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Come vive un compositore a Sanremo? Il racconto di Francesco Leineri

di Filippo Simonelli - 14 Febbraio 2023

Sanremo è appena finito, e il suo strascico di polemiche è destinato a spegnersi in un lampo probabilmente. Resta però lo spazio per una riflessione artistica più accurata su quello che il Festival, un tempo tempio della canzone italiana, oggi specchio del suo tempo con pregi e difetti, ci lascia e il suo modo di influenzare l’arte e la creatività del tempo in cui vive.

Accanto ai nomi più chiacchierati, ai cantanti più premiati e a quelli che invece son tornati a casa con l’amaro in bocca, hanno calcato il palco di Sanremo una serie di figure interessanti per capire come funziona la musica – e non solo l’intrattenimento – della grande Kermesse della città dei Fiori. Tra questi c’è Francesco Leineri, compositore edito da Ermes404 e che avevamo già incontrato qui, che ha accompagnato sul palco Chiara Francini. Abbiamo parlato con Francesco per capire come si possano incontrare i due mondi, quanto sia difficile per un musicista classico affrontare una sfida del genere e quanto invece il suo bagaglio di competenze possa essere un punto di forza. Ne è nata questa conversazione:

Partiamo dalla domanda più ovvia: Com’è successo che un compositore di musica nuova si sia trovato sul palco di Sanremo?

È lavoro. E poi se decidiamo – giustamente – di chiamare musica “nuova” il nostro raggio d’azione dobbiamo considerare tutte le conseguenze del caso e assumercene la piena responsabilità, a prescindere dal fatto che il festival sia un evento prettamente televisivo e con dei codici diversi dall’ambiente in cui magari ci siamo formati.

Dal punto di vista professionale come si inserisce un progetto del genere nel tuo percorso artistico?

Dato che mi occupo di creatività e dunque di una pratica artistica in continua trasformazione nel tempo mi viene difficile pensare ad un mestiere circoscritto ad una comfort zone, dunque accolgo certe intuizioni anche quando sembrano  non aderire a certe mie modalità operative consuete. Quello di Sanremo è stato un esperimento che ha avuto senso rischiare, e infondo mi sono sentito tutelato nello scrivere un pezzo per l’orchestra e performare con giocattoli ed elettronica: tutto rispondeva più o meno all’idea che mi sono fatto del mio mestiere, senza grossi compromessi se non qualcuno di natura logistica ed estetica che mi incuriosiva, necessario perché vincolato imprescindibilmente dal medium.

E tu? Cosa ti ha spinto, personalmente?

Posso limitarmi ad aggiungere che spesso la creatività è come un arcipelago che emerge molto lentamente e a causa di una forza che spesso gioca a nascondersi. Ho imparato ad intercettarla anche quando sembra molto lontana da me e si risolve in circostanze nelle quali mi piace scoprirmi sempre nuovo.

Ho riflettuto molto sul senso di questa mia comparsa in un contesto diverso dal mio, per certi versi diametralmente opposto. Da sempre ho coltivato un linguaggio che fosse fortemente connesso alla narrazione di storie e alle forme musicali iper-tradizionali di cui – vuoi o non vuoi – fanno parte anche i settant’anni sanremesi (o l’opera lirica, o la polifonia rinascimentale, o il sinfonismo tedesco, o quello che vuoi), non sono certo il primo ad essermene accorto. Rispetto ad altri colleghi ogni tanto faccio qualche scelta un po’ più trasversale o meno ortodossa, è vero, ma non per chissà che strategia, solo perché mi diverto a fare il camaleonte. Trevisan diceva che scrivere è trattenere un frammento di essere per sé, e farsi così, per quanto possibile, trasparenti. Ad esempio in uno dei miei due interventi al festival non ero neanche presente sul palco e ammetto sia stato molto divertente.

Ad uno sguardo esterno la giornata tipo di un musicista in un festival di simili dimensioni sembra una cosa decisamente impegnativa: come hai vissuto la tua routine sanremese?

Quello di Sanremo è un festival televisivo che è costruito su delle circostanze molto stressanti e tensive, potrà confermartelo chiunque nella declinazione del proprio lavoro. C’è stato pochissimo tempo per tutto, dalla trattativa alla stesura delle parti, e ho dovuto lavorare in modo molto serrato affidandomi solo ed esclusivamente al mio bagaglio professionale personale.

Questo tipo di impegni ci riporta a un valore aggiunto della formazione “vecchio stile” dei compositori usciti dal vecchio ordinamento e forgiati dalle clausure. Quanto pensi che ci sia di artigianale nel lavorare per una manifestazione del genere?

Amo fare tutto da solo, anche in specifiche di ambito compositivo generalmente divise fra più ruoli, nell’ambito pop e dunque anche sanremese. Al pezzo che hanno cantato Chiara e Amadeus ho cominciato a lavorarci quasi per gioco in tournée, con un pezzo di carta in una camera d’albergo vicino Asti. L’ho fatto sentire per la prima volta a Chiara in macchina. Per il resto credo di aver affrontato con agio e fermezza ogni richiesta, anche quelle degli autori RAI, ed è solo merito della formazione che ho ricevuto.

In questa occasione hai lavorato con Chiara Francini in una forma un po’ ibrida e che soprattutto non riguardava la competizione vera e propria. C’era uno tra gli artisti in gara che ti ha colpito, con cui avresti lavorato volentieri?

Lavorare non so. Però posso dire che fra i concorrenti l’artista che mi ha colpito di più nella passerella del backstage sia stata Giorgia, semplice ma piena di consapevolezza, per questo davvero elegantissima.

Sul momento, che effetto ti ha fatto salire su quel palco di fronte a un pubblico simile?

La primissima volta che sono entrato all’Ariston per le prove mi è sembrato di salire su una giostra. Per la performance ero un po’ deconcentrato, lo era anche il pubblico, erano le due meno un quarto e stavamo in teatro da molto, in più si stava seriamente rischiando di sforare parecchio con la diretta. Credo alla fine sia andata bene comunque.

Che vita c’è dopo Sanremo? Ovvero, che cosa pensi di fare adesso?

Sto scrivendo un pezzo per clarinetto, visual ed elettronica commissionatomi dall’Accademia Filarmonica Romana; una coppia di pezzi complementari per tre percussionisti ed elettronica che verrà eseguito anche al Palazzo Reale di Napoli e la ripresa del mio solo per pianoforte preparato e field recording 12 motivi, prevista per inizio Aprile nella mia città natale, Palermo. A Marzo entrerò anche in sala con la coreografa Chiara Taviani per il suo debutto a ERT.

Filippo Simonelli

Direttore

Non ho mai deciso se preferisco Brahms, Shostakovic o Palestrina, così quasi dieci anni fa ho aperto Quinte Parallele per dare spazio a chiunque volesse provare a farmi prendere una decisione tra uno di questi tre - e tanti altri.

Nel frattempo mi sono laureato e ho fatto tutt'altro, ma la musica e il giornalismo mi garbano ancora assai.

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