Emma Carelli
di Silvia D'Anzelmo - 17 Febbraio 2020
Tutte le battaglie di una prima donna.
Emma Carelli? “Una sventatella di molto talento”
Cantante e attrice, amante di un sindacalista rivoluzionario, prima donna in Italia ad avere l’ardire di gestire da sola un teatro d’opera riuscendo a imporre la propria personalità in un ambiente dominato da soli uomini e, quindi, ostile per definizione a una donna, soprattutto se volitiva come fu Emma Carelli. Sempre in viaggio (sola!) con la sua Lambda, Emma passa alla storia per quel suo “carattere indipendente che le fa assumere atteggiamenti di superiorità verso chicchessia” per usare le parole contenute nel fascicolo (segretissimo) che il Ministero degli Interni aveva aperto su di lei, per volere del regime fascista. Una donna tanto fuori dal comune da sembrare fuori luogo anzi fuori tempo perché “nata troppo presto […] in un’Italia ancora molto provinciale, analfabeta, conservatrice, puritana, classista, patriarcale” secondo il musicologo Antonio Rostagno. E, in effetti, se pensiamo alle donne che vissero in Italia tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento, non sembrano punto somigliare all’immagine della Carelli: erano ben altri i compiti che spettavano a una figlia della borghesia. Elette a educatrici della società, le donne dovevano necessariamente essere specchio limpido di moralità e costumi. È l’epoca in cui tutti erano preoccupati di apparire normali, anzi “gente per bene”, tanto che ogni aspetto della vita venne regolamentato da veri e propri manuali pedagogici come i trattati di buone maniere o i galatei. Ma è la donna quella che più di tutti venne imprigionata in una serie di norme puntuali e pignole: deve essere una sposa obbediente e una madre amorosa; il suo compito più importante è quello di celare angosce e di tranquillizzare perciò “trasgredire le regole è cosa più grave che per gli uomini, quasi contro natura, e genera più ansia perché suona come il segnale della fine di ogni ordine, del trionfo del caos” per dirlo con le parole di Gabriella Turnaturi, professoressa di sociologia all’Università di Bologna.
Com’è possibile, allora, che la Carelli abbia goduto di tante libertà, debordando ampiamente quelli che erano i limiti imposti a una donna, soprattutto se borghese? Come le è stato possibile lasciare la casa paterna a diciannove anni, ancora signorina, convivere con un socialista ma, soprattutto, occupare ruoli di prestigio e potere invece di chiudersi in casa a far figli? Non omologarsi alle leggi di cortesia non era cosa da poco, poteva segnalare la dubbia provenienza dei propri natali o il voler essere un anticonformista, motivi per i quali non si era “ammessi in società”. E, in effetti, c’erano persone cui non interessava di scimmiottare i gran signori: è il caso dei circoli operai, di quelli anarchici o dei movimenti di emancipazione femminile. Ma c’era anche qualcuno a cui era concesso di essere un “originale” senza destare troppo scandalo: l’artista. E la motivazione è molto semplice: “L’artista non contava nella società e per la società, se non come ornamento, chi mai lo avrebbe preso a modello? A costui, come allo scemo del villaggio, l’ottocento italiano perdonava tutto, e tutto gli era concesso anche forse perché lui, che così pubblicamente rivelava le proprie emozioni, non evocava né misteri né minacce: era un libro aperto” (Turnaturi). Dunque, le pose anticonformiste della Carelli non risultano inquietanti (almeno fino all’avvento del fascismo) ma affascinanti, tanto da guadagnarsi un atteggiamento voyeuristico da parte di tutti. Lo status di artista diventa il suo lasciapassare, smorza la carica irriverente ed elimina il turbamento che sarebbe stato “normale” provare all’epoca davanti a certi atteggiamenti. Un esempio? La scenata che Emma fece a Edoardo Sonzogno quando, agli inizi della sua carriera, le vennero preferite delle interpreti francesi, già di chiara fama. Nonostante fosse ancor troppo piccina per Milano, Emma si rese immediatamente conto che la stavano emarginando e preferì andarsene da sola mostrando tutta l’aggressività del suo temperamento altero. Racconta il fratello, Augusto Carelli:
Rivedo la nobile e piccola figura della principiante che difese coraggiosamente il proprio avvenire, certo scortesemente, anzi impertinentemente, ma dall’alto e senza chinare la schiena, come facevano tutti “ai ricchi ed ai potenti”[…] Emma comprese subito che pativa uno smacco e che, in altri termini, era “protestata”; ebbe paura dell’avvenire, volle vedere l’editore celebre, volle parlargli, s’avviò di corsa verso lo studio del “Signor Eduardo”[…] entrata come un bolide, lo assalì senza molti complimenti. Interdetto, Sonzogno si alzò per replicare. Ma Emma non glie ne lasciò il tempo: terrificandolo ancor più e scandendo le sue sillabe: “Ma già”, disse, “dimenticavo che Ella parla francese, hé bien, je vuois le dirai en francais: vous étes un vieux ramolli… Voila!”
Augusto Carelli
Una delusione cocente, certo, ma incapace di frenare la Carelli che riuscì a ottenere esattamente quello che voleva: qualche tempo dopo (e nonostante l’offesa) fu lo stesso Sonzogno a richiamarla a Milano come interprete di Stella nell’opera omonima del napoletano Camillo De Nardis. Insomma, fu all’editore che toccò accomodare la situazione con quella che definì una “Sventatella di molto talento”. E lo fece in un anno non da poco, il 1898, lo stesso in cui Emma sposò il socialista Walter Mocchi che, per aver partecipato attivamente ai moti popolari di Napoli, era stato imprigionato e processato. Nonostante questo, Emma non ci pensò due volte e lo raggiunse a Procida dove Mocchi era tenuto agli arresti domiciliari. Con lui convisse per qualche tempo prima di trascinarlo in comune per regolarizzare la loro unione.
Donna di altissimi sentimenti, la mia fidanzata non titubò infatti di abbandonare l’onesta casa borghese ed i suoi parenti, di mettersi in guerra contro tutte le convenzioni e i pregiudizi in cui era stata educata, di porre a repentaglio il proprio avvenire artistico che già dai primi bagliori appariva brillantissimo, con un uomo che poteva da un momento all’altro esser sepolto in una colonia di coatti, e corse a raggiungermi. Di lì a poco facemmo le pubblicazioni e poi ci sposammo a Perugia.
Walter Mocchi
Anche in questa occasione, la Carelli dimostra una grande autonomia di pensiero arrivando a violare apertamente tutti quei comportamenti prestabiliti nelle regole di buona creanza, scegliendo, per amore, un sovversivo in aperto contrasto con l’ordine prestabilito. La logica borghese, infatti, dissuadeva la fanciulla dalla passione romantica incoraggiandola ad “accettare uno sposo senza esserne innamorata” pur di assicurarle un avvenire economicamente e socialmente concorde al proprio stato di nascita (Marchesa Colombi).
La Prima donna
Dunque per Emma, che in questo caso si mostra perfettamente integrata nell’orizzonte mentale dell’epoca, non ci sono vere e proprie linee di demarcazione tra arte e vita.
Attrice nella vita, o donna reale sulla scena; la vita di Emma Carelli ha in sé qualcosa di teatrale, è un personaggio che non occorre drammatizzare: la sua vita è già teatro.
Antonio Rostagno
La precisa aderenza tra quelle che sembrano due facce di una stessa medaglia, è dimostrata dalle scelte che la Carelli fece come interprete. Il suo temperamento, infatti, non era certo incline a vestire i panni dell’“eterno femmineo, angelo di sacrificio e redenzione” tipico dell’ottocento romantico (Antonio Rostagno). Emma divenne interprete d’eccezione del teatro verista con la sua voce, non certo bella, ma “calda di timbro, irresistibile di simpatia nelle note medie, facile e pastosa nei bassi” come la definisce il fratello Augusto. Il suo carattere infiammato e nervoso la portò a scegliere ruoli di donna aggressivi, incapaci di subire passivamente la catena di eventi tragici che le stringe e alla quale cercano di opporsi con tentativi di ribellione violenta. Insubordinazioni all’ordine costituito che Emma mette in pratica sulla scena come nella vita reale. È il caso del suo tentato suicidio avvenuto quando, a causa dello sciopero generale guidato da Mocchi a Milano nel 1904, le venne sospeso il contratto già firmato con il Teatro Lirico. Ma Emma non è donna da subire passivamente il torto: ingoiò quattro pasticche di sublimato corrosivo che la mandarono dritta in ospedale, facendo temere per la sua vita. Questa sensibilità eccessiva che la porta a compiere gesti estremi, violenti e improvvisi ricalca l’atteggiamento drammatico di figure come Tosca di Giacomo Puccini, Elektra di Richard Strauss o la Zazà di Ruggiero Leoncavallo, proprio quelle che passano alla storia come le sue migliori interpretazioni.
Ma anche quando si trovò a vestire i panni di donne fino ad allora sentite come fragili, la sua teatralità drammatica e il suo spessore umano sono tali da stravolgere completamente ogni stereotipo. È il caso di Margherita nel Mefistofele di Arrigo Boito.
Con me deve morire il Convenzionalismo, per Voi interpretare significa vestirsi bene, significa esser belli, sereni, non sentirsi agitati, tormentati, disperati… io ho voluto che Margherita vivesse la sua vita di folle dannata e ne ho fatto appunto una creatura brutta, così come doveva essersi ridotta la bellissima Margherita del giardino di Marta […] io proprio questo voglio, che quando la tela si alza e prima ancora ch’io canti, anzi prima ancora ch’io parli, il pubblico abbia la sensazione di trovarsi innanzi ad un rottame di vita angosciosa […] talché la nenia sia davvero il suo delirio. D’ora innanzi la Margherita sarà quella che ho fatto io e non quella che fecero le altre.
Emma Carelli
Donna nuova
Emma appartiene pienamente a quel modello culturale che lo storico Eric J. Hobsbawm definisce “donna nuova”: concetto tanto ambiguo da prende forme differenti a seconda di chi guarda. Dal punto di vista del “maschio”, l’affermazione sempre più netta dell’emancipazione femminile è percepita come una minaccia: per loro la donna nuova ha smesso i panni dell’angelo del focolare per trasformarsi in una sorta dominatrice sensuale, una donna-vampiro dalla bellezza medusea ed enigmatica. Da questa angolazione, la donna nuova è quella che sceglie e si impone con una volontà tirannica sul maschio fragile e sottomesso. Non è un caso se, in questo periodo, la femme fatale diventa un “tipo” cioè un “punto nevralgico”, “un cliché” tanto ha “scavato nelle anime un solco profondo” secondo il critico Mario Praz.
La rassegna delle donne dominatrici che gli artisti compilano ossessivamente è spaventosamente lunga: ognuna di loro ha caratteri e peculiarità proprie perché è difficile imbrigliare un essere cangiante, multiforme e contraddittorio come lo sono questi tipi di donna. Le ritroviamo dappertutto: la Fosca di Igino Tarchetti, l’Ippolita Sanzio ‘Nemica’ di Gabriele D’Annunzio, la Manon Lescaut di Giacomo Puccini, la Lina Cavalieri ritratta da Giovanni Boldini… Ma Emma non è nessuna di queste: dal suo punto di vista la donna nuova prende tutt’altre forme. E, in effetti, non è mai attraverso il sesso che la Carelli si impone ma grazie ad atti di (più o meno) consapevole emancipazione: Emma è provocatoria non provocante (come la vorrebbero gli uomini). Questo atteggiamento risulta evidente soprattutto nella gestione del suo ruolo di impresaria del Teatro Costanzi di Roma.
Emma aveva una grandissima forza di volontà, e quindi beneficiava di tutte le buone cose ad essa inerenti; e cioè l’amore e la resistenza al lavoro: ma un amore ch’era una fiamma inestinguibile, ed una resistenza che pareva aver la forza del granito. Possedeva poi, soprattutto, la pratica e l’esperienza impareggiabile del suo mestiere, e il colpo d’occhio infallibile: quello, insomma, ch’è chiamata la “competenza”, la sola cosa che trascina le masse e le rende anche capaci…dell’obbedienza. Essa riassumeva in sé tutte le qualità indispensabili del vero esperto teatrale, senza cui non è possibile raggiungere con minimi sacrifici finanziarii i massimi risultati artistici. Nessuno avrebbe sopportato tanta autoritarietà se non avesse sentito spirare nei pochi metri cubi d’aria della direzione del Costanzi l’assoluta sicurezza d’azione, il fascino del sapere, l’arte impresariale.
Augusto Carelli
Forza di volontà, competenza, esperienza: queste sono le doti che la Carelli mise in campo come impresaria, riuscendo a farsi valere in un mondo dominato da soli uomini. Emma mostrò immediatamente le sue grandi capacità organizzative. Secondo Claudio Strinati e Francesco Reggiani, autori del volume Il Teatro dell’Opera di Roma: “nei dodici anni da direttrice portò il Costanzi nell’olimpo della lirica”. Tenace e severa, Emma aveva “straordinarie capacità nel predisporre i cartelloni delle stagioni liriche e fiuto nello scovare e lanciare nuovi cantanti” come Rosa Raisa, Tito Schipa, Giacomo Lauri Volpi… La sua fu una delle gestioni più moderne e aperte di sempre, basti pensare all’esecuzione di nuove opere che costellarono l’attività del Costanzi proprio fino al 1926, anno in cui venne sollevata dall’incarico. Nel Teatro romano si avvicendarono Puccini, Musorgskij, Stravinski, i Ballets Russes, le serate futuriste, Strauss, le opere di Wagner mai sentite in Italia e molto altro. Senza contare che, durante la Guerra, si mise in testa di mantenere il Costanzi aperto (l’unico in tutta Italia!) garantendo una stagione di tutto rispetto. Lavorava instancabilmente da mattina a tarda notte, curando ogni aspetto nella gestione del suo amato teatro, gentile e buona ma sempre con “la risposta pronta e lo spirito mordace e sottile per dare la scudisciata a tempo” (Augusto Carelli).
Emma mise in atto anche una vera e propria trasformazione fisica. Mentre prima era minuta, dalla pelle diafana e gli occhi chiari, con lunghi capelli sempre ravviati attentamente; la Emma impresaria sembra quasi tagliar via da sé qualsiasi attributo della femminilità (secondo i canoni di allora): via la chioma fluente per capelli corti e facili da pettinare sola, il viso irrimediabilmente bruciato dal trucco della sua precedente professione ora è pulito e semplice, la vita fortemente ingrossata come la sua voce che si fece tonante e imperiosa. Non c’è più nulla di sensuale in lei, quasi a marcare la distanza con quella “donna nuova” vista attraverso gli occhi dell’uomo. Certo, non fu una vita semplice né comoda ma la Carelli rimase salda alla conduzione del Teatro Costanzi finché non intervenne il Fascismo. Se con l’avvento della guerra, il modello culturale della “donna nuova” venne divulgato massicciamente “imprimendole il crisma della perfetta virtù femminile” (Michela De Giorgio); il regime fascista impose il modello della “donna novissima” che ricondusse il “gentil sesso” al ruolo di sposa federe ed educatrice delle nuove generazioni fasciste. Non potevano permettere a una donna forte e indipendente come la Carelli di continuare a gestire quello che volevano trasformare nel teatro ufficiale del regime: nel 1926 il comune di Roma acquistò il Costanzi dispensandola da qualsiasi incarico. Per Emma fu un vero colpo: “Il mio dolore è troppo vivo, e troppo continuo, è irreparabile! […] io continuo a torturarmi, non vi è un solo minuto, non uno della mia vita, che io non pensi che ho perduto il mio Costanzi, e che piuttosto dovevo ammazzarmi! […] La mia giornata non finisce mai, e io penso che non avrò la forza di tirarmi fuori da questo incubo”. E, in effetti, non ci riuscì: il 17 agosto 1928 sbandò con la sua Lambda sulla strada di ritorno da uno dei suoi viaggi e così concluse la sua vita “controvento”. Possiamo definirla una femminista? Forse no, perché non si schierò mai apertamente con la causa. Ma, sicuramente, possiamo definirla una donna emancipata (all’alba del secolo scorso).
Silvia D’Anzelmo