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Eufonie pendereckiane

di Alessandro Tommasi - 6 Dicembre 2018

Cronache da Varsavia

Questo novembre, Varsavia è diventata il palcoscenico di un’intensa programmazione musicale. Dal 16 si è tenuto infatti il Festival Penderecki, organizzato dall’Associazione Beethoven in onore degli 85 anni del celebre compositore polacco. Il Festival è stato interamente dedicato alla sua musica e si è concluso il 23 novembre nel giorno del compleanno del compositore, collegandosi con l’inaugurazione della prima edizione di Eufonie, festival dedicato alla musica dell’Europa centro-orientale, che dal 23 fino all’1 dicembre ha portato nella capitale polacca concerti dall’elettronica alla danza popolare, dalla cameristica alla sinfonica, spaziando dal primo ‘800 alla contemporanea. La scelta di inaugurare Eufonie con un concerto dedicato a Penderecki, in realtà, pone da subito la musica contemporanea in un ruolo centrale, quasi a voler sottolineare l’accesa vitalità odierna dell’espressione artistica in quella vasta area geografica e culturale che è l’Europa dell’est.

Questo resoconto da Varsavia si riferisce dunque esattamente al fine settimana di congiunzione tra i due festival, dal 23 al 25 novembre, e parte non con un concerto, bensì con Penderecki che taglia una grande torta di compleanno con la sua faccia sopra. Il primo evento di venerdì 23 è stata infatti la festa di compleanno per il compositore, cui era invitata anche la stampa internazionale e che ha visto un gran numero di discorsi, rigorosamente in polacco con traduzione in inglese, per un grande rinfresco privato con ospiti come Anne-Sophie Mutter, Christoph Eschenbach, Rafael Payare e molto rappresentanti non solo della vita musicale, ma anche politica, non ultimo il Ministro della Cultura. Alla festa è seguito un lungo concerto all’Opera di Varsavia in cui la Sinfonia Varsovia ha eseguito il Secondo Concerto per violino “Metamorfosi” con Anne-Sophie Mutter e Maciej Tworek alla direzione, il Concerto Grosso per tre violoncelli e orchestra, con Frans Helmerson, Ivan Monighetti e Arto Noras come solisti diretti da Christoph Eschenbach, per poi concludere con il Dies illa per tre solisti, tre cori misti e orchestra, per la direzione di Leonard Slatkin. Concerto che non è cominciato nel migliore dei modi, anche per la scelta di anteporre all’esecuzione molti altri discorsi, anch’essi in polacco con traduzione in inglese, tenendo però l’orchestra sul palco, che è stata così costretta all’immobilità per oltre trenta minuti prima di poter iniziare. Il Concerto per violino è apparso dunque un po’ sacrificato e instabile. Per dare coesione all’opera a poco è valsa la statuaria drammaticità di Anne-Sophie Mutter, fantastica nella profondità della cavata e nel rendere il lungo e teso arco di questi quasi quaranta minuti di movimento unico, non aiutata dalla direzione di Tworek, precisa ma poco coinvolgente, e da una Sinfonia Varsovia non molto convinta.

Meglio il Concerto Grosso per tre violoncelli, in cui nonostante la presenza di altri discorsi di apertura per l’assegnazione di due importanti premi internazionali a Penderecki (nuovamente con l’orchestra sul palco) la solida direzione di Eschenbach è riuscita a costruire con più efficacia un discorso unitario con il frammentario linguaggio, anche sostenuto dai solisti, in particolar modo Helmerson e Monighetti, mentre Noras è sembrato un po’ in difficoltà con la scrittura pendereckiana. Apice dell’intera serata, infine, è stato il grandioso Dies illa, in cui all’orchestra sorprendentemente ancora in forma si è unito un maestoso coro misto con solisti. Con il Dies illa hanno finalmente assunto un significato anche le canne d’organo distese sul palco, rivelatesi nient’altro che il tubafono, strumento inventato da Penderecki stesso e dal particolarissimo timbro al contempo sordo e metallico. Leonard Slatkin ha condotto la massiccia compagine con solidità raggiungendo grandi ma mai gridati climax e lenti ripiegamenti contemplativi, offrendo una degna conclusione di un concerto che è stato un progressivo miglioramento. Così si è concluso il Festival Penderecki e con esso i festeggiamenti per il compositore. Al tempo stesso, tuttavia, con questo concerto cominciava Eufonie, che il giorno dopo proseguiva facendo un passo indietro per tornare alle origini del linguaggio musicale dell’Europa dell’est.

Il concerto di sabato 24 novembre alla Filarmonia di Varsavia è infatti partito dalla Rapsodia Rumena n. 2 di Enescu, per proseguire con il Concerto per violino n. 1 di Szymanowski, Finlandia di Sibelius e il Concerto per orchestra di Bartók. Sul palco la Polish National Radio Symphony Orchestra in Katowice, diretta da Lawrence Foster e con il violino di Akiko Suwanai. Il variegato programma è stato affrontato con successo tanto da orchestra quanto da direttore e solista. L’Orchestra di Katowice ha saputo proporre il complesso repertorio con un’invidiabile solidità, a tratti quasi eccessiva. Il suono della compagine è massiccio, scuro, compatto, con archi di un virtuosismo efficace e ottimi fiati, in particolar modo gli oboi. Splendida la Rapsodia Rumena in apertura, dai toni brillanti e accesi e solo qualche incertezza d’intonazione del primo flauto e di alcuni passaggi acuti di corni e fagotti, un inizio che ha creato da subito forti contrasti tra esuberanti scoppi e sognanti ricordi nostalgici. Nel Concerto di Szymanowski, Akiko Suwanai è riuscita a  trovare una forte intesa con orchestra e direttore: anziché valorizzare le preziosità timbriche di Szymanowski, la violinista giapponese ha infatti preferito donare all’intera composizione (in un lungo movimento unico, esattamente come il Secondo Concerto di Penderecki) una salda struttura, portando tutti i più disparati elementi all’interno del medesimo universo sonoro, enfatizzandone così la chiarezza dell’architettura e rafforzandone la forza drammatica, pur perdendo quell’effetto di estatica ed erotica seduzione che permea l’orchestrazione di questo capolavoro violinistico. Il pubblico ha accolto con entusiasmo la performance e la violinista ha concesso ben volentieri un bis: Obsession dalla Seconda Sonata per violino solo di Yasÿe. Dopo l’intervallo è stata la volta di Finlandia di Sibelius, brano forse un po’ fuori dall’oggetto del Festival, ma senza dubbio significativo per la nascita di un linguaggio musicale nazionale. Va però considerata l’appartenenza della lingua finlandese al ceppo ugro-finnico, che lo distingue dai vicini scandinavi e lo avvicina a quell’Europa centro-orientale che Eufonie ha esplorato nella sua programmazione. Il poema sinfonico di Sibelius è stato condotto con solennità e placida maestosità, non senza qualche eccesso di perorazione retorica, ma con inaspettate nuance evocative. Gran parte dell’attenzione era però concentrata sul brano successivo, il Concerto per orchestra di Bartók. Il complesso lavoro del compositore ungherese è stato forse il brano più riuscito dell’intera serata. Nonostante alcune piccole sbavature di intonazione tra Introduzione e Giuoco delle coppie, tutto il Concerto è stato realizzato con sorprendente sicurezza dall’orchestra intera, riuscendo con agilità a passare da momenti di intensa e contorta drammaticità alla beffarda leggerezza che caratterizza molte pagine. Da segnalarsi il passo degli oboi nel Giuoco, magnificamente realizzato. Il Concerto ha confermato le impressioni anche su Lawrence Foster (che dell’Orchestra sarà il futuro Direttore Artistico): il gesto di Foster non è chiarissimo, cosa questa che ha causato alcune leggere incertezze nel complicato insieme, ma è magistrale nel dipingere le sfumature di fraseggio, pronunciando con limpida chiarezza ogni semifrase senza sacrificare per questo una notevole finezza dinamica ed anzi riuscendo ad alleggerire molto lo scuro e ruvido suono della Polish National Symphony Orchestra nel leggero ed ironico Finale del Concerto.

Il giorno successivo Eufonie ha offerto un doppio appuntamento: alle 17.00 presso il Teatr WARSawy Biosphere (Geir Jenssen) e Deathprod (Heige Sten) hanno reinterpretato alle live electronics il loro album del 1998 Nordheim Transformed, interamente dedicato a rivisitazioni di brani del compositore norvegese Arne Nordheim. Gli assidui contatti di quest’ultimo con la Polonia e in special modo con il Polish Radio Experimental Studio di Varsavia hanno infatti spinto il compositore a dedicare diverse sue opere alla Polonia e a Varsavia nello specifico. Così Eufonie ha voluto ricordare il compositore scomparso nel 2010 con un concerto dalle morbide suggestioni e dall’ipnotica immersione, in cui frammenti di composizioni originali di Nordheim vengono fusi in sette remix di personale concezione da parte dei due musicisti immersi nel buio più totale, fatta salva una luce centrale.

Appena due ore e mezza dopo si è tenuto il secondo appuntamento: presso la Sala Rotonda del Museo della collezione di Giovanni Paolo II si è svolto un grande omaggio ad Arvo Pärt. Alla presenza del compositore, che il giorno successivo è stato insignito di un dottorato onorario dall’Università Chopin di Varsavia, Tõnu Kaljuste ha diretto l’Estonian Philharmonic Chamber Choir e la Tallinn Chamber Orchestra. In programma il celebre Fratres nella versione per orchestra d’archi e percussioni, il Cantus in Memoria di Benjamin Britten per orchestra d’archi e campana, il Lamento di Adamo per coro e orchestra d’archi, il Salve Regina per coro, celesta e orchestra d’archi e infine il Te Deum per tre cori, orchestra d’archi, pianoforte preparato e arpa eolia. Nella splendida sala del museo, circondati dai quadri e alla presenza delle più alte cariche diplomatiche e ministeriali polacche ed estoni, si è tenuta così una panoramica sullo stile di Pärt, partendo da Fratres e Cantus, del ’77, e arrivando fino al 2011 del bellissimo Salve Regina. Kaljuste, navigato interprete del suo connazionale di cui ha inciso numerosi lavori, ha gestito magnificamente tanto la Tallinn Chamber Orchestra quanto l’Estonian Philharmonic Chamber Choir, offrendo un concerto in cui la statica contemplazione non andava a scapito di una certa limpida chiarezza, tanto più forte quanto il lavoro è recente. Gli archi della Tallin Chamber Orchestra hanno retto bene il lungo programma, trovando successo soprattutto nel Cantus, anche se non sempre le sue sezioni riuscivano a trovare una buona compattezza di suono e intonazione. Molto bene il coro,  soprattutto nella seconda parte del concerto, sia per l’omogeneità dell’impasto vocale, che per la solidità delle sue sezioni e degli interventi solistici nel Te Deum. Nonostante anche in quest’occasione non siano mancati i discorsi in apertura (per il conferimento della Croce per i meriti musicali ad Arvo Pärt) è da segnalarne la maggiore concisione e soprattutto la più saggia scelta di svolgerli senza orchestra sul palco, cosa che ha aiutato non poco la concentrazione della Tallinn Chamber Orchestra nel corso della serata.

Con questo concerto si è dunque concluso un fine settimana ad Eufonie ricco di importanti appuntamenti musicali e un’ultima considerazione va fatta in merito all’organizzazione e soprattutto alla promozione dei due Festival. La qualità della struttura di un festival può non di rado essere valutata dalla qualità dei suoi materiali e della sua comunicazione. Ebbene, la città era tappezzata di manifesti e pubblicità delle due rassegne e la scelta del Festival Penderecki di porre il proprio logo, una gialla caricatura del compositore, su ogni materiale, dal volantino al programma, dalla scatola di mentine alla bottiglia di vino, ha premiato con una visibilità immediatamente riconoscibile e di grande impatto. L’attenzione stessa data all’impianto grafico dei programmi, moderno e ricco di fotografie per il Festival Penderecki, sobrio, elegante e raffinato per Eufonie, ha collaborato nel dare a tutto un taglio accattivante senza tradire lo spirito delle manifestazioni. L’ampia partecipazione di pubblico e istituzioni ad ognuna delle date e la platea di giornalisti da tutta Europa, poi, ha confermato quanto la Polonia, al di là di ogni valutazione politica che non trova in questa cronaca il suo spazio, investa in realtà culturali di questa tipologia. Ben lungi da chi scrive il fare facili lamentazioni contro l’Italia che non valorizza abbastanza la propria cultura: non è affatto impossibile nella nostra penisola trovare appuntamenti musicali di pari o superiore livello, ma dall’organicità della promozione e dal vivace rispetto con cui è trattata la musica classica in Polonia, c’è sicuramente molto da osservare e molto da imparare.

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Alessandro Tommasi

Autore

Viaggiatore, organizzatore, giornalista e Pokémon Master, studia pianoforte a Bolzano, Padova e Roma e management culturale alla Rome Business School e alla Fondazione Fitzcarraldo. È Head of Artistic Administration della Gustav Mahler Jugendorchester e direttore artistico del Festival Cristofori e di Barco Teatro.

Nel 2021 è stato Host degli Chopin Talk al Concorso Chopin di Varsavia.

Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro, dedicato all'opera pianistica di Alfredo Casella.

Dal 2019 è membro dell'Associazione Nazionale Critici Musicali.

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