sperato: la fanciulla non si mostra alla finestra. La Cavatina del Conte, ossia l’aria con cui il personaggio si presenta al pubblico, è la parte centrale di una struttura più ampia e omogenea che va dall’inizio dell’opera fino all’entrata di Figaro. Il canto del conte e l’accompagnamento dell’orchestra, arricchito dalle chitarre, sono estremamente raffinati e rivelatori della posizione socialmente elevata di Almaviva che è appunto un conte.
Almaviva sta per demordere, paga i musici che, compiaciuti dell’eccessiva generosità, lo ringraziano con un baccano molesto (“Mille grazie mio signore”) e pensa di andare via, ma arriva canticchiando il barbiere Figaro, suo amico di lunga data. La Cavatina del giovane barbiere “Largo al Factotum!” esprime perfettamente il suo carattere spavaldo, da spaccone che canta a squarciagola in piena via alle prime luci dell’alba. L’esordio in scena di questo personaggio è spettacolare, il brano con cui si presenta ha un ritmo strepitoso, esprime la sua grande vitalità sottolineata anche dal canto a perdifiato spinto fino al limite verso l’acuto. Messo al corrente delle intenzioni del Conte, Figaro si dichiara pronto ad aiutarlo tanto più che conosce bene la casa in cui la fanciulla è tenuta segregata dal suo borioso tutore, il dottor Bartolo: egli là dentro è “barbiere, parrucchier, chirurgo, botanico, spezial, veterinario, il faccendier di casa”. Mentre discorrono, Rosina si affaccia alla finestra e getta un biglietto al Conte in cui scrive di voler sapere il suo nome. A questo punto Rossini, seguendo le convenzioni, avrebbe dovuto presentare la protagonista femminile affidandole una Cavatina ma Rosina fa solo una breve apparizione e si ritira: musicista e librettista aumentano l’aura di mistero rendendo il pubblico partecipe della stessa ansiosa curiosità che ha Almaviva di conoscere la giovane.
Incoraggiato da Figaro, Almaviva si finge un povero giovine, Lindoro, e intona “una canzonetta, così, alla buona” accompagnandosi con semplici arpeggi della chitarra: un’altra aria, dunque, per il protagonista maschile; “Se il mio nome saper voi bramate” risulta spontanea, sembra quasi musica estemporanea e sortisce ben altro effetto rispetto alla prima fredda e costruita serenata. Nel duetto che segue, “All’idea di quel metallo” , Figaro e il Conte si accordano ognuno secondo il proprio interesse: Almaviva, nobile tenore innamorato che canta su linee melodiche eleganti e preziose, vuole penetrare nella casa di Rosina; Figaro, barbiere indaffarato che si esprime con frasi più secche e sbrigative, diciamo pure rozze, vuole invece il “metallo portentoso” della borsa di Almaviva. Eccitato al pensiero del denaro, la mente del barbiere diviene un vulcano che erutta idee senza fine: nel pomeriggio sarebbe arrivato un reggimento con ordine di alloggio e Almaviva avrebbe colto l’occasione per travestirsi da soldato e albergare nella casa di Bartolo fingendosi ubriaco per destare meno sospetto.
A questo punto è finalmente arrivato il momento di conoscere la bella Rosina, la curiosità è ormai giunta al culmine. Nella prima parte della sua Cavatina “Una voce poco fa” il pesarese sembra presentarci una fanciulla dolce e mite il cui cuore è stato ferito dallo strale lanciatole da Lindoro: la melodia su cui canta è piena di tenerezza; l’impressione dura poco perché la fanciulla si mostra subito determinata a ottenere ciò che vuole: Lindoro mio sarà, lo giurai la vincerò! La sua voce s’impenna in forti sbalzi verso l’acuto che indicano la sua caparbietà. Con la seconda parte della Cavatina, chiamata Cabaletta, il ritratto della fanciulla è completo: ella è docile e obbediente ma se la fanno indispettire diventerà una vipera. Rosina ribadisce la sua personalità sostenuta dall’orchestra che reitera porzioni di materiale sonoro in un crescendo forsennato sottolineando e amplificando il significato delle parole della giovane.
La fanciulla si prepara per prendere contatto con lo sconosciuto ammiratore, ha già scritto un biglietto per lui ma deve trovare il modo per farglielo avere: è a questo punto che entra Figaro e le parla del giovane Lindoro fingendo sia suo cugino ma, subito, viene interrotto da don Bartolo sospettoso sempre di tutto e tutti. A eccitare ancor di più la sua gelosia è don Basilio, maestro di musica della ragazza, che lo avvisa dell’arrivo in città del Conte d’Almaviva, ammiratore della sua pupilla; Bartolo vuole liberarsene a tutti i costi e Basilio consiglia di servirsi della calunnia “auretta assai gentile” che si insinua nella mente, cresce sempre più fino a scoppiare “come un colpo di cannone, un tremuoto, un temporale”.
Subito dopo, un violento bussare alla porta annuncia Almaviva nei panni da soldato ubriaco, suo secondo travestimento: egli pretende di essere alloggiato da don Bartolo che si rifiuta con scuse ridicole: inizia qui il Finale Primo, la parte drammaturgicamente e formalmente più complessa dell’opera; Rossini riesce a tendere un lungo arco con momenti di tensione e distensione senza però creare nessuna rottura nel fluire frenetico del racconto. La prima sezione si apre con un tempo Marziale che sottolinea il camuffamento da soldato del Conte il quale declama a gran voce frasi spezzate, sintomo della sua (falsa) ubriachezza. Il dialogo che apre con don Bartolo ha una forte carica umoristica e genera vari livelli scenico-musicali: il primo riguarda il loro battibecco, il secondo gli “a parte” in cui troviamo il vero significato della situazione. A interrompere l’alterco arriva Rosina, il “caro oggetto” della felicità di Almaviva: approfittando della confusione che si è venuta a creare, egli porge a Rosina un biglietto ma il tutore se ne accorge e comincia ad agitarsi e a protestare. Nasce una gran confusione che travolge tutta la scena finché arriva Figaro per cercare di chetarli; il barbiere è l’unico che si esprime in maniera indipendente, non condividendo elementi musicali con gli altri personaggi in scena: egli è al corrente di tutto e si giostra con grande maestria tra il dialogo e gli “a parte”, la finzione e la realtà. A fermare il caos assordante è l’arrivo della polizia che lascia tutti impietriti: nello stupore generale il soldato non solo non viene arrestato, ma esce riverito dall’ufficiale della guardia. È il Largo di Stupore “Fredda ed immobile” che genera una sospensione temporale in cui i personaggi esprimono la propria confusione cantando la stessa melodia, tutti tranne Figaro che se la ride di gusto guardando la faccia impietrita di don Bartolo: la sua linea melodica è differente da quella degli altri, sembra come se il tempo teatrale si sia fermato per tutti ma non per lui. A risvegliare i personaggi arriva l’ultima parte del Finale chiamata Stretta che conclude in frenetico fortissimo quel gran parapiglia che è l’atto primo.
All’apertura del secondo atto ritroviamo il sospettoso don Bartolo che indaga sull’identità del soldato, credendolo un aiutante del Conte d’Almaviva. Si presenta in quel momento alla sua porta il Conte stesso nel suo terzo travestimento da maestro di musica, don Alonso. Rossini e Sterbini approntano in maniera magistrale l’ultimo travestimento del conte: sia il libretto che la musica ci presentano questo untuoso personaggio che ripete in maniera pedante in suo saluto “Pace e gioia” facendo indispettire don Bartolo che, per costume, è costretto a trattarlo in maniera garbata; la scena è simile a quella del Finale Primo poiché, anche in questo caso, si dipanano vari livelli musicali e teatrali: da un lato i rispettosi saluti che sembrano non aver mai fine, dall’altro gli “a parte” che a velocità stratosferica aprono uno spiraglio sulla vera azione e sulle vere intenzioni di entrambi i personaggi. Per convincere il tutore, Almaviva fa credere che don Basilio sia malato, in più, gli mostra un biglietto scritto da Rosina per il Conte, come se lui l’avesse intercettato per caso: grazie a questo escamotage egli guadagna la fiducia del tutore. La lezione ha inizio, Rosina canta il Rondò dell’”Inutil precauzione” intervallato da frasi fugaci che scambia con don Alonso-Lindoro-Almaviva. Arriva anche Figaro che cerca di distrarre il tutore e prendere la chiave della stanza di Rosina: tutto sembra andare per il meglio ma è a questo punto che piomba don Basilio. Il conte riesce a convincerlo con una borsa d’oro ad andare via e la scena riprende tranquillamente finché, Bartolo riconosce in don Alonso il soldato della mattina e, irato, lo mette in fuga.
È notte, un violento temporale scuote Siviglia ma non preoccupa Figaro e il Conte che giungono puntuali all’appuntamento con Rosina per portarla via. La fanciulla è indispettita perché don Bartolo le ha fatto credere che il suo Lindoro, in realtà, vuole rapirla per consegnarla al Conte Almaviva: è a questo punto che avviene la “sbottonatura” del conte, ossia la rivelazione della sua identità. Chiarito l’equivoco i tre devono affrettarsi a fuggire ma vengono sorpresi da don Basilio e dal notaio che il tutore aveva fatto chiamare per affrettare le sue nozze con la pupilla: tanto peggio per lui, i due innamorati non hanno più ostacoli e siglano finalmente il contratto nuziale. Al tutore, rientrato in quel momento con la polizia, non resta altro che prendere atto dei fatti accaduti e riconoscere nell’importuno il Conte d’Almaviva in persona.
Il Barbiere di Siviglia sembra, apparentemente, ripetere quello che è lo schema consueto del giovane amante riamato da una giovane che però gli viene contesa da un vecchio innamorato. In realtà, pur lasciando il modello di base inalterato, ci sono alcuni fattori che rendono il Barbiere un unicum nel suo genere: la conquista della giovane è condotta da Almaviva come l’assedio a una fortezza inespugnabile sorvegliata gelosamente dal vecchio don Bartolo. Per arrivare a Rosina, Almaviva è costretto a mettere in scena vari travestimenti non solo visivi ma anche musicali: ognuno di questi rappresenta un passo in più nella vicinanza alla sua bella. Dalla piazza di Siviglia Almaviva riesce, pian piano, a penetrare nel fortino di Bartolo e nel cuore della bella Rosina fino a siglare la sua vittoria con le nozze. Altri fattori che concorrono a rendere l’opera avvincente sono i caratteri degli altri personaggi; il rivale di Almaviva non è un vecchio rimbambito ma un abile e scaltro signore che difende i suoi interessi: la violenza psicologica che compie su Rosina è fortissima, un esempio ne è la scena dell’interrogatorio nella quale incalza la poverina come fosse una delinquente. La stessa Rosina è un carattere fresco, vivo, nuovo: la fanciulla lavora ad armi pari con i personaggi maschili, è un premio ma è lei che decide da chi farsi vincere. E poi abbiamo Figaro lo scaltro manovratore che non si prende mai troppo sul serio, non ha nessun problema se i suoi piani naufragano miserabilmente, ne avrà sempre uno nuovo pronto in tasca.
Dietro l’apparente rispetto della tradizione, più volte dichiarato da Rossini, il musicista cela tutta una serie di trovate che gli permettono di travolgerla in pieno; forzando il realismo con una lettura in chiave buffa anzi quasi grottesca, il pesarese rivela una sensibilità estremamente vicina alla modernità. La frammentazione della parola sottomessa al ritmo incalzante arriva quasi al nonsense, alla afasia che rende impossibile la comunicazione.
E dunque è proprio l’attenzione e la peculiarità con cui il “solito schema” del triangolo amoroso viene trattato – non solo nella parola ma anche e soprattutto nella musica – ciò che rende quest’opera fresca, vivace e travolgente, in sostanza attualissima nonostante abbia già duecento anni addosso.
Silvia D’Anzelmo