Il Gesualdo
di Matteo Macinanti - 20 Ottobre 2019
di Andrea Tarabbia al Premio Campiello
Gesualdo approda al Premio Campiello. Con “Madrigale senza suono” (Bollati Boringhieri, 2019) lo scrittore Andrea Tarabbia si è aggiudicato il 57^ Premio Campiello. Lo abbiamo incontrato alla presentazione del libro che ha avuto luogo il 14 ottobre nel foyer del Teatro Valle di Roma, a cui hanno partecipato anche Giovanni D’Alò, direttore artistico della IUC, e Giuseppe Mastrominico, già direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Studi Gesualdiani.
Domanda necessaria: cosa l’ha spinta ad accostarsi alla figura di Gesualdo?
La sua storia di matto che fa una cosa che non voleva fare, vale a dire l’omicidio della moglie; poi il fatto che pochi anni dopo la sua morte fosse stato dimenticato o quasi, mentre invece in vita era già considerato uno dei geni della contemporaneità, e infine questo oblio di tre secoli da cui era stato tirato fuori per i capelli da un musicista che io amo come Stravinsky. Mi incuriosiva molto l’idea di scrivere un romanzo che fosse storico solo in parte. Infatti la parte della costruzione della vita di Gesualdo è storica e documentata, mentre la parte della sua relazione con Stravinsky mi ha ampliato lo spettro dei generi possibili. La storia di Gesualdo questa occasione te la mette sul piatto.
La passione di un romanziere per la vicenda di Gesualdo è facilmente intuibile; ma come si spiega la passione per Stravinsky che traspare chiaramente tra le pagine?
Da molti anni tutto ciò che è russo mi interessa. Sono laureato in letteratura russa e il mio scrittore di riferimento è Dostoevskij. Stravinsky quindi non poteva non interessarmi in quanto russo… inoltre mi attira il suo rapporto con la tradizione del folklore russo, e la sua parentela con Gogol. Poi mi piace la musica che fa, per lo meno fino agli anni europei; dopo faccio un po’ fatica a seguirlo…
“Madrigale senza suono” è un madrigale a più voci. Oltre a quella di Gesualdo compaiono altre voci che si intersecano in un gioco polifonico davvero interessante. Come si scrive un madrigale testuale i cui protagonisti sono presi da luoghi e periodi storici differenti?
Lo si scrive creando una specie di gabbia nel testo. Tutta la letteratura è fatta per gabbie. Pensa allo schema della Divina Commedia: potrebbe sembrare che Dante abbia scritto cento canti a suo piacimento. In verità ha uno schema talmente rigido che lo costringe talvolta a fare versi brutti per stare dentro la metrica. Poi di verso brutto ce n’è tipo uno nella Divina Commedia, ma non tutti sono efficaci come il primo. Tu ti crei una gabbia che, metaforicamente è assimilabile al pentagramma e alla composizione musicale. La stessa cosa accade con la scrittura: si parte da un principio ordinatore ma nella struttura interna lo scrittore può muoversi come vuole.
Mi interessava poi l’idea, riscontrabile anche nei miei libri precedenti, che la realtà dei fatti non fosse raccontata da una voce unica che dice da sola come siano andate effettivamente le cose, ma che ci sia una serie di voci che commentano, arricchiscono e fanno da contrappunto alla voce principale. Il libro è stato costruito proprio secondo questa logica che, per certi versi, può essere ricondotta alla pratica musicale.
Il suo romanzo permetterà di far entrare la figura di Gesualdo nelle librerie e nelle case di moltissime persone. Cosa si aspetta da questa consegna del Principe di Venosa alla popolazione dei lettori italiani?
Io non credo francamente che Gesualdo sia pronto per diventare una figura pop, però può darsi che la gente che prima non lo conosceva, adesso, anche grazie al libro, può per lo meno sapere qual è il contributo che il Principe di Venosa ha dato alla cultura del paese, indipendentemente dal fatto di comprare i dischi e ascoltare la sua musica. Se il libro riesce a far capire che è esistito questo personaggio e che c’è stato un prima e un dopo, allora è già un buon risultato. Non tutti possono diventare musicologi, anche perché lo stesso Gesualdo ha fatto di tutto per non farsi ascoltare, quindi è anche giusto che una musica così complessa rimanga solo nelle orecchie di quelli che la possono capire.
E cosa significherà invece il Premio Campiello per la sua attività di scrittore?
Nello spicciolo significa che non sono più a casa, che sono al telefono e che ho guadagnato un po’ di soldi. Sulla lunga durata spero che sia qualcosa che mi permetta di avere una sorta di patente che torni utile in campo editoriale. Il Premio Campiello poi è uno dei due premi italiani che ti dà un po’ di autorità. Non sei più solo, c’è tutta una struttura dietro che ti supporta.
Sui prossimi libri mi auguro che non abbia nessun tipo di influenza, nel senso che voglio tornare a scrivere quello che voglio.
Matteo Macinanti