Roma-Pechino A/R
di Silvia D'Anzelmo - 26 Novembre 2019
i viaggi musicali dell’ensemble Ars Ludi
Il 56° Festival di Nuova Consonanza è dedicato ai profondi intrecci che si creano tra la musica e il pensiero, tanto da farli coincidere come un’unità sintetica: dunque, musica è pensiero. Questo continuo scambio tra quelli che sono, di fatto, due vasi comunicanti a tutti gli effetti, è declinato come esperienza di viaggio dall’Ars Ludi Ensemble e dal soprano Maria Chiara Pavone. Roma-Pechino A/R non è semplicemente un omaggio all’oriente da un punto di vista occidentale, ma un vero e proprio sguardo in prospettiva sul pensiero, e quindi sulle musiche, di due mondi agli antipodi ma capaci sempre più di dialogare tra di loro in maniera creativa.
Per l’occasione, abbiamo incontrato Antonio Caggiano membro fondatore dell’Ars Ludi insieme a Gianluca Ruggieri e Rodolfo Rossi. Con lui abbiamo chiacchierato intorno agli interessi dell’Ensemble che ha costruito questo percorso esperienziale in cui Oriente e Occidente si guardano allo specchio cercando punti in comune e tratti distintivi.
Come nasce l’interesse di Ars Ludi per l’oriente musicale?
L’Ars Ludi si è sempre sentito molto vicino alla musica e ai compositori orientali, tanto che è stato il primo ensemble occidentale di percussioni a esibirsi a Pechino. Era il 1996 quando il Ministero degli Esteri, insieme all’Istituto di Cultura Italiano e al Conservatorio di Pechino, ci ha invitati per una tournée in Cina. Abbiamo avuto la fortuna di eseguire, in prima assoluta, opere di compositori come Giorgio Battistelli al fianco di quelle di Qu Xiao-Song o Guo Wenjing. Il nostro interesse, infatti, era legato a questa doppia prospettiva: come l’occidente guarda all’oriente e viceversa. E il concerto di questa sera mantiene una forte connessione con la tournée di Pechino. Anzi, vuole quasi esserne una rievocazione.
Qual è il fil rouge che tiene insieme la serata?
Questo concerto esprime varie sfaccettature dell’oriente. Possiamo guardare al programma come qualcosa di denso che si articola su più livelli: natura, silenzio, esplorazione del suono, meditazione, ritmo… la cosa che tiene tutto insieme è il tentativo di questi compositori così differenti per nascita, formazione, pensiero, di ricercare un’origine, qualcosa che sia autentico e ancestrale al tempo stesso. Abbiamo inserito autori orientali come Tōru Takemitsu di cui eseguiremo Rain Tree, una sorta di metafora dell’acqua che circola nel cosmo come linfa vitale; e Guo Wenjing che ha scritto per noi Elegy. Al loro fianco ci saranno autori occidentali come Giacinto Scelsi, Steve Reich e Mauricio Kagel. Ko-tha, trois danses de Shiva, per esempio, è uno studio su attacco e risonanza negli strumenti a corda. Sono trascrizioni delle improvvisazioni notturne dell’italiano Scelsi: la chitarra è trattata come uno strumento a percussione arrivando a evocare il suono del sitar e della tabla. Scelsi ha una mentalità profondamente legata al sentire del lontano (non poi così tanto) oriente e questo emerge nel suo modo di pensare e scrivere musica. Il suo Ko-tha è una danza che induce alla meditazione come una preghiera. Di Kagel, invece, eseguiremo tre estratti da Exotica in una nostra versione per percussioni e nastro magnetico. All’inizio sembrava un azzardo inserire nel programma qualcosa di Kagel. Ma la sua ricerca del suono puro e l’attenzione per il silenzio sono perfettamente in linea con quel bisogno di autenticità primordiale di cui parlavamo prima. Poi c’è Nagoya Marimbas che Reich ha scritto su commissione del Conservatorio della città di Nagoya. Due marimbe si rincorrono in un gioco di incastri tipicamente occidentale ma che, al tempo stesso, suona come un’eco dal Giappone.
Questa sera verrà eseguito Maknongan di Giacinto Scelsi nella versione per percussioni creata da Ars Ludi. Come avete affrontato la rielaborazione di questo brano?
Originariamente il brano è stato scritto per ‘strumento grave’ quindi non c’è l’indicazione precisa di un organico. Ho sempre sentito il fascino di Maknongan così ho deciso di scriverne una versione per percussionista solo. Ho scelto tutti strumenti intonati: marimba, voce, tamburi. L’idea era quella di creare un unico grande strumento a percussione politimbrico, indispensabile per liberare alcune delle infinite possibilità racchiuse in questo pezzo magico. Poi con l’Ensemble abbiamo deciso di fare una versione per tre percussionisti: voce, due marimbe, vibrafono e tamburi. L’idea di fondo è la stessa: abbiamo cercato di mantenere quel suono denso, profondo che sembra provenire quasi dalle viscere della terra. Non c’è posto per orpelli o distrazioni. Maknongan è un brano dalla forza drammatica spaventosa: è essenziale, autentico, ancestrale.
E cosa mi dice di Elegy, scritto appositamente per Ars Ludi?
Guo Wenjin è il più orientale di tutti gli autori inseriti nel programma. Elegy è propriamente e autenticamente cinese. Tutta la prima parte di questa composizione, per esempio, è scritta per voce soprano che intona melodie popolari cinesi e strumenti tipici della tradizione orientale come i tamburi cinesi, thai gong, tam-tam, e i piatti Xiao-Bo, Nau-Bo e Chuan-Bo. Abbiamo dovuto studiare tecniche completamente nuove per poterli suonare! La seconda parte, invece, è più vicina al mondo occidentale: la voce si fa più lirica e gli strumenti a percussione (marimba, vibrafono e timpani) si muovo con tecniche a noi più familiari.
Come tratta la percussione l’altro ‘orientale’ del programma?
Takemitsu ha avuto una formazione occidentale: era autodidatta, attratto soprattutto dall’impressionismo francese e da Messiaen. In Rain Tree, scritto per due marimbe, tre crotali e vibrafono, tratta le percussioni in un modo che potremmo definire ‘classico’ per noi. La sua grandezza sta nel tirare fuori da strumenti come la marimba o il vibrafono, dei timbri estremamente raffinati e definiti al tempo stesso. Un esempio di questo sta nell’uso dei crotali per descrivere, con precisione e poesia, l’acqua che cade goccia a goccia dalle foglie del grande albero. Dunque: la sua scrittura è tipicamente occidentale dal punto di vista tecnico mentre il suo sentire è profondamente legato all’oriente. È questo l’equilibrio che ci affascina: la possibilità di uno sguardo prospettico che vada ben oltre i confini, rileggendo l’oriente attraverso l’occidente e viceversa.
Silvia D’Anzelmo