Il Paradiso e la Peri di Robert Schumann: lacrime di serenità
di Redazione - 2 Febbraio 2017
Non a tutti è noto cos’è una Peri, e pochi possono dire di conoscere l’oratorio di Schumann. Eppure lui vivente questo fu il solo lavoro (insieme alla Prima Sinfonia) a garantirgli una notorietà in patria e nel circuito internazionale.
Dire cos’è una Peri in poche parole non è facile: nella più antica mitologia persiana era un essere demoniaco di genere maschile al servizio di Arimane, lo spirito del male nello zoroastrismo. Nelle più tarde tradizioni islamiche la Peri, divenuta di genere femmineo, ha fattezze e modi attraenti, figura alata, occhi grandi e si nutre del profumo dei fiori. Le Peri, in questa ultima forma, sono “razza peccatrice”, caduta nella colpa, ma aspirano a tornare nell’Eden, da dove sono state scacciate. Questa è la forma del mito giunta a Schumann. Nel 1840 si trova il primo accenno al riguardo nei suoi Diari, ma la leggenda della Peri è per ora indicata come Opernestoffe (materiale per un’opera); quando fra il 1842 e il giugno 1843 il compositore porta a termine il lavoro, esso ha assunto la forma di un oratorio. Richard Wagner nello stesso 1843, a Dresda dove ha colto i suoi primi successi, ipotizza un’opera sullo stesso soggetto persiano, ma presto abbandona il progetto non trovando come portarlo sulla scena; per questo, saputo della composizione di Schumann, si premura di scrivergli complimentandosi per la riuscita e per aver trovato la forma adatta (lettera di Wagner a Schumann, 21 settembre 1843).
Schumann trae il soggetto da un racconto in versi del poeta Thomas Moore (1779-1852), precisamente dal secondo episodio del prosimetro (racconto in prosa e versi alternati) Lalla Rookh del 1817, realizzando una forma mista epico-lirica da concerto: lui stesso è consapevole di aver creato “un nuovo genere per la sala di concerto”. Terminato il “poema per voci soliste e coro” (così nella prima stampa), Schumann scrive che si tratta di “un oratorio non per un luogo di preghiera, ma per persone serene” (für heitere Menschen): che intende? Il 1843 è un anno felice dal punto di vista esistenziale e artistico: Schumann, felicemente sposato, ha approfondito la composizione liederistica (1840) sinfonica (1841) e cameristica (1842); il grande “oratorio profano” riassume tutto ciò.
Inoltre si direbbe che la “serenità” si riferisca anche al felice momento esistenziale di Schumann, finalmente sposato (a metà della composizione nasce la seconda figlia Elise), e professionalmente rassicurato per l’avvio del conservatorio di Lipsia, alla cui fondazione ha partecipato insieme a Mendelssohn. Ma i Diari di Clara parlano di “prostrazione” e “malinconia”, lamentando una sostanziale assenza del marito nei difficili primi momenti della figlia neonata. E se andiamo avanti di qualche mese dopo le prime fortunatissime esecuzioni dirette dall’autore (4 e 11 dicembre 1843), nella primavera 1844 troviamo Schumann in una delle sue più acute crisi, tanto da fargli quasi perdere la parola e le capacità motorie. Insomma, quella “serenità” si rivela piuttosto un’aspirazione e una sosta momentanea, in una psicologia fortemente tendente alla malinconia distruttiva e incapace di rimuovere alcuni oscuri sensi di colpa che l’assillano.
Il portato autobiografico, ossia l’aspirazione alla “serenità” sempre provvisoria e instabile, è il primo dei grandi temi del Paradiso e la Peri; altro elemento è l’ispirazione orientale, ma “travasata” in simbologie e linguaggi europei e propri della cultura schumanniana. L’orientalismo è assai comune nella cultura germanica della prima metà dell’Ottocento, dal Divano occidentale-orientale di Goethe, a Friedrich Schlegel, Herder, Novalis, Schopenhauer, Rückert. In ambito musicale nel 1840 Heinrich Marschner compone la cantata Klänge aus Osten (“Suoni d’Oriente”) op. 90. Ma c’è qualcosa di più.
L’idea del Paradiso e la Peri viene proposta a Schumann dall’amico Emil Flechsig; il dato sembra un vuota curiosità, ma non è così: Flechsig è un pastore luterano, come luterano è Schumann stesso. Ebbene, il testo persiano-islamico, adattato dai luterani Schumann e Flechsig, traendolo da un originale dell’irlandese-anglicano Moore acquista un significato interconfessionale, una possibile armonia fra religioni diverse, implicitamente indicando elementi affini fra le tradizioni cristiana e islamica. Per esempio, nei tre “doni” che la Peri deve trovare perché le siano aperte le porte edeniche possono vedersi analogie con le tre prove dell’anima a cui dio sottopone il fedele nella religione cristiana (ovvie le differenze nel simbolo, evidenti le analogie nel simboleggiato). Si trovano esempi delle tre “prove dell’anima” anche nella letteratura maggiore: il caso della “favola” di Griselda, narrata da Boccaccio e da Petrarca, è l’esempio più noto. Altro elemento comune è quello della costanza, della fermezza d’animo, della tenacia come virtù suprema: la Peri non si scoraggia per le prove fallite, e la musica di Schumann coglie per due volte lo slancio con cui, davanti alle porte dell’Eden che rimangono chiuse, reagisce e si rimette alla ricerca.
Le tre prove dell’anima scandiscono le tre sezioni, che Schumann divide fra narrazione (affidata alternativamente a un tenore, un mezzosoprano, un baritono e il coro), parti cantabili della protagonista e di altri solisti, sezioni corali sentenziose o contemplative. La redenzione finale assurge a carattere universale: appunto una musica “per persone serene”, una serenità che Schumann vuole comunicare a tutti. La prova finale, che riapre alla Peri le porte del Paradiso, è una lacrima di un delinquente che, davanti alla purezza di un bambino, s’inginocchia e ritrova la forza di pregare, una consolazione che le sue colpe gli avevano da tempo impedito (proprio come accade a Macbeth dopo il delitto). È la colpa redenta dalla purezza, ciò che Dante chiamò “virtù”, quella virtù che l’umanità per sua natura deve perdere, per avere la forza di riacquisire con la forza della volontà. Schumann per tutta la vita ha lottato contro i suoi oscuri e divoranti sensi di colpa (non sapremo mai per quale spettro nascosto nella sua psiche), che hanno lasciato profondi segni nella sua musica. Nella grandissima musica di questo oratorio profano la “serenità” scaturisce appunto dal riuscito sforzo dell’uomo verso la redenzione, e la Peri redime la sua condizione di reietta portando al cielo la prova di questo percorso “verso la serenità”. Questo nella trasposizione artistica; ma abbiamo già visto come la realtà esistenziale di Schumann sia tragicamente andata nel modo esattamente opposto.
L’oratorio è diviso in tre sezioni, ognuna descrivente un “dono” che la Peri coglie sulla terra per portare all’Angelo; sono tre racconti distinti, secondo la poetica della narrativa frammentaria tanto cara a Schumann. Ognuna delle tre grandi sezioni è a sua volta tripartita: A) descrizione della situazione (India, Egitto, Siria), ricca di riferimenti simbolici, assegnata a voci narranti, coro e interventi lirici della Peri; B) azione alternante narrazione e discorso diretto. Qui intervengono i personaggi al centro di ognuna delle tre sezioni: l’eroe patriota, i due giovani amanti, il delinquente pentito; C) conclusione lirico-contemplativa, dove salgono a protagonismo la Peri e il coro in dialogo (un fugato nella prima parte, un’innodia funebre nella seconda, ancora un fugato strumentale e una grande “luminosa” contemplazione finale nella terza). Alternando i tre livelli epico, lirico e drammatico Schumann ha realizzato quel “nuovo genere da concerto”, che non rinnega affatto la grande tradizione oratoriale di Händel e Haydn, e che si colloca in quel genere sinfonico-corale che nella Germania ottocentesca ha goduto di altissima considerazione.
Per la prima “prova”, la Peri vola in India e la parte iniziale è occupata dalla descrizione musicale del viaggio. Nella successiva scena di realistica descrizione della battaglia, Schumann ricorre per l’unica volta nell’oratorio a una timbrica orchestrale di vaga suggestione “esotica” . Il “dono” per l’Eden è l’ultima goccia di sangue dell’eroe, che cade per la libertà della patria davanti al tiranno Gazna (sono fatti storici, Mahmud di Ghazni nell’XI sec. invase e sottomise Iran, India e Pakistan).
Trovate chiuse le porte, nonostante le lacrime di compassione dell’Angelo, la Peri riparte per la seconda prova; ora vola in Egitto “colpito da mortale epidemia”. Presso un lago solitario si è rifugiato per morire un giovane appestato, con l’unica consolazione che la promessa sposa sia al sicuro nel palazzo paterno. La Peri è accolta dai Geni del Nilo, creature acquatiche ritratte da una vivace scrittura corale a tre voci, alleggerita dall’assenza dei bassi, su un animatissimo lavoro orchestrale (quest’episodio è assente in Moore). Vedendo la terra minata dalla peste, la Peri piange ; la musica di Schumann realizza qui un senso di sollievo e sofferenza al tempo stesso non traducibile a parole, grazie all’ampio disegno di violoncelli e violini su cui il tenore-narratore declama: “Per le lacrime [della Peri] risplende intorno l’aria, il cielo sorride” e il disegno sofferente-consolatorio si trasmette al quartetto di voci sole (“Nella lacrima è una magica potenza”).
Come nella prima sezione, anche qui dopo la descrizione inizia l’azione, la scena “in presa diretta”: prima era la guerra, ora è l’arrivo della giovane che, seguito l’amato, vuole morire con lui. Abbracciando il corpo appestato (la musica idealizza, ma si può misurare l’effetto di commozione se si pensa come in questi anni Balzac descrive impietosamente la devastazione fisica della malattia), la giovane bacia l’amato e la morte coglie entrambi in questo momento. La Peri porta l’ultimo respiro degli amanti all’Angelo, ma l’Eden resta chiuso; affranta ma instancabile, per il terzo dono la Peri vola in Siria, presso il tempio di Baalbek nella valle della Beqaa. Ancora una lunga sezione descrittiva precede la scena principale: un delinquente macchiatosi dei peggiori delitti, vedendo un fanciullo in preghiera, ricorda la sua purezza prima della colpa, e trova il coraggio di inginocchiarsi e pregare. Sui suoi occhi una lacrima di pentimento brilla per un raggio, nel quale la Peri riconosce il sorriso dell’Angelo; e finalmente quella lacrima le apre luminosamente le porte dell’Eden.
Le due prime prove sono prove di morte: la Peri coglie ultimi attimi di vita, “doni” non graditi ad Allah, che non redimono ma concludono tragicamente una vita terrena; al contrario il terzo dono apre una nuova vita anche sulla terra, la vita libera dal senso di colpa. Nella spiritualità musulmana, il luterano Schumann trova così in Allah la figura di un dio che perdona e concede una nuova vita. Non so se mai è stato alzato un inno più “sereno” all’armonica unità fra religioni diverse. Il significato di questo finale di redenzione individuale si avvicina al finale di redenzione universale del “coro mistico” che chiude il Faust goethiano; e questo può sembrare un accostamento eccessivo solo se ci si ferma alle situazioni, ai versi, ai contenuti referenziali del Paradiso e la Peri, a volte apparentemente ingenui.
Ma Schumann è un compositore, il suo messaggio è trasmesso dalla musica, non dalle parole; e la musica descrive un percorso nel buio, nelle tragedie umane (guerra, amore e morte) per raggiungere la luminosa redenzione attraverso il pentimento, la preghiera, le lacrime. Questo è il percorso che Schumann indica agli “uomini sereni”. E se l’immagine della lacrima illuminata dalla grazia ha qualcosa di “ingenuo” e forse inattuale per noi uomini del terzo millennio, disincantati e concreti, tutto viene trasfigurato e idealmente nobilitato dalla musica. Questa è la forma di spiritualità sentimentalizzata che il compositore consegna al suo oratorio.
Antonio Rostagno