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Le astuzie femminili – Cimarosa nella XIV edizione del Reate Festival

di Martina Cavazza - 25 Ottobre 2022

Sui palcoscenici della prima metà del Settecento, negli intervalli tra gli atti dei più celebri melodrammi, serpeggia qualcosa che spinge i personaggi a ordire sottili intrighi che rovesciano l’ordine sociale, creando scompiglio e malintesi: l’astuzia femminile.

È astuta la Serpina di Pergolesi, che nella Serva padrona convince abilmente lo scapolo Uberto a sposarla; è astuta anche Vespetta, la  cameriera di Pimpinone nell’omonimo intermezzo di Albinoni.

L’opera buffa sembra nascere proprio sulle orme di questi scaltri personaggi, seguendo il complesso groviglio di conseguenze che deriva dalle loro trame.

Così, sul finire del secolo, la protagonista di una commedia per musica firmata da Domenico Cimarosa e dal librettista Giovanni Bertati, non può che esclamare:

Astuzie femminili, aiutatemi voi in questa circostanza!

La commedia, intitolata Amor rende sagace, andò in scena a Vienna presso la corte asburgica. Pochi anni dopo, quando Cimarosa tornò a Napoli dopo la morte di Leopoldo II, decise di ripensare l’opera in questione per il pubblico napoletano, servendosi del librettista Giuseppe Palomba. Quest’ultimo colse immediatamente l’importanza della potente invocazione alle astuzie femminili, che divennero così il titolo della nuova commedia per musica a cui stava lavorando con il compositore aversano.

Nelle vene di Cimarosa scorre la tradizione dell’opera buffa napoletana, ma nelle Astuzie femminili dalla sua penna sgorgano già i fondamenti dello stile operistico del secolo successivo. Le maschere dell’opera buffa cedono il posto a personaggi più complessi, e la rapida successione di azioni straborda dal recitativo, permeando i vivaci numeri musicali d’insieme.

Si tratta dunque di un lavoro prezioso, che incarna uno stile di transizione incastonato, come una gemma rara, tra una ben radicata prassi settecentesca e un sentore dell’inquieto Ottocento.

Nella sua ampia impresa di recupero di partiture meno note, il Reate Festival ha riportato in vita le Astuzie femminili il 9 ottobre 2022 al Teatro Flavio Vespasiano di Rieti e il 14 e il 15 ottobre 2022 al Teatro di Villa Torlonia di Roma. La versione proposta, per la prima volta dopo le esecuzioni del tempo, è fedele al manoscritto originale.

Con questo intento filologico, l’esecuzione, su strumenti d’epoca, è stata affidata al clavicembalista Diego Procoli e alla Theresia Orchestra, un ensemble internazionale i cui membri, che si rinnovano tramite audizioni, sono musicisti fino ai 28 anni di età provenienti dalle migliori scuole di musica antica d’Europa.

Il progetto Theresia, cofinanziato dal programma culturale Europa Creativa della Commissione Europea, è sostenuto dalla Fondazione ICONS, nata a Lodi nel 2016 e presieduta dai fondatori Mario Martinoli ed Elena Gaboardi.

La Fondazione si occupa della struttura artistica e organizzativa di Theresia, oltre ad erogare borse di studio annuali ai membri dell’orchestra per favorirne il perfezionamento artistico.

Theresia è un luogo di scambio e di ricerca, in cui la visione artistica dei giovani musicisti trova un suo spazio di elaborazione e di condivisione, alimentata dall’incontro con le più importanti personalità del panorama della musica antica e barocca. Non fa eccezione dunque l’incontro con un direttore del calibro di Alessandro De Marchi, chiamato a dirigere le Astuzie femminili.

Il gesto limpido di De Marchi ha colmato la piccola e prestigiosa sala del Teatro di Villa Torlonia di suono vivido, in cui le linee affidate all’Orchestra Theresia sono emerse nitide e sfavillanti, ma pur sempre con una delicatezza che è frutto di una raffinatissima ricerca.

Si è mostrata, in questa esecuzione, la sapienza di un direttore richiesto in tutto il mondo per le sue interpretazioni di un repertorio che dal barocco attraversa le opere di Mozart e Haydn, fino ad arrivare al tardo belcanto.

De Marchi è inoltre ben favorevole alla missione del Reate Festival, essendosi impegnato in più occasioni nella direzione di opere meno conosciute (tra le altre, Cesare e Cleopatra di Graun alla Staatsoper di Berlino, la Cleofide di Hasse a Dresda, L’isola disabitata di Haydn a Berlino e a Innsbruck, del cui celebre festival è attualmente Direttore Artistico).

L’assenza della buca orchestrale nel Teatro di Villa Torlonia ha comportato la necessità di ridurre l’organico, a partire dal numero di archi. Anche dei fiati sono stati mantenuti soltanto quelli necessari e le trombe sono state sostituite dai corni in Do. D’altronde, come sottolinea il direttore, intervistato da Carla di Lena dopo la prima dell’opera, le modifiche nella composizione dell’organico costituiscono parte integrante della prassi esecutiva dell’epoca.

Complici forse tanto l’orchestra ristretta quanto la struttura stessa del Teatro di Villa Torlonia, le voci sono affiorate con straordinaria chiarezza. Si tratta di un cast vocale di giovani professionisti, già affermati, che sembra anch’esso modellato sulle esigenze delle Astuzie femminili: voci che ricamano finemente le arie e si uniscono con grande dinamismo nei rapidi e divertenti brani di insieme dei finali d’atto.

Il soprano Eleonora Bellocci, il cui repertorio spazia da Rossini, Donizetti e Mozart a Menotti, impersona prodigiosamente l’astuzia femminile di Bellina, sostenuta nei suoi stratagemmi dalla sua amica Ersilia, interpretata da Martina Licari, e da Leonora, affidata alla duttile voce di Angela Schisano.

Il personaggio di Don Giampaolo Lasagna, che incarna il ruolo tipico dell’antagonista beffato e canzonato, necessariamente goffo nella sua stolta sicurezza, si mostra con grande efficacia nell’interpretazione del basso Rocco Cavalluzzi. I suoi dialoghi con Matteo Loi, nei panni dell’impostore Don Romualdo, aderiscono ai canoni dell’opera buffa senza mai cadere nel grottesco.

Questa sembra essere la cifra dell’opera di Cimarosa: la leggerezza che distingue il “buffo” dal ridicolo, che eleva il susseguirsi di fraintendimenti, sotterfugi, scambi di persona e travestimenti a una dimensione impalpabile, lontana dal mondo.

Dall’iperuranio della poetica del compositore è distante anche il pathos sentimentale. Tuttavia, a Cimarosa sembrano quasi sfuggire alcuni momenti di un certo impatto emotivo, come dimostrano i commossi duetti tra Bellina e Filandro, interpretato dal tenore d’eccezione Valentino Buzza.

Si tratta, però, di momenti brevi, in cui ci sembra di intravedere lo spessore dei personaggi dell’opera dell’Ottocento, ma che, appena sgusciati fuori dalle reti della commedia per musica, vengono in essa riassorbiti rapidissimamente con cascate di semicrome festose. Ogni timido accenno di dissonanza, appena intuito, scompare così in un vigoroso concertato.

Questi bagliori fugaci sono significativi quanto gli elementi fondativi dell’opera cimarosiana nel suo insieme. Cimarosa, se avesse voluto, avrebbe potuto essere uno straordinario compositore di opera seria. Eppure, scelse la leggerezza, scelse di svuotare le passioni umane del loro contenuto gravoso per restituircele dipinte con contorni lievi.

Questa sembra essere la chiave di lettura tanto del direttore e dell’ensemble quanto dell’accorta regia di Cesare Scarton e della costumista Anna Biagiotti.

I colori delle eleganti ed essenziali scene di Michele Della Cioppa e dei costumi dei personaggi, che ricalcano senz’altro quelli dell’epoca rappresentata, sono infatti chiari, tenui, sempre vicini a tonalità pastello.

Soltanto a conclusione dell’opera, quando nel secondo atto Bellina e Filandro si travestono l’uno da ufficiale magiaro e l’altra da sua amante, ci troviamo all’improvviso di fronte ad una combinazione di colori sgargianti.

D’altronde, si tratta di un momento di massima contaminazione, in cui convergono elementi italiani, russi e tedeschi in un’esplosione di situazioni stravaganti: il Finale II termina con un ballo russo, il cui tema, anticipato nella Sinfonia di apertura, è desunto da La vergine del sole che Cimarosa aveva composto durante il suo soggiorno russo; il dialetto napoletano di Don Giampaolo Lasagna si trova a mescolarsi con la curiosa lingua italo-tedesca del finto ufficiale.

Di questo scompiglio finale sembra a questo punto una premonizione il sentimento confuso di Don Giampaolo Lasagna nell’atto precedente:

Aje n’mbroglio simile non c’è pel tutto il mondo […] me perdo, me confondo, risolvere non so”.

Poche scene prima, d’altronde, il groviglio aveva trovato manifestazione concreta nell’intreccio di mani dei personaggi, che, ironicamente, Bellina aveva cercato di sciogliere e districare.

Il disordine, in Cimarosa, è tuttavia tratteggiato con tale finezza da non suscitare angosciose aspettative di risoluzione né, d’altra parte, la grossa ilarità che nel nostro immaginario corrisponde all’opera buffa.

La leggerezza del compositore di Aversa è una forma di grazia che conduce alla saggezza, simile a quella descritta e auspicata da Calvino nelle sue Lezioni americane:

“Prendete la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.

Comprendiamo così, a conclusione di questa ricercata versione delle Astuzie femminili, ciò che Stendhal aveva scritto nell’Henry Brulard a proposito del Matrimonio segreto, alla cui rappresentazione aveva assistito nel 1800 a Novara:

“La mia vita fu rinovellata […] avevo chiaramente compreso dove fosse la felicità”.   

Martina Cavazza

Responsabile Editoriale

Compositrice diplomata al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, vicepresidente dell’Associazione Musica Del Vivo per la promozione della musica di giovani compositori.

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