Storie degli inni nazionali più belli
di Lorenzo Pompeo - 24 Giugno 2018
In tempi di grandi manifestazioni sportive come i Mondiali di calcio, quest’anno ospitati dalla Russia, per i musicofili è spesso anche occasione di apprezzare l’emozionante momento in cui vengono intonati gli inni nazionali, aspettando quelli più celebri per la loro riconosciuta bellezza e altri meno famosi per la curiosità di scoprirli.
Abbiamo preparato una nostra selezione di inni di cui scoprire storie e aneddoti, viaggiando tra i vari continenti, selezionandone di famosi e di semisconosciuti, ma tutti scelti secondo il parametro della bellezza musicale.
Il Lofsöngur d’ Islanda, piccolo fiore eterno
Uno degli inni che sta acquisendo più notorietà negli ultimi anni, assieme al caratteristico Geyser sound, è l’inno islandese, Lofsöngur.
La storia dell’inno della nazione più “remota” d’Europa eppure inizia in un’altra isola, quella britannica dominata dalla Scozia, dove camminando per Edimburgo potreste imbattervi in una lapide commemorativa al n.15 di London Street che indica la casa dove fu composto l’inno d’Islanda.
Nel 1874 soggiornò qui, infatti, Sveinbjörn Sveinbjörnsson, compositore di punta di un movimento musicale, quello islandese, che aveva conosciuto una notevole fioritura nell’800, e vi compose l’inno in occasione del millenario della colonizzazione dell’isola. Contrariamente a quanto riferisce quella targa, tuttavia, contrariamente alla musica il testo dell’inno non era stato composto da Sveinbjörnsson in quella casa, ma dal poeta e prete Matthias Jochumsson. Entrambi riscossero grandi onori in patria, diventando rispettivamente primo musicista e primo poeta a cui venne riconosciuto il diritto ad una pensione statale, ma l’inno, nonostante una già grande popolarità, non divenne ufficialmente inno d’Islanda fino al 1944, quando gli islandesi votarono perché venisse riconosciuta loro indipendenza dalla Danimarca e per istituire una repubblica.
Le parole dell’inno nazionale islandese consistono in una vera e propria preghiera, le cui intenzioni vengono prese per larghi tratti dal Salmo 90. La gloria della storia millenaria d’Islanda viene ridotta solo di fronte al Dio per cui mille anni sono come un giorno, Dio che viene ringraziato per la sua protezione e che viene visto come fonte di consolazione di fronte alle intemperie del difficile clima islandese, fatto di mattine buie e gelide.
I mille anni dell’Islanda!
Piccolo fiore dell’eternità, che omaggia con lacrime il suo Dio
e muore con delicatezza.
Molte discussioni sono state sollevate negli ultimi tempi riguardo il contenuto così profondamente religioso di un inno di una nazione dove gli effetti della secolarizzazione hanno reso una buona parte della popolazione sostanzialmente non religiosa.
Ciononostante, l’Islanda resta un paese con la croce nella bandiera, una religione ufficiale di stato e un inno con una forte connotazione di preghiera.
Da un punto di vista musicale l’inno islandese è famoso per essere un inno molto difficile da cantare per l’ampia gamma di registri vocali, dove ad esempio si passa da un Si sotto al rigo a un La sopra al rigo. Questa difficoltà non impedisce agli islandesi di cimentarvisi anche con una discreta riuscita e, soprattutto, con una grande partecipazione emotiva.
Defendiendo, de Chile, el honor
In America del Sud gli inni, e la musica più generalmente, sono soliti avere un forte connotato popolare e non fa eccezione l’appassionato inno nazionale del Cile, dove si intrecciano il sangue versato nelle varie lotte per l’indipendenza e la libertà, la fede in Dio e il forte radicamento nella terra patria con le sue bellezze naturali.
L’inno cileno ha avuto una storia intricata e risulta essere una sorta di collage di più fasi compositive.
La prima stesura risale al 1819, quando, a seguito della fine della Restaurazione assolutista (1814-1817), il patriota cileno Bernardo O’Higgins incaricò il poeta Bernardo de Vera y Pintado di comporre una canzone patriottica in onore della sopraggiunta indipendenza cilena.
Il poeta compose il testo, ma mancava la musica: inizialmente fu utilizzata quella dell’inno argentino, poi furono fatti vari tentativi per riuscire a trovare una musica originale.
Dopo un primo tentativo che non ebbe esito felice, fu il compositore spagnolo Ramòn Carnicer i Battle, in esilio a Londra per le sue idee liberali, a comporre la musica per l’inno cileno, corredata da un’ Introduzione ed un Epilogo.
Nel 1847 si ritenne opportuno rivisitare il testo dell’inno per smussare le parti che contenevano parole troppo violente nei confronti dell’antico oppressore spagnolo e a questo provvide il poeta Eusebio Lillo Robles, modificando il testo tranne che per il coro, rimasto quello composto da Vera y Pintado.
Alzati, Cile, senza macchie sulla fronte;
Hai conquistato il tuo nome nella lotta;
Sempre nobile, costante e coraggioso.
Da un punto di vista musicale c’è da riportare una questione curiosa: la musica dell’inno è stata sicuramente influenzata dal belcanto italiano in voga in quegli anni dell’800, ma addirittura l’introduzione composta da Carnicer appare esattamente identica alle prime tre fasi dell’aria «Maffio Orsini, signora, son io» dell’opera Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti ma, ciononostante, la musica dell’inno cileno non viene considerata un plagio.
Deutschland über alles
In questo caso si tratta di un inno tra i più famosi e sicuramente uno di quelli più apprezzati dagli appassionati di musica, l’inno della Germania.
Conosciuto universalmente come “Deutschland über alles”, in realtà il titolo ufficiale è Deutschlandlied, oppure “Das Lied der Deutschen”.
La musica dell’inno tedesco, come ormai moltissimi sapranno, è quella del Gott erhalte den Kaiser composto da Franz Joseph Haydn nel 1797 in onore di Francesco II d’Asburgo, tant’è che fu utilizzata come inno ufficiale dell’Impero Austro-Ungarico dal 1804 al 1918, con testo originariamente di Lorenz Haschka, più volte modificato in seguito.
Nel 1922 la musica, unita a testo di Hoffmann von Fallersleben, diventò inno della Germania su idea del presidente Friedrich Ebert, ma avrà una storia travagliata tra l’avvento del Nazismo che ne esaltò solo quel Deutschland über alles e la difficile stagione della Germania divisa.
Unità, giustizia e libertà
sono la garanzia della felicità.
Proprio quel verso, quel Deutschland über alles, ha segnato la storia di quest’inno, ma la critica si è più volte dedicata a spiegare la differenza tra über alles, che in tedesco sta a significare l’essere “al di sopra di qualsiasi altra cosa, per me, nel mio cuore” e über allen, che invece significherebbe sì “al di sopra di chiunque altro”. Sforzo ignorato sia dai Nazisti che lo usarono al fine di propagandare la superiorità della razza tedesca, sia dagli alleati che lo sfruttarono per accusare i tedeschi di voler dominare le nazioni circostanti.
Anche Friedrich Nietzsche fu severo nei confronti di questo verso, definendolo in Così parlò Zarathustra “die blödsinnigste Parole der Welt”, “lo slogan più idiota al mondo”, confessando di temere che esso potesse rappresentare “la fine della filosofia tedesca”.
Curiosità che vale la pena di accennare è che il primo inno adottato dal neo nato stato tedesco usava la musica dell’inno britannico God Save the Queen, ovviamente con diverso testo.
Malignamente si è detto a volte che la Germania, adottando la musica dell’inno inglese prima di quello asburgico poi non abbia avuto un inno veramente proprio, ma appare chiaro come l’inno che usa la musica di Haydn rimandi ad una dimensione imperiale e unitaria della Germanità, acquisendo quindi un importantissimo valore simbolico per un popolo che ha ottenuto l’unità con grandi sforzi e difficoltà.
Azerbaigian, un giardino rigoglioso
Con l’Azerbaigian ci affacciamo verso il continente asiatico, seppur in una terra di transito come quella caucasica. Potrà sorprendere vedere quest’inno citato in una selezione di inni musicalmente più belli, ma, a parere di chi scrive, per solennità e bellezza non ha moltissimo da invidiare agli inni più celebri.
“Azərbaycan Marsi”, la Marcia dell’Azerbaigian è considerato dal governo come “il simbolo sacro dello stato dell’Azerbaigian, la sua indipendenza e la sua unità”, al punto da comparire anche sul retro di una banconota della moneta locale.
La musica è stata composta dal compositore Uzeyir Hajibeyov, mentre il testo è stato scritto da Ahmad Javad: entrambi risalgono al 1919, quando l’Azerbaigian sembrò poter consolidarsi come repubblica indipendente. La speranza fu disattesa già dal 1922, quando a seguito dell’ascesa dell’Unione Sovietica fu sostituito prima dall’Internazionale, poi dall’inno ufficiale dell’URSS.
Grazie alle aperture portate dalla Perestroika di Michail Gorbačëv, l’inno fu recuperato con una grande registrazione Aydin Azimov nel 1989, per tornare finalmente inno ufficiale dell’Azerbaigian in concomitanza con la caduta dell’Unione Sovietica nel 1992.
Azerbaigian! Azerbaigian!
Terra amata da valorosi figli,
[…]
Possa tu divenire un giardino rigoglioso.
Dio benedica il Sudafrica
Il continente africano ha consegnato (e continua a consegnare) alla storia pagine tragiche e commoventi, di cui forse la più nota è quella di Nelson Mandela e del suo Sudafrica, legate a doppio filo a quella dell’inno dello stato sudafricano e delle sue tante compagini etniche.
L’inno, ufficiale dal 1997, rappresenta un ibrido di due diverse melodie, Nkosi Sikelel’ iAfrika, “Dio benedica l’Africa”, e Die Stem van Suid-Afrika, “Il richiamo del Sud-Africa”.
La prima è stata composta nel 1897 ed è stata fino al 1925 inno dell’African National Congress, la seconda invece nel 1918 ed è stata inno della colonia sudafricana dal 1936 al 1957 assieme a God Save the Queen e poi inno nazionale del Sudafrica fino al 1994, ma considerata simbolo delle vicende tragiche dell’Apartheid.
Nelson Mandela, nel proporre come inno nazionale questo ibrido di diverse melodie volle dare un segnale di unità del paese, metaforicamente reso dalla presenza nell’inno e nelle due diverse melodie di cinque lingue, rappresentanti le diverse etnie presenti nel paese: xhosa e zulu, sesotho, afrikaans e inglese.
Risuona il richiamo a unirci,
e uniti saremo forti.
Russia, il paese sacro
Infine, a cavallo tra Europa ed Asia, arriviamo al termine di questa selezione con lo splendido inno russo, riconosciuto spesso come uno tra gli inni più belli, se non proprio il più bello.
L’inno che oggi conosciamo comunemente come inno della Russia ha una storia peculiare e caratteristica. La Russia zarista, come la Germania, aveva un inno basato sulle note di God Save the Queen, poi sostituito da uno di composizione musicale originale.
Con l’avvento della rivoluzione bolscevica nel 1917 l’inno adottato dai primi anni del nuovo regime fu l‘Internazionale.
Proprio questo nome fu una delle cause che spinse Stalin, successore di Lenin, a sostituire l’inno per dare segnale alle potenze straniere che l’Unione Sovietica era passata dall’idea di esportare la rivoluzione socialista a quella del “Socialismo in un solo paese”, oltre al bisogno, di fronte alla possibilità di un conflitto, di avere un inno che rappresentasse di più la patria russa rispetto all’Internazionale composta dal francese Eugène Pottier.
La storia travagliata dell’attuale inno della Federazione Russa, musicalmente già inno dell’URSS, ha fatto sì che lo stesso compositore del testo, Sergej Vladimirovič Michalkov, si trovasse a comporlo in tre occasioni differenti, sulla stessa musica di Aleksandr Vasil’evič Aleksandrov, vincitore del concorso bandito nel 1944 da Stalin per la composizione del nuovo inno: nel 1944, nel 1977 e nel 2000.
Queste diverse modifiche sono legate ai vari cambiamenti susseguitisi in seno al regime comunista nel corso del secolo scorso.
La versione del 1944 vedeva nel testo gloriosi riferimenti a Lenin e Stalin, ma il mutamento avvenuto a seguito della morte di Stalin con il sopraggiungere della de-stalinizzazione, fece sì che l’inno venisse eseguito senza intonare il testo fino al 1977, dove venne modificato il testo eliminando i riferimenti a Stalin e mantenendo quelli a Lenin.
Una volta caduta l’Unione Sovietica, dopo una breve parentesi caratterizzata da un combattuto uso della “Canzone Patriottica” di Michail Glinka, fu Vladimir Putin all’alba della sua ascesa a proporre il recupero del vecchio inno con una modifica ulteriore del testo.
Questa operazione ebbe non poche opposizioni, ma alla fine vide l’approvazione e quindi si procedette, sempre ad opera del buon vecchio Michalkov, ad una terza modifica del testo che in luogo della visione diretta al futuro tipica del regime comunista ma, soprattutto, dei riferimenti al comunismo e a Lenin, dedicava i versi dedicati alla grande tradizione russa e alla sua fede in Dio, designando la Russia come una patria benedetta e designata non più a mantenere una indivisibile totalità di Repubbliche, ma a difendere la fratellanza tra i popoli.
La nostra fedeltà alla Patria ci dà forza.
Così è stato, così è e così sarà sempre!
All’ascolto dell’inno nazionale, di qualsiasi nazione, è difficile restare indifferenti e non essere coinvolti dall’emozione e, indubbiamente, l’inno russo sembra poter trascinare e coinvolgere chiunque, ma proprio chiunque…
Lorenzo Pompeo