Blow Up Percussion
di Silvia D'Anzelmo - 11 Dicembre 2019
da materia muta a suono
Abbiamo già incontrato Alessandro Di Giulio e Flavio Tanzi, insieme al resto dei Blow Up, in occasione del loro Festival Cerimoniali Ritmici. Questa volta li abbiamo intervistati per conoscere i retroscena di un concerto affascinante e atipico: quello che Nuova Consonanza dedica alle Pietre Sonore dello scultore sardo Pinuccio Sciola. E saranno proprio loro a dare voce a questa materia apparentemente inerte e, invece, capace di cacciar fuori da sé la voce dei secoli passati, di un tempo ancestrale e oramai cristallizzato in un cuore di pietra.
La pietra è una materia muta, per antonomasia. Da dove nasce la sua voce?
A partire dal 1996, lo scultore Pinuccio Sciola ha cominciato a incidere la pietra svelando come una materia così dura e solida possa avere un lato delicato e volatile: il suono. Sciola incide basalto e calcare liberando il potenziale insito in questi materiali. È grazie a lui se questi immensi blocchi riescono a vibrare di una forza che è antica come il mondo. Le sue sculture, infatti, somigliano a monoliti raccolti in un vero e proprio museo a cielo aperto, poeticamente detto Giardino Sonoro. Nell’aspetto, le pietre mantengono la loro maestosità ma l’incisione rivela anche una certa fragilità: non si può percuoterle ma solo accarezzare con delicatezza per far venir fuori la loro voce personale. I suoni generati, infatti, sono diversi a seconda della densità della pietra e dell’incisione.
Dalle sculture al concerto…
In realtà i concerti sono due: uno a Cagliari, agli inizi di ottobre, e quello di stasera a Roma. È stata l’Associazione Nuova Consonanza, in collaborazione con il Festival Spazio-Musica di Cagliari e la Fondazione Pinuccio Sciola, ad avere l’idea di dedicare un vero e proprio evento alle pietre sonore. Il concerto di questa sera, però, offre delle novità rispetto a quello di Cagliari. Prima della parte prettamente musicale è stato deciso di proiettare un video documentario sull’attività artistica di Sciola così da illustrare al pubblico la sua poetica. Dopo di che saremo noi di Blow Up a liberare il suono ancestrale del basalto e del calcare. Nuova Consonanza, infatti, ha deciso di commissionare a due giovani artisti la composizione di due brani musicali che hanno in organico proprio le pietre sonore di Sciola. Ogni ascolto sarà accompagnato da un supporto video realizzato in collaborazione con l’ISIA Roma Design: un vero e proprio allestimento sinestetico e multimediale progettato da Mario Fois e Mauro Palatucci.
I due giovani compositori a cui ha accennato sono Claudia Mura, che presenta il suo Nora, e Matteo Atzori che, invece, farà ascoltare il suo Entroterra, entrambi scritti per percussioni e pietre sonore.
Esatto. Entrambi i brani si riallacciano a un’idea della Sardegna persa nel tempo e nello spazio. Un luogo mitico in cui la realtà continua a mescolarsi ad antiche credenze, mantenendo sempre viva la sua forza rude e poetica. Nora di Claudia Mura, ad esempio, è l’evocazione di un’antica città della Sardegna meridionale che fin dal tempo dei Fenici accumula memorie di visi e di racconti, di lagrime e partenze, sorrisi e nascite. Ma Nora è anche un nome di donna che mille volte sarà stato pronunciato a fior di labbra o a voce spiegata, con rabbia o con passione. Entroterra, invece, narra il cuore stesso della Sardegna: la parte più autentica perché poco segnata dall’uomo. Matteo Atzori ci guida in un viaggio enigmatico verso l’ignoto, in un mondo lontano dalla contemporaneità dove l’ostinato delle percussioni assume un aspetto sinistro e tribale. È lo spavento per qualcosa che non conosciamo ma è anche la curiosità tipicamente umana che ci spinge a superare la paura.
Come avete scelto il resto del programma?
Ovviamente ci siamo concentrati sulle pietre sonore: materia e leggerezza, memoria sonora che coinvolge il concetto di tempo, il primigenio e l’ancestrale. Ci siamo indirizzati verso differenti materiali: la pietra, il metallo, il legno, tutti elementi primordiali, essenziali e poetici al tempo stesso. Abbiamo cercato di mettere piccoli mattoncini intorno a queste idee e, seguendo questa strada, abbiamo scelto il resto dei brani. Lampi di Materia di Rosalba Quindici, per esempio, è una ricerca sul Grande Cretto Nero di Alberto Burri e, già dal titolo, richiama le potenzialità della materia: un’esplorazione sinestetica dove luci, superfici, materiali diversi, entrano in contatto tra loro grazie al gesto del performer che è musicale e coreografico insieme. Per quanto riguarda The Anvil Chorus, David Lang non prescrive degli strumenti veri e propri per l’esecuzione del brano. Il compositore lascia totale libertà di scelta all’esecutore: libertà che abbiamo colto al volo prediligendo l’uso di oggetti che non siano propriamente strumenti musicali. Abbiamo cercato di trarre suoni da una materia inerte e grezza, il metallo che, solitamente, è usato per fare tutt’altro che musica. Questo per riallacciarci non solo alle pietre sonore di Sciola ma anche alla concezione che s’è dietro The Anvil Chorus. Lang parla di anguste botteghe medievali in cui i fabbri facevano fatica a muoversi e, per non martellarsi le dita, avevano sviluppato una sorta di poliritmia nell’uso dei vari strumenti a loro disposizione. Per quanto riguarda il brano di Bryce Dessner, Tromp Miniature, il collegamento con le sculture ancestrali di Sciola è stato piuttosto un’ispirazione visiva e decorativa che non musicale. Un omaggio alla bellezza. Entrando nel Giardino Sonoro, infatti, ci si ritrova circondati da queste immense installazioni di pietra: un impatto visivo molto forte, un vero e proprio richiamo alla materia. Pensare che, attraverso piccoli e delicati interventi, Sciola sia riuscito a incidere queste pietre per liberarne il suono è molto poetico. E poi c’è Marimba Phase di Steve Reich con cui abbiamo deciso di chiudere il concerto. Ci troviamo di fronte ancora un altro materiale usato per liberare il suono: il legno delle marimbe. La morbidezza del suono ovattato, unita all’ostinato ritmico-melodico e a quell’andare fuori tempo ad arte che è il phasing, conducono il pubblico in una dimensione altra, un tempo che va attraversato fino in fondo nella sua verticalità. Un attimo che si trasforma in evento, un costante presente che unisce l’ancestrale al contemporaneo, la memoria alla vita.
Silvia D’Anzelmo