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Mario Brunello, la ricerca di una dimensione naturale del suono

di Matteo Camogliano - 10 Aprile 2019

con il Coro del Friuli Venezia Giulia per l’Accademia Filarmonica Romana

Mario Brunello è uno dei migliori violoncellisti italiani della sua generazione, ad oggi ancora l’unico musicista italiano ad aver vinto il prestigioso concorso Tchaikowsky di Mosca.
Quanto è stata importante per la sua carriera quella vittoria?
Brunello: Carriera è una parola che non sento davvero mia come musicista. Credo che per chi è davvero tale sia più giusto parlare di una vita musicale e che questa abbia determinate tappe. Certamente la vittoria del Concorso è stata una di queste e mi ha aperto importanti strade nel mondo della musica, ma penso ci siano stati altri passi altrettanto importanti nel mio cammino, momenti che fanno parte appunto del percorso che si affronta facendo questa scelta di vita.

Di questo percorso fanno parte anche gli aspetti della musica da camera e della direzione d’orchestra, che ruolo gioca ciascuno di questi?
A seconda delle esigenze e delle curiosità musicali, oltre che alle singole occasioni, è naturale per me spaziare tra questi tre aspetti, compresa l’attività solistica. Essi si completano e sono su uno stesso livello, non c’è una maggiore importanza di uno sugli altri, né mi sento di vederli come ambiti davvero distinti, piuttosto come facce diverse di uno stesso prisma che è il fare e vivere la musica. La musica da camera direi che è obbligatoriamente indispensabile per un musicista; l’attività di direttore d’orchestra è un passo successivo che per quanto mi riguarda è iniziato quando è nata l’Orchestra d’Archi Italiana.

Il grande musicologo e alpinista Massimo Mila definiva la musica e la montagna «I due fili della mia esistenza». Lei è riuscito ad unire le due cose diventando direttore artistico del fortunato Festival I Suoni delle Dolomiti che si svolge ogni estate nel suo Trentino, dove ha già suonato ad alta quota anche all’alba. Si riconosce in questa citazione?
Come è noto frequento la montagna da quando sono piccolo, e già allora suonavo, o meglio studiavo, il violoncello sotto il portico della mia casetta in montagna oppure in mezzo ai prati. Ancora oggi le montagne fanno parte del mio paesaggio quotidiano e continuo a frequentarle camminando, per cui è stato naturale unire le due cose e da un piccolo progetto iniziale è poi nato questo straordinario festival. L’aspetto che continuo a trovare più bello è quello della commistione tra arte e natura. In particolare poi dal punto di vista musicale della ricerca del proprio suono in una simile dimensione, in modo che riempia uno spazio così ampio come quello di un contesto d’alta montagna, sotto le cime.

Tra il repertorio che più esegue c’è sicuramente la musica barocca ed in particolare Bach, non solo quello delle sei Suite per violoncello, ma anche un più inusuale repertorio violinistico adattato al violoncello piccolo. Si sente particolarmente legato a questo genere di musica nello specifico?
Non penso di essere particolarmente legato alla musica barocca più di quanto possa esserlo a quella romantica o che dir si voglia, non è una mera questione di gusto musicale o di preferenze, quanto piuttosto un sentimento che quasi mi obbliga, come musicista, a voler conoscere a fondo questo repertorio, che è davvero una miniera d’oro le cui vene hanno ancora molto da dare, cercando di scoprire e riportare alla luce anche musica nuova, o in una luce nuova.

Da Bach parte anche il concerto di stasera. In particolare, oltre al mottetto Singet dem Herrn BWV 225 per coro, eseguirete un inedito adattamento della Ciaccona dalla Partita n. 2 in re minore BWV 1004, originariamente per violino, su cui si innestano le voci con il testo del corale Christ Lag in Todes Banden BWV 4. Da cosa nasce quest’idea?
Più che un’idea è una nuova interpretazione, che si basa sullo studio di una musicologa tedesca, la quale ha dimostrato in un trattato come la Ciaccona in questione fosse una sorta di epitaffio composto da Johann Sebastian Bach in ricordo della defunta prima moglie, Maria Barbara, e come contenga per l’appunto al suo interno diverse citazioni dirette dai propri Corali. Per cui la sovrapposizione risulta molto efficace ed anche giustificata filologicamente.

Il concerto prevede un programma sicuramente poco eseguito e noto al pubblico. Come lo presenterebbe?
Suonare con questo organico, coro e violoncello, implica una ricerca nel repertorio, che ovviamente non è abbondante e quindi anche un ricorrere spesso ad adattamenti, ma tuttavia rimane estremamente interessante. Il Coro del Friuli Venezia Giulia è un ensemble rodato e affidabile, abituato anche a sperimentare e cercare sonorità nuove, cosa che amo fare per restare sempre curioso, per cui è stato un vero piacere quest’esperienza di collaborazione.

Nel programma anche una nuova composizione, Flows di Valter Sivilotti (che per l’occasione ha arrangiato anche altri brani in scaletta) per coro, violoncello e percussioni. Cosa può anticiparci?
Sivilotti è un artista poliedrico che frequenta diversi ambienti e generi musicali, per cui Flows, che come dice il nome indica un flusso, un continuo movimento, è una riuscita ed interessante sovrapposizione di linguaggi, insieme di elementi musicali e ritmici, secondo la propria visione artistica dell’autore, nell’intento anche di rappresentare gli aspetti e le problematiche di un tema caldo come l’integrazione.

Come vede la situazione attuale del panorama musicale in Italia in modo particolare per i giovani musicisti che vi si affacciano?
A mio parere ormai il punto di riferimento per i giovani in campo musicale non è più l’Italia, a parte alcune eccellenze che fanno eccezione, ma l’Europa in generale, da vedersi come un unico grande paese, in cui spesso studiare a migliaia di chilometri di distanza è meno dispendioso che farlo dietro casa e in genere il livello e le opportunità di apprendimento sono anche più alti. Ben vengano dunque questo tipo di esperienze per i giovani, che comunque devono essere bravi e fortunati a coglierle, perché non tutte le istituzioni sanno offrire le stesse occasioni davvero interessanti ed utili da questo punto di vista.

C’è un modo per invertire questa tendenza all’esodo?
Amare la musica il più possibile.

Matteo Camogliano

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Studio Violoncello al Conservatorio, Lettere all'Università. Musicalmente eclettico, innamorato di Gustav Mahler e LVB. Ascolto per imparare ed emozionarmi, scrivo per trasmettere ciò che penso. Suono per cercare di raggiungere la sintesi di tutto ciò. Vincitore di "Scrivere di musica dal vivo" - Premio per la giovane critica musicale - Lingotto Musica 18/19.

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