Testimoni del presente: Vittorio Montalti
di Valerio Sebastiani - 25 Aprile 2020
dialogo con Vittorio Montalti
Le voci dei compositori dentro e oltre la pandemia. Abbiamo stimolato diversi compositori a rispondere a tre questioni legate al presente, per indagare le caratteristiche, le contraddizioni e le peculiarità del fare (e pensare) musica in un momento di così radicale crisi globale.
Dopo Giorgio Battistelli, Luca Lombardi e Giorgio Colombo Taccani (i link rimandano alle precedenti conversazioni), abbiamo scelto di rivolgerci a Vittorio Montalti un giovanissimo compositore, che ha già all’attivo importanti lavori come l’opera di teatro musicale Un romano su Marte (da Ennio Flaiano, su libretto di Giuliano Compagno) andata in scena pochi mesi fa al Teatro Nazionale, su commissione del Teatro dell’Opera di Roma.
L’intimo rapporto con se stessi: il compositore vive, per la natura stessa del proprio mestiere, una condizione di solitudine; tuttavia, a fronte della forzata reclusione, come cambia la percezione di questa solitudine, se cambia, e quali sono le riflessioni che emergono?
Quello del compositore è un mestiere solitario. Si passano moltissimo tempo su progetti che, al momento dell’esecuzione, prendono forma in poche settimane. Questa solitudine permette un continuo dialogo con sé stessi necessario per edificare il proprio mondo sonoro. È evidente che il contatto umano è comunque una parte importante del mestiere, ma nonostante le relazioni continue con ad esempio cantanti, musicisti, registi o attori, si passa la maggior parte del tempo tra fogli d’appunti, tastiera del pianoforte e computer.
Da un lato l’isolamento forzato che ci troviamo ad affrontare ha portato preoccupazione per la situazione in generale, che sembra davvero grave a livello sanitario ed economico. Dall’altro resta l’urgenza compositiva che, almeno in un primo momento, si è amplificata. Agli inizi della quarantena ero infatti immerso nella realizzazione di un nuovo lavoro che avrebbe dovuto vedere la luce a metà maggio. Adesso che però i concerti sono stati annullati o spostati (a date incerte e da definirsi), le mie giornate si dividono tra la scrittura, che comunque procede con un certo ritmo, e l’insegnamento a distanza della composizione per il conservatorio.
Il confinamento ha fatto emergere un bisogno di maggiore essenzialità nella scrittura, forse anche per via del silenzio incredibile che soprattutto la sera ci circonda… qualcosa di inimmaginabile per una grande città come Roma. Ecco, mi piacerebbe evocare la sensazione di questo grande silenzio nella mia musica.
Questo bisogno di essenzialità (il quale, peraltro, si era già manifestato a più riprese) attualmente si è amplificato in un crescente impulso ad asciugare, a raggiungere una maggiore intimità.
In questa direzione, ho spesso fatto uso di meccanismi di ripetizione contrapposti a momenti di stasi, di rarefazione . Per citare un lavoro recente, ne Le leggi fondamentali della stupidità umana, ritornano più volte gli stessi frammenti, dei modelli molto asciugati, scarni. La sfida, pur quanto ovvia, è sempre quella di non aggiungere per “riempire”, ma di individuare piuttosto ciò che ai fini della costruzione del pezzo sia essenziale. Come ho detto, la solitudine di queste giornate porta con sé un silenzio che mi porta a riflettere sull’essenzialità. Una sensazione simile a quando si raggiunge la vetta di una montagna, e dopo aver camminato molte ore ci fermiamo ad osservare circondati da una quiete profonda. Quiete che al momento sto cercando tra le note con modalità di ricerca compositiva un po’ diverse dal solito. Per fare un esempio, parto dall’interno del suono, ne studio lo spettro e su quello lavoro, sperimento. A livello formale individuo sezioni contrapposte, dei pannelli, tra le quali non avviene un vero e proprio passaggio o un processo di elaborazione; sono blocchi spesso isolati; se la necessità è di creare un legame tra le sezioni, può bastare un solo elemento, una singola idea per creare il tessuto connettivo. Seppure ogni blocco abbia idee musicali distinte, queste possono ripresentarsi nel corso dell’intera arcata, magari rielaborate. Quando parlo di essenzialità mi riferisco proprioad individuare una singola idea che si dirama e si articola in diversi modi: all’interno di altri blocchi; in una situazione statica; oppure in continua evoluzione senza meta o apparente punto di arrivo. L’obiettivo di una maggior essenzialità, mi spinge poi a cercare una coerenza interna tra gli elementi, nel materiale costituente. Essenzialità intesa quindi quale impiego di ciò che è necessario, funzionale alla caratterizzazione del pezzo, e non necessariamente come uso di elementi ridotti ai minimi termini.
Ha detto che in questi giorni, oltre a scrivere, è occupato nell’insegnamento. Cosa ne pensa della didattica a distanza?
Nella didattica online i compositori sono senza dubbio avvantaggiati. Senza troppi problemi possiamo infatti condividere materiale, fare ascolti, analisi e scambiarci le partiture a cui stiamo lavorando. Certo, per gli strumentisti è molto più difficile. Il suono non sempre è pulito, la linea può interrompersi, e la mancanza di un rapporto diretto è un grande limite; per non parlare di chi insegna musica da camera, direzione d’orchestra o corale. Attualmente sono docente di composizione al Conservatorio di Potenza, dove fino a qualche mese ricoprivo la cattedra di Armonia. C’è uno stimolante fermento di idee tra i ragazzi, che sono tutti molto motivati nonostante le difficoltà del mestiere. In fin dei conti, è questo l’aspetto veramente cruciale: se cede la motivazione diventa davvero difficile proseguire, soprattutto in questa fase delicatissima. Quasi sempre i ragazzi a cui insegno, riescono a produrre lavori caratterizzati da idee fresche e originali. La loro conoscenza della musica è, inoltre, trasversale, complice, credo, l’immenso bagaglio di materiale che Internet offre. Questo straordinario archivio porta i ragazzi a confrontarsi con stili diversissimi, ad accedere a più strumenti di linguaggio nella ricerca di individuare il proprio.
Per quanto riguarda la mia formazione, venendo dalla scuola di Solbiati, ho imparato a costruire delle tecniche che fossero in linea con le mie necessità espressive e direttamente relazionate ai problemi che mi ponevo. Ripropongo questo approccio nell’insegnamento perché lo trovo funzionale ed efficace, è fondamentale infatti fornire dei parametri utili per rendere concreto un pensiero e poterlo sviluppare. Il nostro è infatti un lavoro molto tecnico, artigianale, tarato sulla gestione del materiale. Avere un’idea, un progetto compositivo implica la sua possibilità di realizzazione; è quindi necessario avere i mezzi compositivi affinché questo si verifichi. Potrebbe diventare problematico prendere spunto da idee, pure interessanti, ma che non sono riferibili direttamente e spontaneamente alla loro realizzazione in musica.
Per quanto riguarda lo stile, non penso sia un problema prioritario, ognuno troverà la propria voce con l’esperienza. Il tempo aiuta a definirci. Come insegnante cerco il più possibile di essere d’aiuto nella realizzazione delle idee musicali, provando ad immedesimarmi. Suggerisco di ascoltare cose molto diverse, e faccio molta analisi del repertorio, tonale o meno; per quanto riguarda la musica del Novecento cerco di spaziare (dalle Variazioni op.27 di Webern, fino alla musica di Fausto Romitelli, e oltre). Mi pongo sempre questioni sull’autenticità, l’individualità di un linguaggio, sul cercare qualcosa che ci rappresenti nel modo più coerente possibile. Trovo superfluo qualunque ornamento fine a se stesso o autoreferenziale. Anche in questo senso si può intendere l’essenzialità di cui parlavo prima.
In un momento in cui viene richiesta “originalità”, “distinguibilità” ad ogni costo, forse per la saturazione di certi ambienti musicali e non, paradossalmente per fare un passo avanti dobbiamo farne uno indietro. Essere moderni non significa certo modernismo, tanto meno essere alla moda. Maestro Montalti, come trova la Sua personale cifra, il Suo “suono”?
All’inizio ero interessato ad avere un suono “complesso” adoperando spesso, ad esempio, strumenti preparati. Con gli anni sono arrivato ad asciugare radicalmente il suono e ad affinare, a limitare le preparazioni che negli ultimi lavori, sono pressoché assenti. In questa fase mi affascinava esplorare il suono e il rumore intesi come elementi inscindibili, cercando di sostituire a questa opposizione, una continuità tra spettro armonico e spettro inarmonico, con tutte le gradazioni e le sfumature quindi che troviamo in mezzo e che contribuiscono all’identità del suono (come, ad esempio, il soffio dentro lo strumento, lo sfregamento dell’arco sulle corde e via dicendo). Per chi fosse interessato all’argomento, consiglio un testo molto significativo di Giovanni Verrando: La nuova liuteria: orchestrazione, grammatica, estetica. Sull’uso di tecniche estese bisogna però considerare che non sempre si lavora con ensemble dedite all’esplorazione sonora, e quindi familiari con una certa scrittura. Spesso poi il tempo a disposizione si riduce a un numero esiguo di prove, insufficiente per lavorare a pieno in questa direzione.
Le strategie per il futuro prossimo: alla luce dello sconvolgimento globale attuale, con la consapevolezza di una possibile e ancor più profonda crisi economica all’orizzonte e i rischi e le paure di ritrovarsi in luoghi affollati, ora più che mai le sovrintendenze dei teatri e delle istituzioni concertistiche dovranno mettere in campo strategie in grado di reagire alle difficoltà verso cui andremo incontro. Quali scenari si prospettano secondo Lei e come riporteremo le persone nelle sale da concerto?
In generale credo molto nell’utilizzo dei social e delle piattaforme per l’ascolto e la diffusione di musica. Sono mezzi di comunicazione estremamente potenti ed efficaci. A maggior ragione, in una situazione come questa, l’utilizzo di Internet può essere molto utile per mantenere un rapporto con il pubblico da parte delle istituzioni e dei singoli artisti. Trovo stimolante l’ampia proposta di spettacoli, estratti musicali, interviste o dirette online, tra cui anche la vostra iniziativa di concerti in streaming (#Musicgoesviral). Allo stesso tempo però, sono convinto che la presenza fisica di un musicista sia qualcosa di insostituibile e che, dal momento in cui i teatri riapriranno, il pubblico si sentirà particolarmente motivato a frequentare concerti e spettacoli.
Sarebbe troppo facile continuare a inneggiare alla sperimentazione di spazi di fruizione alternativi: sono cose che abbiamo già fatto e che già pensavamo prima di questa crisi, e non credo che risolverebbero il problema. Bisognerà senza dubbio adattarsi a nuove modalità performative. Il prossimo 20 maggio, per esempio, era in programma la prima esecuzione del pezzo per percussioni ed elettronica, in collaborazione con Blow-up Percussion e Tempo Reale, di cui accennavo all’inizio di questa conversazione. L’idea generale, già prima del lockdown, era di sposare una diversa concezione dello spazio performativo classicamente inteso, con il pubblico in piedi alle Terme di Diocleziano come avverrebbe nei concerti rock o di musica elettronica. Ora naturalmente tutto è stato rimesso in discussione perché anche volendo, all’aperto è molto difficile impedire i contatti tra le persone. Le piattaforme digitali potrebbero essere una temporanea soluzione, anche se sono soluzioni non prive di contraddizioni, e potrebbe essere interessante programmare l’esecuzione in streaming adattandosi però alla (spesso scarsa) qualità sonora dell’audio, almeno che non si abbiano i mezzi di diffusione adeguati. A questo punto, se proprio devo scegliere, aspetterei un anno, piuttosto che accontentarmi di un risultato non ideale, a causa dell’assenza fisica di esecutori e pubblico.
Si può rinunciare forse a qualche esecuzione ma si potrebbe, frattanto, cogliere l’occasione per fare didattica divulgativa! Maestro Montalti, come farebbe conoscere la Sua musica, andando al di là dei settori classici? E, in generale, in che ottica rivedrebbe la divulgazione della musica nuova in Italia?
Mi pongo continuamente il problema del raggiungere settori non specializzati e un pubblico più ampio. La composizione di opere per il teatro musicale va esattamente in questa direzione perché mi permette di inserire, oltre alla musica strumentale e vocale, mezzi multimediali di comunicazione a cui il pubblico di oggi è molto abituato. Mi interrogo, e non penso di essere il solo, su come poter arrivare a un pubblico il più ampio possibile, senza dover però accondiscendere a certe linee di mercato o ai gusti di maggioranza. Credo che questa spinta verso l’autenticità sia un fattore importante, per il raggiungimento di un pubblico sempre più vasto. L’aspetto della divulgazione è molto delicato; oggi è ancora più necessario essere impresari della nostra stessa musica. Se non fossi molto impegnato mi dedicherei alla scrittura e all’esecuzione di brevi pezzi per pianoforte, magari con l’aggiunta di elettronica, o anche facendo improvvisazioni da mandare in streaming sulle piattaforme digitali. Mi troverei meglio con queste modalità piuttosto che raccontare, o parlare della mia musica.
Il compositore: testimone del proprio tempo. Superata l’emergenza l’arte dovrà riuscire a essere un reale e necessario sostegno, se riconosciuta come “medicina dell’anima”, e il compositore una voce di riferimento; ma alla luce delle difficili condizioni di un mestiere non sempre riconosciuto, come riuscirà a farsi ascoltare?
Mi risulta difficile dire in quale modo il compositore potrà reagire. E’ probabile che, quando usciremo da questa situazione, si dovrà fare i conti con dei cambiamenti, sia esteriori che interiori, e avremo necessità di recuperare fiducia nel rapporto con gli altri e con il mondo. In questo senso i concerti, in quanto momenti di condivisione e d’incontro significativi per la loro dimensione unica, potranno essere un reale sostegno.
A un compositore più giovane, o a un mio studente, direi di porsi nella condizione di essere disposto a tutto per seguire la propria passione. Personalmente, se non potessi scrivere musica, non saprei cosa fare, ora ancor più! Non ho alternative e forse non le ho mai avute. La composizione si è manifestata come un demone che ha cominciato a conquistarmi intorno ai diciassette anni e non mi ha più abbandonato. Ho passato anni in cui nel weekend da Roma andavo a Milano per seguire le lezioni di gruppo di Solbiati. Quando una cosa ti interessa sei disposto veramente a tutto per ritagliarti il tuo universo.
Ritornando alla domanda principale, credo che il lavoro dell’artista consista essenzialmente in una ricerca di autenticità nella propria opera e penso che andare avanti su questa strada, con attenzione a quanto ci accade intorno, possa essere la giusta risposta in un momento difficile come questo.
Intervista a Vittorio Montalti a cura di Michele Sarti e Valerio Sebastiani
Foto di copertina © Luca Condorelli