Musica come lontananza
di Redazione - 24 Settembre 2020
Intervista a Fabio Perciballi
I Quattro studi sulla lontananza di Fabio Perciballi, musicista e compositore della provincia di Latina sono stati pubblicati da Sinfonica nel 2017. Questi quattro brani affrontano complesse tecniche esecutive chitarristiche come la mano sinistra percussiva e allo stesso tempo uniscono un’alta poeticità e lirismo alla forma dello studio, facendo di queste quattro copmosizioni dei veri e propri brani da concerto.
La genesi della composizione
Gli orizzonti della musica di Fabio Perciballi sono pressoché infiniti; i suoi ascolti e le sue esperienze lo portano a spaziare dalla scena rock psichedelica contemporanea, al jazz fino ad approdare alla musica classica. Nella sua biografia infatti troviamo oltre alla laurea al triennio in chitarra classica al Conservatorio di Latina “Ottorino Respighi”, tour europei con i Sonic Jesus gruppo psych-rock ed esecuzioni di prime mondiali con la Parco della Musica Contemporanea Ensemble di brani come 2×5 di Steve Reich presso “Auditorium Parco della Musica”, Stellazione di Christopher Trapani al Ravenna Festival, It Mooned di Michele Tadini a “La festa di Roma 2019” e Rainbow. Bridge di Marck Grey a “La festa di Roma 2020. I Quattro studi sulla lontananza vengono abbozzati e iniziati a disegnare tra il 2014 e il 2016. È un lungo percorso quello che porta alla composizione vera e propria di questi brani. Il tutto nasce un po’ per caso, per un colpo della sorte, elemento protagonista all’interno delle sue composizioni.
Quando ho cominciato a scrivere questi quattro pezzi li immaginavo per chitarra classica, che in quel momento non praticavo molto. L’idea di pubblicarli e farli suonare da qualcuno era lontanissima da me, mi sarebbe piaciuto ovviamente ma non credevo si riuscisse a creare la circostanza giusta. Poi iniziai ad andare a lezione da Andrea Pace, insieme a lui andai ad una masterclass di Giorgio Mirto se non ricordo male. Una volta lì, presi la chitarra e mentre accordavo cominciai a suonare il primo studio (Le pianéte, ndr). Andrea mi guardò estasiato e mi chiese “Questo che stai suonando è materiale tuo?”, avevo appena accennato quattro battute. Mi fece i suoi complimenti e mi disse subito “questo tipo di musica per chitarra classica non esiste”.
All’ascolto infatti questi studi colpiscono per la loro originalità: forma breve e musicalità tutt’altro che classica. Le influenze confessate da Perciballi infatti fanno tutte parte dell’ambito pop e minimal: Radiohead, Nick Drake, i Sigur-Ros, Steve Reich.
Sono tutti riferimenti che avevo dentro e che ho inserito all’interno di questi studi. Grazie ad Andrea ebbi la spinta di terminare questi brani. È stata una sfida per me, mi sono detto “ci devo riuscire, ce la devo fare”. Poi ho cominciato a scrivere, avevo appena scoperto quest’accordatura aperta particolare e quindi ho iniziato a sviluppare questi pezzi che erano in stato embrionale. Andrea mi suggerì di farli ascoltare a Bruno Giuffredi che cura la collana di Chitarra Contemporanea per Sinfonica: “Non ci sono molti esemplari di questa tipologia di musica a parte Bogdanovic – mi disse Andrea – si potrebbe dare un buon contributo allo studio sulla chitarra”.
Gli studi di Perciballi infatti, nonostante la loro alta musicalità e fruibilità di ascolto, possiedono un alto tasso tecnico. L’ampio uso della mano sinistra percussiva che va ad incastrarsi alla melodia dei brani suonata, insieme alla preparazione progressiva dell’arpeggio della mano destra, ne fanno un vero e proprio banco di prova per i chitarristi professionisti.
I Quattro studi sulla lontananza
Gli studi di Perciballi sono un vero e proprio viaggio nel concetto di lontananza nel tempo. Le pianéte, Firenze in riva al mare, Hybris e Abgesang, sono una peregrinazione vera e propria all’interno dell’uomo, nei suoi ricordi e nella sua storia. Allo stesso tempo quest’aspetto intimo e poetico si fa lirico e condiviso anche per gli ascoltatori, che vengono presi e catturati dalle note suonate da Andrea Pace e Salvatore Fortunato. Gli studi sulla lontananza, testimoniano un continuo dialogo e rimando tra alterità del soggetto compositore. Slanci e ripiegamenti guidano l’ascoltatore in un continuo andirivieni, come le onde del mare, molto presenti all’interno di tutta l’opera, sia come indicazione che come suggestione. Lontananza testimoniata anche dalla scelta dei titoli, ognuno in una lingua differente (il primo in dialetto corese, il secondo in italiano, il terzo in greco e il quarto in tedesco).
Il tema della lontananza me lo ha suggerito direttamente la musica e alla fine ho cercato di dare un nome a ciò che avevo scritto. Nel periodo in cui ho composto questi brani vivevo un momento molto difficile dal punto di vista sentimentale e quindi il concetto di distanza era molto presente in me, ma nel concetto di lontananza c’è anche un po’ la storia della mia vita.
Le pianéte
Le pianéte – nel dialetto di Cori, paese natale di Perciballi -, può essere tradotto con “sorte”, “fato”, che nel brano è identificabile proprio nei colpi percussivi della mano sinistra. Il brano inizia prestissimo, in un atmosfera felice che porta l’ascoltatore in atmosfere fanciullesche, di gioco. La composizione è un viaggio nel tempo e la crescita del soggetto è rappresentata dall’entrata del secondo tema, testimone del passaggio dal suo essere bambino a uomo. In questo passaggio si riscontrano atmosfere cupe, intorbidite dai colpi della sorte evocati dai tocchi percussivi della mano sinistra.
Le pianéte è la storia di un bambino, di me bambino felice che giocava a Cori, tra i ruderi del Tempio d’Ercole. L’approdo finale del brano invece parla di me in prima persona, mentre sto scrivendo il pezzo e mi rendo conto di essere triste, di aver preso coscienza di non essere più quella persona felice e mentalmente libera che ero da fanciullo; mi ritrovo ad essere nella solitudine più totale. La fine della composizione rappresenta me stesso in quel preciso momento, in un periodo scuro e volevo farla finire con un punto interrogativo. Probabilmente oggi finirei questa composizione in maniera diversa perché sono un uomo differente.
Firenze in riva al mare
Firenze in riva al mare è il primo brano dei quattro studi con l’accordatura aperta scoperta proprio da Perciballi (F, G#, D#, G, A#, C). Il brano ha una struttura ben precisa, con delle parti che si ripetono proprio come un brano pop. Struttura che il compositore confessa di prendere a modello, proprio per la sua forma breve, più adeguata a un ascolto moderno e che potrebbe aiutare uno strumento come la chitarra classica a conquistare le scene della musica classica contemporanea.
Io amo la forma piccola, mi piace particolarmente perché in essa è racchiudibile un pensiero immediato. Ad oggi, molti compositori, soprattutto chitarristi hanno fame di repertorio. La chitarra è uno strumento pieno di possibilità e purtroppo noi chitarristi classici per quanto riguarda il repertorio siamo rimasti un po’ fermi alla scuola segoviana. Il mondo della chitarra classica secondo me dovrebbe compiere un salto, aumentando la coscienza del chitarrista. Per fare questo devono passare ancora molti anni, il nostro è uno strumento giovane, rispetto al violino o al pianoforte ad esempio, che hanno molta più storia alle proprie spalle.
Il mare elemento molto caro a Perciballi, nella composizione è unito al ricordo di Firenze, una città che ha dato molto al compositore in termini di esperienze; a portare l’elemento marino nella città toscana sembra essere proprio l’uomo protagonista di questa composizione. Il mare evocato nell’introduzione grazie dal movimento ondivago del materiale musicale è immaginato anche nell’indicazione dinamica, sempre fluido e scorrevole. Questo movimento musicale, continuando nella composizione sembra essere inglobato all’interno del pensiero dell’uomo protagonista del brano e da lui modificato. Un’alterità umana sembra sempre affacciarsi all’interno del brano fin dal principio, testimoniata dai colpi percussivi della mano sinistra.
Hybris
Hybris è l’unico brano dei 4 studi scritto in un momento successivo. Qui il compositore ispirato dal mito di Pan e Apollo, provoca l’esecutore in una sorta di sfida tecnico-esecutiva attraverso l’impiego in partitura della mano sinistra percussiva e della preparazione progressiva della mano destra; inoltre il tema principale di Hybris contiene in sé un impulso ritmico piuttosto che melodico e grazie ai numerosi incastri poliritmici presenti all’interno della composizione e ai cambiamenti di accentazione, la musica sembra avvolgersi continuamente su se stessa, con il tema che non sembra trovare mai un posto sicuro dove posarsi e dirsi arrivato. Questo eterno ripiegarsi a spirale su se stesso cattura enormemente l’ascoltatore che avvinto dalle note del brano, rimane spiazzato dal finale improvviso.
Hybris non è stato composto insieme agli altri, è successivo. Le altre tre composizioni potevano tranquillamente far parte di una sonata, invece questo brano rappresenta proprio lo studio per eccellenza. Se vuoi imparare delle tecniche nuove allora puoi studiare Hybris. È la mia rivisitazione del mito di Pan e Apollo; nella seconda parte la partitura è scritta in due sezioni: terrena e apollinea. La prima è la parte ritmica, viscerale della mano sinistra, attacata alla terra, mentre la parte della mano destra sta nel cielo, è più eterea. È presente un incastro continuo, un’eterna lotta, di cui alla fine non si conosce il vincitore.
Abgesang
Abgesang è la conclusione degli studi ma anche il brano che contiene il tema che dà il nome a tutta la raccolta, quello della lontananza. Questa composizione condivide l’accordatura aperta con Firenze in riva al mare facendole apparire come due parti di un’unica sonata. Anche in questa composizione l’elemento del mare torna a essere presente fin dalle prime battute, quando nella dinamica si suggerisce all’esecutore di suonare rubato come le onde del mare. Le forcine contrapposte aumentano l’effetto di onda già evocato dal materiale musicale. Abgesang, come nelle partiture di Bach di cui Perciballi è un grande ascoltatore, è un addio sommesso, un commiato a una musica che si fa lontananza da se stessa e che si palesa all’ascoltatore negli armonici ricercati continuamente sulla tastiera della chitarra. Non è un caso se l’ultima battuta della composizione sia composta da armonici, l’essenza, l’emblema di un suono-non-suonato, di una musica che si guarda dall’esterno, da lontano appunto.
Nell’accordo finale di Abgesang è concentrata tutta l’essenza del brano, tutto il suo dramma, la sua malinconia. Abgesang l’ho concepito come se fossi seduto sulla battigia a guardare le onde del mare e questo in partitura si nota. Il brano termina con la didascalia abbandonandosi a largo, come se in quei tre minuti fossero concentrati dei frame di un film, in cui un uomo piano piano estende il proprio sguardo verso l’orizzonte, a largo, prendendo coscienza di una grande perdita.
Sulla chitarra contemporanea
Fabio Perciballi è un musicista immerso all’interno della contemporaneità e durante l’intervista fornisce il proprio sguardo lucido, la propria analisi sulla situazione della chitarra contemporanea, e lancia quasi un appello affinché si componga molto di più per questo strumento, ricco di possibilità e forse rimasto un po’ indietro nel repertorio rispetto ad altri strumenti.
Il problema di oggi è forse anche un po’ nella didattica, perché storicamente c’è molta tradizione nella chitarra classica, basti pensare a chitarristi come Carulli, Giuliani, Sor e così via. Con loro, il repertorio per chitarra era notevolmente aumentato, poi con il romanticismo c’è stata una discesa, perché pianoforte e grande orchestra l’hanno fatta da padroni. Alla fine di quel periodo la chitarra stava riprendendo piede, ma poi è arrivato Segovia, che ha monopolizzato tutto; noi siamo un po’ figli di quel mondo. Ad oggi secondo me, il chitarrista non può prescindere dal mondo contemporaneo, non può conoscere solo il mondo della chitarra classica. Proprio per questo motivo in questi studi c’è tutto eccetto il mondo della chitarra classica. Non mi permetterei mai di dire “ora scrivo una sonata alla maniera dell’800” anche perché risulterebbe fuori contesto, ad oggi, secondo me, non avrebbe senso. L’invito a tutti i chitarristi, me compreso, è di mischiarsi con la contemporaneità, da sempre vista con un’accezione negativa, con un pregiudizio insensato per la sua presunta incomprensibilità e complessità.
Un’idea chiara dunque quella di Fabio Perciballi sulla musica contemporanea e sull’orientamento che dovrebbe prendere. Un maggiore repertorio per chitarra che si immerga e si faccia cambiare dalla contemporaneità del mondo di oggi, con nuove composizioni, che guardino avanti pur mantenendo la tradizione della storia della chitarra.
È proprio ciò che il compositore cerca di fare con questi suoi Quattro studi sulla lontananza, prova a raccontare la contemporaneità dell’uomo, il suo essere completamente dentro questo presente e allo stesso tempo distante dai ritmi forsennati della società contemporanea. Un uomo assorto nei ricordi, che ricorda il tempo felice da bambino, che si perde guardando le onde del mare, interiorizzandole, facendole proprie e sul suono di fondo immagina mondi differenti evocati dagli armonici ma che vengono abbattuti dai colpi della sorte sulla tastiera della chitarra. Un mondo in cui si è immersi ma da cui ci si prova ad emancipare grazie all’ausilio della tecnica, della velocità che alla fine avvolgendosi su se stessa ci fa ricadere a terra, come in un peccato di hybris. Un mondo infine, a cui dire sommessamente addio nell’illusione di un suono-non-suonato, un mondo di cui facciamo parte ma che guardiamo dall’esterno per renderci conto effettivamente della nostra solitudine, del nostro essere persi in questo grande, infinito mare che è l’universo.
Luca Cianfoni