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Il futuro dell’Amiata Piano Festival

di Alessandro Tommasi - 15 Settembre 2019

intervista a Silvia Chiesa

Silvia Chiesa è artista ben nota sia per la sua costante ricerca nel repertorio violoncellistico (di riferimento le sue incisioni del Novecento italiano con i Concerti di Casella, Malipiero, Pizzetti, Casteluovo-Tedesco ed altri ancora), sia per la sua attività presso l’Amiata Piano Festival dov’è artista in residence e per cui si occupa di Amiata Music Master, un progetto dedicato ai giovani musicisti italiani. Immersi nei colli della Toscana per seguire qualche giorno dell’idilliaco Amiata Piano Festival, troviamo un ritaglio di tempo nella frenetica vita organizzativa per un’intervista dedicata ai Festival e ai suoi progetti. Ovviamente prima di dedicarsi ad una delle attività più stimolanti del Festival: la cena.

Partirei con una prima domanda di introduzione: cos’è Amiata Music Master?

Amiata Music Master è un progetto che prevede un concerto all’interno del Festival, interamente dedicato alla collaborazione con giovani interpreti che cominciando ad affacciarsi sulle scene nazionali e possibilmente internazionali. Questi giovani si uniscono a musicisti professioni per un concerto, il cui programma viene stabilito a seconda dei ragazzi che scelgo. Dunque ogni anno cerco di individuare prima i ragazzi interessanti e poi trovo il programma.

Come avviene la selezione?

Un po’ per passa parola, avendo tanti colleghi che insegnano in grandi accademie italiane e all’estero. C’è sempre modo di confrontarsi su chi sono i giovani talenti che possono essere presente su un palcoscenico del genere e collaborare con musicisti professionisti. Dopodiché, naturalmente, li voglio sentire. Non mi basta un curriculum, perché gli abbinamenti, le combinazioni e i programmi sono scelti in base a come sento i ragazzi, alle loro qualità, alla loro personalità, così che possano essere messi al massimo delle loro possibilità.

Qual è il valore didattico di questa operazione?

Il valore didattico è far loro suonare con musicisti professionisti e che i tempi di apprendimento si possono accorciare. Molto spesso trovo nelle scuole la definizione di “musicista camerista” accostata a “musicista molto paziente” che studia e ci mette mesi e mesi per costruire un quintetto, un sestetto, un ottetto. Da un certo punto di vista è vero, ma la formula Festival prevede che, come succede ai professionisti, ci si trovi un giorno, due giorni prima dell’appuntamento e si studi per otto ore al giorno per montare il repertorio. Bisogna avere la capacità di fissare l’interpretazione in quel poco tempo e questa è una cosa che non ti insegnano mai a scuola.

Questo approccio non va a scapito della musica? Non si perde qualcosa?

Secondo me assolutamente no, ma ovviamente quando un ragazzo ha un livello non solo strumentale, ma anche di maturità musicale decisamente elevato, che gli permetta questo approccio. Ho collaborato con tanti giovani musicisti, perché sono diverse edizioni che il progetto va avanti, e quando vedo un ragazzo che arriva senza una partitura o che non conosce quello che è scritto attorno alla propria parte, mi spavento un po’. Per fortuna di solito non succede, proprio perché la selezione è piuttosto mirata. Secondo me bisogna abituare i giovani musicisti ad esser pronti, ad ascoltare tutto, ad essere flessibili, memorizzare in fretta, accordarsi rapidamente con il proprio collega su arcate, dettagli, differenze. Non perché si voglia fare musica in fretta, anzi: perché questo sia possibile, ogni musicista deve avere le idee talmente chiare da riuscire in quell’istante ad imporle sugli altri con chiarezza.

Sono ormai un po’ di anni che il progetto procede, c’è stata un’evoluzione? E come lo vedi nei prossimi anni?

Evoluto direi di no, più che altro si è confermato. Certo, mi piacerebbe un giorno poter offrire ad un ragazzo magari un concerto con l’orchestra, ma devo attendere un po’. Anche perché l’Amiata nasce come festival cameristico (e addirittura pianistico: d’altronde è Amiata Piano Festival!). Nonostante Maurizio Baglini, il direttore artistico, inserisca in ogni tranche un concerto con orchestra, la natura è comunque cameristica! Ciò che mi piace, tuttavia, è riuscire a portare avanti questo progetto da ormai cinque anni, cosa per niente scontata. È vero che di giovani, bravi musicisti ce ne sono tanti, ma trovare i programmi giusti non è così semplice. Il primo anno ho programmato un brano che non si fa mai nelle stagioni, l’Andante e variazioni per due pianoforti, due violoncelli e corno di Schumann, un brano bellissimo che i ragazzi non avevano mai sentito, che non si fa mai in Conservatorio. Ma abbiamo anche fatto i due Sestetti di Brahms nella stessa serata (questo un programma più classico) e quest’anno abbiamo messo su persino Verklärte Nacht. Ed è stata un’impresa: non pensavo di riuscire a fare una cosa di livello così alto, con tre professionisti e tre ragazzi. Ecco, questa possibilità di pensare a progetti sempre più arditi e riuscire a portarli a compimento è un po’ un’evoluzione!

Avete anche dei partner per questo progetto?

Sì, da quest’anno! Fino all’anno scorso procedevo da sola, quest’anno abbiamo collaborato con l’Accademia di Santa Cecilia, perché Sonig Tchakerian ha portato un suo studente molto bravo, e con Musica con le ali, che ha vari ragazzi nel suo roster, da cui ho selezionato Ludovica Rana perché mi sembrava perfetta per questo progetto.

Beh, direi che come presentazione del progetto ci siamo! Spostiamoci sull’Amiata più in generale, invece. Secondo te di cosa avrebbe bisogno il Festival per crescere?

Ah, certamente non di idee, che quelle a Baglini non mancano! Semmai ha bisogno di entrare a far parte di quei pochi Festival che si riconoscono in Europa per la grande qualità, ormai il livello c’è. Non è presunzione, è che quasi tutti i grandi musicisti stranieri che arrivano per l’Amiata si stupiscono della qualità che riusciamo ad avere, che non ci distanzia da altri festival, molto noti al grande pubblico. Magari in quei festival ci sono dei grandi nomi che chiaramente qui non possiamo ancora avere, perché ci vuole una crescita anche di budget per fare inviti di un certo tipo. Però devo ammettere che è una soddisfazione vedere musicisti che si esibiscono in quei festival venire qui e vederli stupirsi per la qualità artistica, per l’organizzazione, per il pubblico. Ti fa capire che siamo sempre in salita!

L’Amiata Piano Festival ha come suo cuore il Forum Bertarelli, ma è un Festival che ha come punto di forza anche tutto l’ambiente che lo circonda. Avete pensato di muovervi anche su diverse location?

L’abbiamo fatto in passato, abbiamo persino organizzare un concerto in una piccolissima chiesetta con le porte aperte, in cui abbiamo fatto l’azzardo di portare un Fazioli per un recital violoncello-pianoforte insieme a Maurizio. 40 persone dentro la chiesa, 200 sul prato fuori. E poi concerti nelle cantine, nella Sala Musica… ma da quando c’è il Forum abbiamo visto che il pubblico ha più piacere ad ascoltare bene. Ci sono molti Festival che approfittano di location all’aperto, magari con bellissimi paesaggi, però avendo la fortuna di trovare un auditorium dall’acustica cos’è buona, il nostro pubblico richiede ormai questa qualità d’ascolto. Basti prendere Aria di Silvia Colasanti, che abbiamo sentito al concerto di questa sera [27 luglio, in prima assoluta NdA]. Tutti quegli effetti, quegli armonici, quei flautati, te li puoi gustare solo quando hai una scatola che ti permette un ritorno di suono perfetto. Certo, potremmo magari fare qualcosa di più leggero all’esterno e questo non è affatto escluso.

Che tipo di pubblico avete e quale vi piacerebbe attirare?

Abbiamo una piccola parte di locali, ma per la maggior parte sono persone che vengono ai concerti da Roma, Firenze, Milano. Poi abbiamo grossi gruppi di giapponesi e tedeschi, che ci seguono da anni e per cui il Festival è diventato anche occasione d’incontro. Ci sono persone che si sono incontrate qui e che ritornano dopo anni per ritrovarsi e fissare le proprie vacanze con momenti musicali. Questa è una cosa davvero importante, non bisogna trascurare l’aspetto sociale! Parlando invece di pubblico ideale, il pubblico che vorrei è un pubblico che arriva perché sa che qui facciamo cose che non si fanno altrove. Per questo cerchiamo di articolare programmi che non puoi trovare in altre stagioni, altrimenti non ha senso.

Questo non vi fa correre il rischio di ricercare la rarità, la particolarità a tutti i costi?

Certo, è un rischio, ma può essere un problema come no. Girando per le sale da concerto, anche all’estero, mi è capitato spesso di trovare persone che sono venute ad ascoltare quel determinato artista che possono però trovare anche a Roma, a New York, a Berlino, con il medesimo repertorio. E comincio a percepire che questo approccio non è molto amato. Chi viene qui vuole sentire qualcosa di estremamente nuovo. Anche perché è talmente difficile raggiungere questo posto, che serve una motivazione davvero valida! Secondo me il nostro pubblico ha capito quali sono le nostre caratteristiche e per loro l’Amiata Piano Festival è come un negozio specifico, di quelli in cui vai perché sai che solo lì puoi trovare l’oggetto particolare che desideri. Questo per me è già un grande risultato!

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Alessandro Tommasi

Autore

Viaggiatore, organizzatore, giornalista e Pokémon Master, studia pianoforte a Bolzano, Padova e Roma e management culturale alla Rome Business School e alla Fondazione Fitzcarraldo. È Head of Artistic Administration della Gustav Mahler Jugendorchester e direttore artistico del Festival Cristofori e di Barco Teatro.

Nel 2021 è stato Host degli Chopin Talk al Concorso Chopin di Varsavia.

Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro, dedicato all'opera pianistica di Alfredo Casella.

Dal 2019 è membro dell'Associazione Nazionale Critici Musicali.

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