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Education: chi forma i formatori?

di Alessandro Tommasi - 11 Novembre 2019

Intervista a Paola Carruba

In partenza il 14 dicembre il primo Master in Music Education presso l’Università Link Campus University di Roma, il cui scopo è di formare i responsabili dei progetti education (sia didattici che divulgativi) di Teatri, Fondazioni, Orchestre e istituzioni culturali italiane. Il progetto è dedicato in particolar modo a studenti di Conservatorio e Lettere a indirizzo musicologico, come possibile sbocco lavorativo per chi senta nella formazione e nella divulgazione la propria vocazione. Ce ne parla Paola Carruba, direttrice artistica del Master.

Cominciamo dalle basi, direi: cos’è il Master in Music Education?

Il Master in Music Education è un’iniziativa volta a creare dei giovani professionisti con una vocazione per la formazione dei nuovi pubblici e per l’avvicinamento alle performing arts non tramite la pratica musicale, ma con l’educazione all’ascolto. Se vuoi è anche un modo per dare dignità ad una professione che non è ancora stata messa ben a fuoco. Ci sono tantissime iniziative in giro, alcune storicamente più rilevanti, altre più giovani e fresche, ma c’è ancora un vuoto nella professionalizzazione dell’esperto di education musicale. E noi cerchiamo di colmare questo vuoto.

Perché credi che ci sia stato questo vuoto? Nei teatri le attività education ci sono da anni e sono ormai sempre più centrali nella programmazione!

Credo che il mondo musicale paghi un po’ un certo snobismo. Per molti anni le istituzioni musicali, accessibili a prevalentemente a persone di un certo livello culturale e con tutta una liturgia alle volte complessa da digerire per un neofita, si sono dimostrate abbastanza respingenti a queste iniziative. Tutto questo avrebbe funzionato comunque se, parallelamente, ci fosse stata la scuola come veicolo di promozione. Invece la sfortunata combinazione di approccio un po’ snobistico e assenza della scuola ha fatto sì che si creasse una divaricazione con il pubblico. Diminuendo il pubblico, questa esigenza si è infine palesata: visto che le persone in sala sono sempre meno, ohibò!, armiamoci e cerchiamo di capire come attirarle. Così si sono avviate molte delle prime attività education, spesso considerate con l’approccio snobistico di cui sopra, che erano un po’ dei sottoprodotti delle stagioni principali. Ciò cui assistiamo oggi è ancora l’effetto di quel paradosso.

Come ritieni, nella tua esperienza, che si dovrebbe procedere in quest’opera di educazione?

Intanto penso sia un dovere porsi il problema. Ho avuto il piacere di essere stata Sovrintendente di un’orchestra di servizio pubblico, quella della Rai, ma parlando con colleghi Sovrintendenti, questi mi facevano notare che tutte le Fondazioni lirico sinfoniche sono di servizio pubblico. Sul come procedere, secondo la mia esperienza e il mio percorso professionale, credo ci si debba strutturare su dei pilastri di conoscenza irrinunciabili. Il primo pilastro è la conoscenza profonda del contenuto: per poter avvicinare qualcuno ad un contenuto, lo devi padroneggiare con tutta la destrezza possibile. Il secondo pilastro è la competenza manageriale, che nel mondo dell’arte in generale non è che sia mai stata presidiata con grande attenzione! E dunque gestione, budgeting, reporting, marketing e comunicazione. Il terzo pilastro è quello della pedagogia, con stili cognitivi, tipi psicologici, principi pedagogici, insomma qual è il modo migliore di porgere un contenuto ad un interlocutore con determinate caratteristiche, sia individuali che collettive, perché lui possa acquisirlo al meglio. E questo è il differenziale qualitativo di un’attività education, che ha appunto come obbiettivo educare all’ascolto e dunque deve mettersi nella condizione di ascoltare a sua volta il proprio interlocutore.

Sono tre aree ampie e vaste: come si propone il master di riuscire a coprirle tutte?

L’approccio sarà assolutamente sartoriale: avremo di fronte un gruppo tra i 10 e i 15 studenti e sulla base delle loro competenze d’ingresso andremo a modulare le tre aree di formazione nel modo più adeguato. Detta più semplicemente, eviteremo di tartassare con storia della musica e dei repertori i ragazzi che vengono dai Conservatori e da musicologia, per esempio! E cercheremo di strutturare i percorsi di apprendimento il più possibile finalizzati all’obiettivo finale. L’obiettivo finale è l’operatività, quindi essere messi in condizione di fare dei progetti, di realizzarli, di respirare l’area del palcoscenico e degli uffici education delle varie istituzioni, insomma entrare con un approccio il più possibile on the job nel vivo di questa professione. Che mi piace pensare proprio come tale: una professione.

Già che si parla di professione, permettimi una piccola provocazione: cosa rende questo master diverso dalle altra migliaia di master? Giusto per scongiurare il rischio di ritrovarsi con l’ennesimo titolo, ma senza nessun concreto sbocco lavorativo!

Eh, hai ragione! Guarda, alla fine si torna sempre all’elemento centrale, l’ascolto. Nel momento in cui parte un’iniziativa qualsiasi, siamo spesso narcisisticamente centrati a strutturare ciò che ci sembra più bello. Io qui ho cercato di seguire un processo top down (non è sempre stato così, l’ho scoperto strada facendo) e sono partito dall’ascolto delle esigenze dei colleghi che si muovono in questo mondo da prima di me. E quindi Fondazioni lirico sinfoniche con più o meno successo nelle loro attività, operatori del settore che devono comperare professionalità del genere all’estero e così via. Entrare in risonanza con il proprio mercato di riferimento forse è il modo migliore per strutturare delle iniziative che non siano le ennesime cattedrali nel deserto che ci divertono così tanto, ma che diventino una reale opportunità di lavoro in un ambito che notoriamente ha difficoltà a trovare collocazioni professionali. Siamo bombardati tutti i giorni da ricerche che affermano che solo le professioni scientifiche hanno possibilità di trovare lavoro.

E anche lì è complesso: tutto ciò che non ha un valore direttamente commerciale soffre!

Sì, però io che abito il mondo manageriale da una vita apro una qualunque rivista, seguo una qualunque trasmissione sul mercato del lavoro e mi sento ripetere che «sono milioni i ragazzi in Italia che studiano arte, filosofia o musica, ma non troveranno mai lavoro, mentre se studiassero professioni scientifiche sarebbe più facile». Probabilmente, ma qui mi inoltro un po’ in una questione velleitaria, il fatto di iniziare a strutturare dei percorsi che abbiano come primo atteggiamento l’ascolto del proprio piccolo mercato di riferimento, può essere un vero aspetto che ci distingue.

Arriviamo ora alla domanda più ampia tra quelle che ti ho posto. Stiamo parlando di educazione all’ascolto, di formare dei professionisti che si occupino di progettare dei laboratori i quali, come anche tu sostieni, non si rivolgono solo ai bambini, ma consistono in tutte le iniziative di divulgazione che le istituzioni mettono in campo. La mia domanda è: c’è questa esigenza di educazione all’ascolto? Parlo dell’altro lato, non soltanto nostro che la organizziamo!

È una domanda complessa in effetti, perché rispetto alle diverse età delle persone cui ci si riferisce, le differenze sono enormi. Se partiamo con i bambini molto piccoli, questi non sono portatori di un’esigenza, ma si fa affidamento sulle famiglie, il cui approccio è quello di dare più strumenti possibile ai propri figli. Viviamo in una società che sottopone i bimbi a grandi quantità di stimoli e non ci si fa mancare di certo quello della musica colta, che comunque conserva ancora questa allure di formazione “per bene”. Poi c’è il discorso degli anziani: per loro l’esigenza è enorme, perché la musica, i teatri e le performing arts possono risolvere varie problematiche importantissime, quali l’isolamento e la povertà culturale. Gli spettacoli sono momenti in cui le persone si possono incontrare, i teatri luoghi in cui si possono costruire rapporti. Passando invece agli adulti, l’esigenza lì è quella di arricchire il bouquet di attività che ci mantengono pieni di stimoli. Insomma, in ognuna delle età che io immagino essere il focus dell’attenzione educational, c’è un’esigenza di educazione all’ascolto e una ricettività enorme. A condizione che si solleciti nella maniera più rispettosa dei codici del proprio interlocutore. Quando ero all’Orchestra Rai, sostenevo che l’education dovesse presidiare alcuni valori. Il primo è che deve avere una qualità altissima. Guai a pensare le attività educational come produzioni di serie B. Poi deve avere un approccio complesso, non si può risolvere l’education con gli eventi spot, bisogna costruirlo in maniera articolata, con dei percorsi che accompagnino le persone e le introducano in un contesto, in un territorio nuovo. Il terzo valore è il rispetto dei codici dell’interlocutore. Non c’è niente di più sbagliato che parlare ad un bambino come si dovrebbe fare con un adolescente o con un adulto. Certo, in tutto questo roseo scenario rimane la difficoltà più grande, gli adolescenti, con cui la partita è più complessa. E su cui, con onestà, recepisco la tua punzecchiata: effettivamente lì non dobbiamo rispondere ad una domanda, dobbiamo proprio crearla!

Il quadro di questo Master e del suo contesto mi sembra ora piuttosto completo. Giusto alcune informazioni pratiche, per finire: entro quando ci si può iscrivere? E quali sono i profili ideali dei partecipanti?

Il Master avrà una partenza formale il 14 dicembre, mentre la didattica vera e propria inizierà a gennaio. Quindi il 14 dicembre 2019 è la deadline per poter accedere al percorso, anche per partecipare alle numerose borse di studio che sono messe a disposizione. E sulla tipologia di studenti, abbiamo profili molto variegati. Sicuramente il master si rivolge agli studenti di conservatorio e musicologia, ma mi aspetto di incontrare anche studenti di economia e giurisprudenza che hanno studiato musica per poi abbandonarla, ma gli è rimasto l’amore. Così come studenti di psicologia e scienze della formazione con questa vocazione. Ecco, forse l’unica caratteristica che devono davvero avere tutti questi ragazzi è amare le performing arts!

Alessandro Tommasi

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Alessandro Tommasi

Autore

Viaggiatore, organizzatore, giornalista e Pokémon Master, studia pianoforte a Bolzano, Padova e Roma e management culturale alla Rome Business School e alla Fondazione Fitzcarraldo. È Head of Artistic Administration della Gustav Mahler Jugendorchester e direttore artistico del Festival Cristofori e di Barco Teatro.

Nel 2021 è stato Host degli Chopin Talk al Concorso Chopin di Varsavia.

Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro, dedicato all'opera pianistica di Alfredo Casella.

Dal 2019 è membro dell'Associazione Nazionale Critici Musicali.

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