Ritratto dell’Artista da Giovane – Gian Marco Ciampa
di Filippo Simonelli - 6 Giugno 2017
Chi dice che la musica classica è una cosa da vecchi?Questo, più o meno, era il titolo di un incontro che la mia università ha ospitato un paio di anni fa in occasione di un’edizione del programma internazionale TEDx. Trattandosi di una università devota esclusivamente alle scienze sociali, la cosa era quanto meno sorprendente, ma al tempo stesso incoraggiante per un musicofilo in erba come il sottoscritto.
Spinto dalla curiosità, nonostante non avessi compilato il form apposito per partecipare all’evento, sono riuscito ad entrare all’evento. A quel punto, trovarsi davanti un ragazzo più o meno della mia età (avrei detto anche più giovane, vista la vistosa differenza tra il suo viso pulito e la mia barbona cespugliosa) che si muoveva con disinvoltura sul manico di una splendida chitarra di liuteria è stata una sorpresa ancora più grande.
Sorpresa che poi, due anni dopo, si sarebbe trasformata in una gioia tranquilla, una volta aver finito di registrare la sua intervista.
Qual è la vita quotidiana di un musicista professionista, a 26 anni?
La mia vita non ha più una routine: ogni mese, ogni settimana e ogni giorno vanno in maniera diversa. Certo, in media ho scadenze fisse, come l’insegnamento nelle scuole o in conservatorio, ma insomma. Può capitare di partire per concerti, concorsi, e allora addio routine. Mi piacerebbe svegliarmi e poter studiare ore ed ore tutti i giorni, ma gli impegni spesso non sempre lo permettono e quindi bisogna cercare di sfruttare al meglio i momenti che si hanno liberi!
Qual è la prima cosa che ti viene in mente appena hai in mano una chitarra?
Ah beh non lo so, i primi minuti cosa faccio?
Non proprio: mettiamo una situazione tipo in cui ti trovi di fronte a cinque sei persone che ti chiedono “facci vedere cosa sai fare”. Tu…
Di solito, appena prendo una chitarra improvviso. Insomma, si tratta di una specie di riscaldamento; in questo mi aiuta molto a mettere in movimento le mani e a fare quello che mi passa per la testa , mi diverto.
In realtà ho anche sofferto di tendinite per qualche tempo, anni fa, e questa esperienza mi ha insegnato anche a valutare un po’ di preparazione fisica: stretching, esercizi, come se dovessi andare in palestra.
Parlando di improvvisazione, sarebbe interessante vedere come uno stile del genere, non strettamente classico, influenzi il tuo modo di suonare. Quanto e cosa prendi dagli altri generi musicali nel tuo approccio alla chitarra?
Beh (ride), non è un segreto che io abbia suonato per anni la chitarra elettrica. Anzi, per me è un di più aver suonato un altro strumento. Perché si, la chitarra elettrica è un altro strumento. E questo mi ha dato moltissimo, sotto tanti punti di vista. Mi ha sempre tenuto molti orizzonti aperti: suonare molti generi, fin da quando sei ragazzino, aiuta a non porsi mai limiti. Questo mi ha aiutato per esempio nell’affrontare la musica contemporanea, che da molti è considerata estrema. Per me è sempre stato solo un altro genere possibile.
E poi tantissime tecniche che io oggi ho acquisito con facilità le devo alla chitarra elettrica. Ci sono brani, soprattutto moderni e contemporanei, che usano tecniche della chitarra elettrica, imitano il movimento del plettro o il tapping, per dire, ma anche legature peculiari, scale atipiche ed altre cose simili. Ma anche riportandolo in brani come Brouwer, musicista tutt’altro che estremo.
A proposito di chitarra elettrica: Fender o Les Paul?
Avevo la fender, ma ho sempre voluto la Les Paul. (ride, di gusto) Anche se poi crescendo ho rivalutato soprattutto la Telecaster, passando anche per le Paul Reed Smith.
Tornando un attimo ai nostri affari, parliamo di un altro problema tecnologico: come ti poni di fronte ai microfoni? Sono un di più per il chitarrista moderno o ammazzano in qualche modo il suono?
Beh, è una marcia in più in effetti. Adesso abbiamo microfonazioni e amplificazioni di un certo livello che permettono effettivamente di restituire una qualità del suono molto fedele. Certo, è da dire che comunque il suono della chitarra è ancora oggi irraggiungibile. Alcuni posti sono talmente grandi che non lasciano alternative, e una sapiente scelta del microfono è fondamentale.
C’è stato un momento in cui hai scelto di diventare un musicista, e in particolare un musicista classico e non “elettrico”?
In realtà non l’ho mai scelto: è sempre stata una cosa sottintesa per me. Non c’è mai stato il momento in cui ho preso consapevolezza di questa cosa, perché già quando ero molto piccolo sapevo già che avrei fatto questo. Ovvio che poi quando esci dal liceo ti trovi di fronte al mondo, esci dal tuo ambiente protetto e hai un momento in cui ho fatto la scelta vera e propria. Mi butto, faccio altro o faccio due cose assieme? Ovviamente non ho mai avuto il minimo dubbio.
Non si è mai trattato di una scelta, direi quasi una vocazione. Inspiegabile, ma insieme naturale.
Poi ovvio che, per quel che riguarda l’alternativa tra classica ed elettrica, da bambino e adolescente propendevo molto di più per la musica rock, ma poi nella classica ho trovato il mio vero ambito d’elezione. Questo non toglie che io, ancora oggi, continui ad ascoltare moltissima musica leggera. Non ho rinnegato nulla, anzi!
Parlando di repertorio: hai ventisette anni, eppure hai già spaziato in una vastissima area della musica colta: qual è il compositore con cui ti sei trovato più a tuo agio?
Se dovessi dirti una musica che mi sento nelle dita, è la musica del ‘900. Dal 900 in poi mi sembra tutto più prossimo a me, sono cose più adatte a me, e le suono in maniera più naturale. Ogni musicista, secondo me, ha naturalmente un determinato feeling con un genere di musica: ma abbiamo dentro, anche solo per gusto, una musica perfetta. Nella musica del ‘900, sia in fase di studio che di esecuzione che di comprensione, mi sento a più agio in tutte le dimensioni. Poi certo, questo dipende anche di più dal modo di suonare più libero che ho, e che ho acquisito anche dal mio modo di suonare precedente. Magari anche il fatto che spesso la musica più prossima a noi in termini di tempo è anche una che ha meno interpretazioni e quindi una minor concorrenza. Non necessariamente: e poi penso che sarebbe un modo riduttivo di valutare la cosa. La personalità che metto in ciascun brano è indipendente dal fatto che io possa avere nelle orecchie altre esecuzioni, celebri o non. Io cerco di metterci tutto me stesso, in quello che suono.
Hai mai suonato qualcosa che è stato scritto per te? O comunque in genere che rapporto hai con i compositori a te contemporanei?
Devo dire che in effetti non ho ancora nessuna esperienza in questo senso, ma c’è un giovane compositore, un grandissimo compositore, peraltro, Simone Cardini, che di sua spontanea volontà ha deciso di scrivere un pezzo per me. Ma è ancora in corso d’opera, quindi non so ancora che forma avrà. Poi certo, lui è un compositore che io ammiro, mi piace la sua musica, e sono felicissimo di interpretare la sua musica. Ho invece suonato opere di compositori viventi, come Maurizio Pisati, con cui ho potuto anche parlare, avere un confronto, o anche Fausto Orazi, con cui ho da poco suonato un brano. Se suoni una composizione di un musicista con cui puoi parlare, ti ci puoi scrivere, aiuta.
Io suono spesso un brano di Artur Kampela, che per la verità non è molto interpretato, La Danza Percussiva, per cui sono anche riuscito a girare un video tempo fa con la Go Pro, che è arrivato fino a Classic FM. Io non conoscevo Kampela, studiai il suo brano perché me lo aveva proposto il mio maestro Tallini. Poi è successo anni dopo, che io stessi facendo un concerto a New York in cui interpretavo questo brano, in cui c’era lui tra il pubblico! E da quel giorno con lui ho stretto un rapporto personale, che mi ha aiutato a rafforzare la convinzione per cui quando suoni un brano di un compositore contemporaneo è quasi un dovere, un obbligo, confrontarti con l’autore, per capire la loro visione.
Anzi, credo che sia il caso che questa attitudine venga ripresa un po’, ho come l’impressione che si fosse un po’ persa, e che invece era una necessità per Segovia. Per noi quella sua scelta è stata di importanza fondamentale: e non solo per come intendiamo il Segovia virtuoso, ma anche per l’attenzione che ha catalizzato attorno allo strumento. Non a caso oggi si parla di compositori segoviani, quei musicisti che hanno dato lustro al nostro strumento che fino a prima del ‘900 era molto meno considerato.
Ma un Gian Marco Ciampa compositore, in futuro, è possibile?
Guarda, rimanendo nell’ambito della musica leggera ho scritto e tanto, ma quella non è composizione. Io mi rendo conto che invece per fare quello occorrono altre competenze, competenze alte, che io come musicista ed interprete non posso coltivare a pieno. Si tratta di un lavoro a sé. Io per ora voglio fare il chitarrista, non il compositore. Poi magari se ci vorrò dedicare del tempo non chiudo la porta, ma per il momento il concertista è già sufficiente.
Però l’improvvisazione non ti porta già più verso quella sponda?
Beh si, l’improvvisazione è parte dell’ambito della composizione, e a me piace, sotto tutti i punti di vista. Non solo improvvisare blues, anche improvvisazioni “colte”. Ma da lì a fare il compositore ce ne passa.
Se dovessi scegliere un interprete modello, uno del presente e uno del passato?
Beh, se andassimo a scavare nel passato Segovia resta comunque la figura che ha lasciato più il segno in tutte le generazioni successive, a prescindere dai discorsi che si possono fare sull’essere d’accordo o non sul modo in cui suonava e interpretava la sua musica. Credo che la sua personalità, quel carisma e quella tenacia che gli hanno permesso di suonare fino a 91 anni lo rendono un riferimento artistico e spirituale per tutti quelli che affrontano questo strumento. Tra i contemporanei è più difficile: siamo in una fase in cui la chitarra sta cambiando tantissimo, sta crescendo tantissimo e c’è quindi un periodo di assestamento. Credo che attualmente Judicael Perroy sia tra i migliori al mondo, almeno per me.
Soprattutto credo sia il miglior rappresentante dell’evoluzione della chitarra, sia a livello interpretativo che di repertorio. Ha un modo diverso di suonare e di pensare la chitarra. Ho avuto modo di suonare e studiare con lui in passato, e devo dire che attualmente è lui il mio punto di riferimento.
Attualmente la chitarra sta avendo molta più visibilità rispetto al passato, non è più considerata uno strumento di serie B: il livello degli strumentisti si è alzato, e questo porta ad una maggiore scelta nel repertorio, stimolando le persone a suonare e studiare. Poi certo, la chitarra rimane uno strumento di nicchia: se guardiamo alle stagioni delle grandi istituzioni musicali. Lo spazio lasciato alla chitarra è fortemente ridotto rispetto agli strumenti più consolidati.
Come ci si trova a suonare all’estero rispetto all’Italia?
“Suonare in altri paesi rispetto all’Italia è radicalmente diverso: ogni pubblico è una storia a sé. Certo, bisogna poi fare i distinguo riguardo al tipo di evento in cui suona. Il pubblico che fino ad ora mi ha più sorpreso è quello australiano: sono assolutamente i più educati. C’è sia rispetto che entusiasmo al tempo stesso. Anche i cinesi sono assolutamente sorprendenti: ovviamente vista la loro educazione molto rigida sono anche loro estremamente educati e silenziosi, ma la vera differenza sta nei bambini: ho fatto molti concerti in Cina dove i bambini erano quasi la maggioranza, eppure la sala rimaneva silenziosissima. In Europa, o ancora più in Italia, questo non succede. Certo, ovviamente rimane un fattore culturale ed extramusicale, però fa riflettere.”
Secondo te, che in fondo sei uno che ce l’ha fatta…
Beh oddio, è tutto da vedere se ce l’ho fatta…
Quantomeno sei sulla buona strada, diciamo “Beh si!” [Ride] Ecco, se dovessi dare un consiglio ad un aspirante musicista? In Italia o altrove?
Io quando mi trovo a dare consigli sulla carriera a qualsiasi amico o ragazzo lo indirizzo sempre verso la strada che io ho preso. Occorrono spirito di sacrificio e abnegazione, ma qualsiasi sforzo viene sempre e comunque ripagato, il posto non fa differenza.
Poi certo, bisogna creare un ambiente favorevole per chi fa musica. Per questo sono molto interessato alle iniziative di educazione e diffusione. Al mondo di oggi, in cui le informazioni circolano molto più facilmente, mi sembra paradossale ma è molto più difficile avvicinarsi al mondo della musica classica. Questo perché ovviamente la musica classica non è mai mainstream, non finisce mai nelle tendenze di youTube, per dire. Ed è per questo che bisogna applicarsi per diffondere la musica classica tra i più giovani.”
“La tecnologia è un mezzo come tanti altri per creare cose: sono un musicista classico che ama molto usare la tecnologia, spaziando dai social network alla go-pro, fino alle nuove tecniche di diffusione e di registrazione. C’è tutto un mondo in cui mi piace esplorare, e tendenzialmente non sono d’accordo con chi ha una visione negativa della tecnologia applicata alla musica. Credo che questo ci porti ovviamente ad una maggiore vicinanza con il pubblico, diffondendo un nuovo repertorio nel caso della chitarra classica anche grazie a strumenti che non sono stati pensati per questo, come per esempio le dirette streaming di Facebook.”
Certo, ma una fuga di Bach non avrà mai gli stessi click di un Justin Bieber.
“Si ma tutti i generi che non siano pop hanno un pubblico di dimensioni minori. Anche Lang Lang, che probabilmente è il pianista più conosciuto al mondo non potrà mai competere con Rihanna, in termini di visibilità. Però dall’altra parte bisogna lavorare per non autoescludersi: sarebbe sciocco pensare che queste migliorie non funzionino per noi che facciamo qualcosa di più “alto”.
E la divulgazione funziona bene, quindi
“Come avrai visto sono un tipo che ama molto parlare: lo faccio anche durante i concerti, spesso tra un brano e l’altro mi metto a spiegare cosa suono e la storia di quei brani; dedico una particolare attenzione ai ragazzi e i giovanissimi, perché in fondo loro sono il pubblico del domani.”
“Per dire, mi diverto moltissimo a fare dei progetti nelle scuole medie ed elementari, e mi diverto moltissimo: spesso tramite la IUC andiamo in giro a fare concerti all’interno delle scuole, ed è fantastico. Questo sia perché è estramemente divertente, e perché i ragazzini che sono lì, anche quelli che magari non sanno nulla di musica, sono assolutamente imprevedibili. Poi a me piace molto, i ragazzi sono svegli e stimolanti. La IUC ha avuto una grande intuizione a prendere questa iniziativa, ed io sono onorato di farla seguendo le orme anche di giganti come Severino Gazzelloni. È diverso dal concerto, perché c’è uno scambio tra pubblico e musicista: ci si fanno domande, ci si incontra. Forse ha un po’ il carattere di pazzia, ma è al tempo stesso estremamente divertente ed utile per noi che vogliamo coltivare il pubblico del futuro.”
intervista a cura di Filippo Simonelli