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Ritratto in concerto – Nicola Benedetti

di Matteo Macinanti - 28 Febbraio 2016

A poche ore dalla disputa rugbistica che ha visto scontrarsi Italia e Scozia, coloro che sono andati al concerto della IUC di sabato pomeriggio non sono rimasti indifferenti al perfetto equilibrio di caratteri che, al contrario, costituiscono la maniera di suonare della giovane violinista italo-scozzese Nicola Benedetti: la magia e l’atmosfera fantastica ed evocativa della Scozia unite all’energia e alla risolutezza proprie del carattere italiano.

Il programma abbraccia un secolo e poco più della produzione cameristica scritta per violino e pianoforte: dalla Sonata in Sol Maggiore n.10 op.96 di Ludwig van Beethoven fino ad arrivare a  “Mity”, i tre poemi che costituiscono l’op.30 del compositore polacco Karol Szymanowski, passando per la Sonata in Mi Minore op. 82 di Edward Elgar.

La violinista ha introdotto il concerto con i tre poemi denominati caratteristicamente “miti”, scritti nel 1915 nel periodo della guerra, dei quali lo stesso Szymanowski ebbe a dire: “le mie opere preferite, molto originali dal punto di vista timbrico e tecnico e, oltretutto, si tratta anche di buona musica.”

Nel primo poema, la Fontana di Aretusa si fa riferimento al mito di Alfeo e Aretusa: si racconta che Alfeo, figlio del dio Oceano, si innamorò perdutamente della ninfa Aretusa spiandola mentre faceva il bagno nuda. La ninfa, cercando di sfuggire alle profferte amorose del giovane cacciatore, chiese l’aiuto ad Artemide, e la dea la trasformò nell’omonima fonte presso l’isola di Ortigia, nei pressi di Siracusa. Alfeo allora chiese aiuto a Zeus, che, commosso dal suo profondo dolore, lo trasformò in un fiume per dargli la possibilità di unirsi indissolubilmente all’amata fonte.

La qualità equorea della musica appare chiaramente già dalle prime battute, colorate da quartine veloci che rispondono all’indicazione del compositore “Delicatamente. Susurrando. Flessibile.”

Il tappeto brumoso del pianoforte accompagna la dolcissima melodia del violino che, partendo sin da subito da un registro decisamente alto, si espande acquistando velocità fino ad arrivare all’acme centrale del pezzo.
La violinista si destreggia egregiamente nella difficoltà tecnica del pezzo in questione, padroneggiando perfettamente accordi, armonici e glissati.

Nel secondo mito l’argomento è tratto dalla nota vicenda di Narciso, il bellissimo giovinetto che, innamoratosi del suo stesso riflesso, morì senza essere capace di distogliere lo sguardo da se stesso.
Anche qui la Benedetti, rende in modo efficace l’ambiente mitico ed evocativo offerto da alcune note scritte ad altezze da capogiro à la Sibelius, pur non facendo trasparire, tuttavia, la difficoltà del pezzo.

La componente più vivace e risoluta dei tre poemi la sentiamo invece nell’ultimo mito, “le Driadi e Pan”,  che ricorda talvolta alcune composizioni posteriori di Prokofiev, quali il Concerto per violino n.1 del 1923.

Questa volta il riferimento è al dio Pan intento ad inseguire le Driadi, ninfe dei boschi che rappresentano la forza vitale della natura.
E’ qui che si avverte quell’originalità timbrica e tecnica della quale parlava il compositore: al suono ipnotico del violino, che richiama il flauto del dio, si accompagnano effetti inusitati quali trilli a due note, glissati, armonici naturali e artificiali, pizzicati con la mano sinistra e quarti di tono.

L’abilità e l’interpretazione eccellenti della violinista ricevono, per la verità, una accoglienza piuttosto tiepida da parte del pubblico, il quale invece si risveglia dalla diafanità della musica di Szymanowski grazie alla parte successiva del programma.

La sonata beethoveniana, nota per essere una delle più riuscite del corpus sonatistico, è stata scritta nel 1812 per l’Arciduca Rodolfo, allievo del compositore.
Al trillo iniziale della prima frase, posta ex abrupto a mo’ di domanda del violino verso il pianoforte, la Benedetti concede la giusta importanza, mantenendo un livello alto di interpretazione in tutti e quattro i movimenti.

La delicatezza e la dolcezza del tocco della Benedetti si avvertono soprattutto nel secondo movimento, vera perla della Sonata che è legato al terzo movimento senza soluzione di continuità.
Nel corso dell’ultimo movimento si è potuto invece cogliere con piacere il vigore e il piglio della violinista, i quali hanno fatto sì che la concentrazione del pubblico fosse tenuta sempre ad un livello alto.
Quest’ultimo, stavolta, ha apprezzato visibilmente l’esecuzione di carattere della violinista.

All’intervallo del concerto, le luci hanno rivelato un pubblico piuttosto composito: insieme alla fascia anagraficamente alta degli spettatori si sono aggiunti anche molti ragazzi e addirittura bambini, non tutti arrivati vigili fino alla pausa, che confermano il successo e l’apertura dell’Istituzione Universitaria dei Concerti verso tutti gli amanti della belle musique.

L’ultima parte del programma ha visto l’esecuzione della Sonata per violino scritta nel 1915 dal compositore inglese Elgar, compositore ufficiale del Regno Unito al quale appartiene anche la patria natia della violinista.

Dedicata ad un’amica di famiglia, la Sonata venne introdotta dal compositore con queste parole: “E’ piena di suoni dorati e a me piace, ma non devi aspettarti nulla di violentemente cromatico o cubista”

Anche qui si è avvertito un tocco energico e maturo che ha reso l’esecuzione davvero apprezzabile, specie nell’ultimo movimento.
E’ inoltre da sottolineare la perfetta complicità della violinista con il pianista Alexei Grynyuk, la cui bravura nell’accompagnamento non è venuta meno in nessuna parte del concerto.

Prima dell’applauso finale meritatissimo, la Benedetti ha concesso un bis, ossia lo Scherzo tratto dalla Sonata n.7 op.30 di Beethoven che ha fatto sì che il livello alto di drammaticità del programma venisse smorzato da uno scherzoso e ironico finale.

Matteo Macinanti


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