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Voci senza voce

di Martina Cavazza - 17 Gennaio 2025

Intervista ad Annachiara Gedda

Su commissione dell’Orchestra della Toscana, la compositrice torinese Annachiara Gedda ha scritto il brano ‘Voci Senza Voce’, recentemente pubblicato dalle Edizioni Ermes404. Il brano verrà eseguito dall’ORT, sotto la direzione di Jaume Santonja, in un programma che vedrà la musica di Gedda accostata a Schubert e Tchaikovskij. Dopo la prima il 20 gennaio a Piombino, le repliche saranno a La Spezia, a Firenze e Figline Valdarno, rispettivamente il 21, il 22 e 23 gennaio. Abbiamo intervistato la compositrice per scoprire qualcosa di più sulla sua musica, sul brano e sulla preziosa tematica che in questo viene trattata.

M C: Quali sono state le sue esperienze con l’orchestra precedenti alla commissione dell’ORT?

A G: Avere la possibilità di scrivere per orchestra è una delle opportunità più belle che possano capitare ad un compositore. Ogni strumento concorre, con il proprio timbro unico, a creare un’infinita gamma di colori e sfumature, contribuendo alla creazione di impasti sonori originali e ricercati.

Il dialogo tra i vari strumenti, le sovrapposizioni timbriche, la combinazione delle diverse sezioni strumentali associate alle numerose tecniche compositive conferiscono all’orchestra illimitate possibilità espressive. Questa ricchezza sonora è, per i compositori, fonte di grande ispirazione e sperimentazione e rende l’orchestra – grazie alla sua versatilità – uno dei mezzi più efficaci per esprimere il proprio pensiero musicale.

Tuttavia non è scontato vedere eseguita la propria musica, soprattutto quando i brani prevedono l’utilizzo di un organico piuttosto nutrito: dall’ampio ensemble all’orchestra. 

Nella mia carriera da compositrice sono stata fortunata: non solo perché ho avuto la possibilità di poter ascoltare dal vivo tutti i lavori che ho composto, ma anche perché mi è stata data l’opportunità di collaborare con diverse orchestre, sia in Italia che all’estero.

Auguro a qualsiasi compositore la possibilità di lavorare a stretto contatto con i musicisti: è spesso dal confronto diretto con gli esecutori che nascono le idee migliori, in quanto si tratta di uno scambio estremamente stimolante ed arricchente.

La primissima esecuzione per orchestra l’ho avuta quando ero ancora studentessa: il Conservatorio di Torino aveva bandito un concorso di composizione per la realizzazione di un brano sinfonico che tenesse conto dell’acustica dell’Auditorium della stessa Istituzione, presso cui sarebbe stato eseguito il lavoro vincitore. Ho avuto così la possibilità di unire i miei studi musicali a quelli del Politecnico di Torino, dove frequentavo la facoltà di Architettura. 

A questa esperienza ne seguì una a Liverpool dove – grazie alla vincita di un progetto europeo – ebbi la possibilità di collaborare con l’Ensemble 10/10, nutrito gruppo strumentale di musica contemporanea della Royal Liverpool Philharmonic Orchestra.

In seguito vinsi il Premio Veretti – bandito dalla Scuola di Musica di Fiesole – con un lavoro per flauto e orchestra, lavorai con l’orchestra giovanile di Mazzano (BS), scrissi un brano per orchestra di Fiati su commissione dell’Orchestra fiati della Valtellina diretta da Lorenzo Della Fonte e composi un melologo per quattro voci recitanti e orchestra per il Teatro Lirico di Cagliari.

Poi arrivò una chiamata da Tokyo e si avverò quello che forse per i compositori è il sogno più grande: la partecipazione al Toru Takemitsu Composition Award, dove vinsi il secondo premio ma, cosa più importante, ebbi la possibilità di collaborare con i musicisti per un’intera settimana.

Auguro a qualsiasi compositore la possibilità di lavorare a stretto contatto con i musicisti: è spesso dal confronto diretto con gli esecutori che nascono le idee migliori, in quanto si tratta di uno scambio estremamente stimolante ed arricchente.

Seguono poi Chasing Ice, con cui ho vinto la Rychenberg Competition a Wintertur e ottenuto due esecuzioni dall’orchestra del Musikkollegium della città sotto la direzione di Thomas Zehetmair, e Geometrie Spezzate, questa volta per orchestra d’archi, commissionatomi dalla Stuttgarter Kammerorchester ed eseguito in prima esecuzione assoluta dalla stessa orchestra diretta sempre da Thomas Zehetmair alla Beethoven-Saal di Stuttgart e rieseguito all’Opéra-Théâtre di Clermont-Ferrand dall’ Orchestre national d’Auvergne ancora una volta diretta dal M° Zehetmair.

E infine, Voci senza voce, commissionatomi dalla ORT, eccellenza italiana fondata nel 1980 e diventata dopo appena tre anni, durante la direzione artistica di Luciano Berio, Istituzione Concertistica Orchestrale. Sono davvero onorata che mi sia stata data l’opportunità di collaborare con un’orchestra così importante!

M C: Di chi sono le “voci senza voce”? E come si esprimono, all’interno del brano, attraverso la musica?

A G: Le “voci senza voce” sono quelle di tutti coloro che sono stati in qualche modo privati della propria identità e della propria libertà di espressione. Non è raro che i poteri autoritari abbiano messo a tacere le voci di dissidenti e eretici; ma ciò non avviene esclusivamente tramite l’oppressione. Anche l’indifferenza e il controllo sociale riescono a zittire individui e gruppi, mettendo in dubbio la credibilità del loro pensiero sebbene questa sia supportata da una solida ricerca. Mi sono ispirata alle società distopiche descritte da Aldous Huxley e George Orwell.

Questo lavoro vuole dare voce a chi è stato escluso, a chi è stato isolato, a chi è stato privato della propria libertà di espressione. Ho quindi considerato l’orchestra non come un semplice insieme di strumenti, ma come una sorta di voce collettiva.  A questo si affianca una ricerca sul silenzio e sul suo potere comunicativo che spesso, inaspettatamente, possiede un’eloquenza maggiore del linguaggio verbale. 

Ho considerato l’orchestra non come un semplice insieme di strumenti, ma come una sorta di voce collettiva. 

Contrasti interiori e duplicità di sentimenti si riflettono nella musica attraverso l’uso di gesti particolarmente significativi e pregnanti. A parti più distese, quasi eteree – caratterizzate da linee più morbide e dall’uso di campi armonici più eufonici e intervalli più consonanti – si alternano sezioni più nervose e aggressive caratterizzate dalla reiterazione di passaggi violenti e incisivi, campi armonici e intervalli dissonanti, volti a creare una maggiore tensione. Si tratta di sezioni contraddistinte da una forte identità musicale, che però non appariranno sempre alternate ma talvolta alcuni elementi caratteristici di ciascuna sezione verranno intrecciati, mescolati, per creare nuove combinazioni. Gesti taglienti e aggressivi, come l’irrompere deciso dei violini, si sovrappongono a elementi più morbidi quali il tappeto di armonici artificiali realizzato dalle viole e dai violoncelli e dal tam tam, evocando il frastuono di infinite voci dissonanti.

M C: Mario Brunello, nel suo libro dedicato al tema, ha definito il silenzio come un’“ottava nota”. Lo ha utilizzato in questo senso nel suo lavoro?

A G: Mario Brunello, celebre violoncellista, nel suo ultimo libro racconta quella che per lui è un’antica ossessione: il silenzio. Si tratta di una tematica che mi ha da sempre affascinata e che riveste un particolare interesse all’interno della mia poetica compositiva.

Molti compositori si sono addentrati nello studio e nella ricerca che sottende il silenzio: da John Cage a Schubert. Brunello condivide le sue esperienze e le sue riflessioni su come il silenzio possa essere una forma di comunicazione profonda, un momento di introspezione e una fonte di creatività. Concordo molto con il pensiero dell’autore. L’enorme importanza che Brunello attribuisce al silenzio – che quindi non è banale assenza di suono ma parte integrante del discorso musicale, carica di tensione – è anche una componente fondamentale della mia ricerca musicale.

L’equilibrio, la proporzione, l’armonia ecc sono elementi che non potrebbero esistere senza un respiro, senza un silenzio.

Voci senza voce vuole portare l’ascoltatore a riflettere – tra le altre cose – su come in alcune circostanze il silenzio comunichi più delle parole: può essere un atto di disobbedienza, il rifiuto di accettare una sottomissione, ma anche un modo di esprimere una consonanza così profonda che travalica le possibilità comunicative delle parole

Anche un altro mio lavoro – Hush! per flauto e chitarra – è stato integralmente costruito partendo da queste riflessioni. Il titolo, infatti, è l’imperativo del verbo tacere, zittire; ma ha anche un valore come sostantivo, ed è sinonimo, oltre che di silenzio, di immobilità. Silenzio dunque inteso non solo come negazione e interruzione della comunicazione, ma anche come mezzo di espressione di pensieri e di emozioni.

Ricerca forse stimolata anche dai miei studi di architettura: noto una forte similitudine tra il ritmo musicale e quello architettonico, tra i pieni e i vuoti musicali e quelli architettonici. L’equilibrio, la proporzione, l’armonia ecc sono elementi che non potrebbero esistere senza un respiro, senza un silenzio. 

M C: In che modo hanno influito i Maestri con cui ha studiato, da Giorgio Colombo Taccani a Tristan Murail, nella ricerca della sua propria voce nella composizione?

A G: I miei due maestri storici, Alessandro Ruo Rui e Giorgio Colombo Taccani, con i quali ho studiato al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, sono stati fondamentali nel conferirmi un’impostazione di base molto solida.  Alessandro Ruo Rui, eccezionale didatta, mi ha trasmesso non solo la curiosità di addentrarmi in un brano e l’abilità di sviscerarlo analiticamente, ma anche la capacità di trasmettere a mia volta le conoscenze apprese. Da Giorgio Colombo Taccani, compositore tra i più affermati nell’attuale panorama musicale italiano, ho cercato di apprendere al meglio l’arte del comporre, l’approccio compositivo, l’artigianato che sottende la composizione e, anche in questo caso, la meticolosa ricerca analitica.

Ho poi seguito diverse masterclass con svariati compositori: Luis Bacalov, Mauro Bonifacio, Azio Corghi, Ivan Fedele, Beat Furrer, Toshio Hosokawa, Michael Jarrell, Bryan Johanson, Paola Livorsi, José Manuel López López e Tristan Murail

Si tratta di compositori accomunati da una forte personalità e da una originale poetica compositiva. E’ stato per me fondamentale poter confrontarmi con loro, scoprire il loro approccio alla composizione, le loro tecniche compositive, la loro visione musicale ecc.

Sebbene ognuno di loro abbia una personale visione della composizione con approcci talvolta non solo differenti ma addirittura opposti, sono accomunati da una poetica così ricercata e da uno stile talmente incontaminato che li rende unici e irripetibili. Ed è proprio questo che mi auspico di riuscire a raggiungere nel mio percorso.  

Martina Cavazza

Responsabile Editoriale

Compositrice diplomata al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, vicepresidente dell’Associazione Musica Del Vivo per la promozione della musica di giovani compositori.

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