Ultimo aggiornamento 4 dicembre 2024, alle 17:11

Amore e Morte nei capolavori di Wagner e Mahler

di Matteo Camogliano - 14 Dicembre 2017

Viaggio ideale tra il Tristan und Isolde e la Nona Sinfonia

L’avvio della stagione artistica del Teatro Regio di Torino, lo scorso mese di ottobre, ha visto come primo appuntamento inaugurale la rappresentazione del Tristan und Isolde di Wagner, seguito pochi giorni più tardi dalla prima serata concertistica, interamente dedicata alla Nona Sinfonia di Mahler, in entrambi i casi sotto la bacchetta di Gianandrea Noseda. L’accostamento di questi due appuntamenti, tutt’altro che casuale, ha reso possibile una sorta di iter nella musica di fine Ottocento ed inizio Novecento, andando a creare un interessante filo conduttore tra romanticismo e decadentismo, incentrato sul trattamento di una interessante tematica come quella di amore e morte da parte dei due autori.

 Richard Wagner – Tristan und Isolde

Il Tristan und Isolde, dramma wagneriano in tre atti, rappresenta una pietra miliare della storia della musica occidentale. L’intervallo di sesta minore che apre il Preludio è un segnale inequivocabile, scintilla dalla quale si genera il cosiddetto tema del desiderio. Questo noto incipit dei violoncelli origina l’altrettanto inconfondibile “Tristan-Akkord”, l’accordo di Tristano, consistente in un intervallo di quarta eccedente ed uno di quarta giusta sovrapposti a distanza di terza maggiore l’uno dall’altro.
Dal punto vista musicale il protagonista indiscusso è il cromatismo, il quale caratterizza i temi principali: oltre a quello citato del desiderio, l’altro celebre tema è quello dello sguardo, nel quale Wagner coglie l’essenza della fusione amorosa delle anime dei due protagonisti. Essi assumono un ruolo centrale in ciascuno dei tre atti, nel reciproco interagire e attraverso l’uso sistematico della progressione armonica. Trattasi di un procedimento dall’importante significato retorico, che consiste nell’impiego di un frammento tematico fisso in un movimento cromatico, di semitono in semitono, il quale conferisce al linguaggio musicale un aspetto fluido e penetrante.

Dal giorno alla notte

La rappresentazione non è ancora iniziata che già possiamo intravedere, o meglio sentire, quella forte tensione tra amore e morte che la caratterizza. Il desiderio di annichilimento dei due protagonisti nasce dalla volontà di appagare un bisogno incontrollabile, realizzabile solo nella tenebra, portandoli a rifuggire la luce del giorno (la vita) per trovare rifugio e consolazione nella notte (la morte).
Momento ultimo di questo tormentato percorso verso l’oscurità è il Liebestod, letteralmente “morte d’amore”, delirio e lamento finale di Isotta, il quale in realtà più che al carattere di klagen si rifà a quello di un atteso ricongiungimento con l’amato. Wagner nella sua concezione di tale momento conclusivo, parlava piuttosto di Verklärung trasfigurazione – di Isotta, come conversione ed adesione alla concezione della morte propria di Tristano.

È interessante inoltre come questa scena finale sia concepita idealmente come una prosecuzione della Liebesnacht notte d’amore – del secondo atto. Ne è testimonianza la versione concertistica dell’opera scritta dallo stesso Wagner, nella quale al duetto del secondo atto vengono fatte immediatamente seguire, a scopo conclusivo, le ultime diciannove misure del Liebestod, come a significare che i due innamorati, se Kurwenal non li avesse interrotti poco prima dell’alba, sarebbero potuti giungere  alla morte già quella medesima notte, insieme.

Scelta di salvezza

[…] la morte, in confronto alla sofferenza d’una passione d’amore insoddisfabile in vita, non è condanna, bensì salvezza. Essa è infatti l’unica medicina possibile contro la voluntas schopenaueriana, è squarciare il velo di Maya ed abbracciare l’amore/noumeno nella sua essenza

La morte stessa non è più concepita negativamente, ed Isotta lo sa inconsciamente sin dal primo atto. Quando, rivolgendosi a Tristano, ella lo appella Todgeweihtes Haupt, Todgeweihtes Hertz – capo votato alla morte, cuore votato alla morte – non ha alcuna intenzione esecratoria, piuttosto consacratoria. L’epiteto, come lo interpretò il direttore austriaco Felix Mottl, assume chiaramente la funzione di una benedizione: la morte, in confronto alla sofferenza d’una passione d’amore insoddisfabile in vita, non è condanna, bensì salvezza. Essa è infatti l’unica medicina possibile contro la voluntas schopenaueriana, è squarciare il velo di Maya ed abbracciare l’amore/noumeno nella sua essenza.

L’equivoco del filtro magico, concepito nella versione originale del mito come increscioso accidente, viene infatti reso da Wagner non alla stregua di un mero errore commesso da Brangane, ma come cosciente scelta. Pertanto i due, con la mente ed il cuore avvelenati ed offuscati, hanno realmente l’illusione di trovarsi faccia a faccia con la morte; tuttavia l’inganno assume la funzione di svelamento della passione tra i due, nascosta ma preesistente. Tale misfatto non persiste come elemento di discussione e l’attenzione si concentra piuttosto sulla travolgente passione che scaturisce dal brindisi. Anche quando Brangane si accusa di essere responsabile delle sventure e sofferenze dei giovani, Isotta la apostrofa dicendo: «Opera tua? O fanciulla semplicetta!» evidenziando la totale consapevolezza del disegno superiore dell’amore.

Tod und Liebe

È evidente come i veri protagonisti dell’opera siano dunque Amore e Morte: la trama e gli avvenimenti del mito nordico sono ridotti ai minimi ed essenziali termini, per concentrarsi sull’aspetto psicologico e sentimentale. Essi si rincorrono per cercare al contempo l’annullamento e la totale realizzazione reciproca, fin dal primo atto sembrano fondersi e confondersi.
Tristano, dispensatore di morte, prima ferito da Morold e poi suo uccisore, può dunque essere identificato con la Morte stessa, Der Tod. Egli del resto è colui che più brama e smania nell’attesa dell’annullamento, essendone stato toccato già due volte (prima a causa di Morold e poi di Melot), riuscendo a convincere anche Isotta del proprio pensiero.

Dal canto suo Isotta è incarnazione perfetta dell’Amore, inteso in chiave romantica come una passione ricca di contraddizioni. Mossa a pietà da Tantris ne cura la ferita, tuttavia, una volta scoperta la sua identità e la sua colpa, nutre nei suoi confronti odio e rancore, che si riveleranno solamente una maschera dei suoi sentimenti. Ella infatti fin da subito è attratta da Tristano (e dalla morte) ed esercita su di lui altrettanto potere, tanto da essere l’unica in grado di ottenere da parte sua parola e confidenza (anche l’amico Marke perde questa influenza su Tristano). Dunque Isotta finisce fatalmente per riaprire quella ferita precedentemente cucita, dalla quale questa volta non sgorga sangue, bensì una passione che è dolore incurabile e che necessita di essere seguita fin nell’abbraccio freddo dell’amato. L’Amore riesce così a realizzarsi e divenire puro ed autentico solo nell’unione e nella trasfigurazione, Verklärung appunto, con la Morte.

Gustav Mahler – Nona Sinfonia in Re maggiore

Gustav Mahler, a differenza di Wagner, non si afferma subito come compositore, anzi questa esperienza sarà per lui successiva a quella di direttore d’orchestra, cui rimarrà sempre coniugata. Egli inoltre non è tedesco, nasce in Boemia da una famiglia di origine ebraica.  Mahler conosceva molto bene la musica di Wagner, avendone diretto con assiduità le opere alla Staatsoper di Vienna. Forse proprio da questa ampia conoscenza ed esperienza orchestrale e dalla sua condizione di esule nascono le sue sinfonie, superamento sia del romanticismo wagneriano che del classicismo brahmsiano, sintesi di musica a programma e musica assoluta, espressione sublime di quel clima della fin du siècle e dell’inizio del Novecento comunemente chiamato decadentismo.

Un “canto del cigno”

La Nona Sinfonia è l’ultima grande opera dell’autore, che inizierà una Decima mai portata a termine, scritta quasi integralmente nel 1909 ed eseguita postuma nel 1912. Al di là delle interpretazioni fatalistiche su quest’ultima sinfonia, che essendo la Nona porrebbe Mahler al pari dei grandi sinfonisti del passato come Beethoven e Schubert (senza dimenticare Bruckner), o di quelle invece più profetiche, per cui essa sarebbe il testamento spirituale dell’autore, consapevole della propria fine, sicuramente ci troviamo di fronte ad una composizione che è il “canto del cigno” di un genere musicale, quello sinfonico, sviluppatosi in più di centocinquanta anni ed attraverso tre secoli.

Nella Nona, Mahler torna, dopo l’Ottava e Das Lied von der Erde (Il Canto della Terra), al genere prettamente strumentale, ripristinando inoltre i quattro movimenti canonici della forma sinfonica. Da innovatore qual è, nonché sommo padrone dell’arte compositiva, non si limita ad un restauro: cambia l’ordine consueto dei tempi, ponendo il Rondò al terzo posto e l’Adagio al quarto ed ultimo. Crea inoltre un impianto tonale a chiasmo: i due movimenti centrali sono in Do maggiore e La minore, tra loro relativi, mentre al primo in Re maggiore corrisponde l’ultimo in Re Bemolle maggiore, con una discesa di semitono nella struttura tonale che è metafora della resa dell’uomo davanti alla morte.

Dialogo e dissolvimento

Il primo tempo, definito a pieno diritto da Alban Berg «la cosa più Splendida che Mahler abbia scritto», è una sorta di unica elaborazione melodica da cima a fondo, in cui il concetto di fraseggio tende a frammentarsi quasi fino alla singola battuta, e pertanto il concetto formale, in particolare quello di forma-sonata, inizia a sgretolarsi. Il filosofo e musicologo T.W. Adorno ha parlato di una forma definibile come “dialogo sinfonico”, termine che Wagner avrebbe usato per indicare le composizioni orchestrali che intendeva scrivere dopo il Parsifal, poi mai realizzate. Ciò non deve portare alla combinatoria conclusione che Mahler ne fosse a conoscenza e ne avesse tratto ispirazione, non possiamo saperlo ed inoltre il termine non viene mai usato da lui, tuttavia è sintomo quantomeno di una vicinanza musicale e d’intenti tra i due.

La caratteristica dialogica sta, secondo Adorno, nella continua intersecazione degli elementi tematici e nell’antitesi tra maggiore-minore, che rende superflua la presenza di un vero e proprio sviluppo: quello che noi avvertiamo come tale, momento in cui abbondano i contrasti e le variazioni, è in realtà una riproposta estremamente elaborata dell’esposizione.

Tutte queste caratteristiche, che generano apparente confusione, sono tipiche del linguaggio musicale del tardo Mahler, il cosiddetto “Stil der Auflösung”, “Stile del dissolvimento”. Si tratta di un processo compositivo, distaccato dai rigori del passato, con il quale i vocaboli musicali vengono dissociati per poi essere riaccostati come tessere di un puzzle, un “collage di rovine guardato nella prospettiva della memoria(Petazzi). Da questi presupposti ha appunto inizio la fine della forma-sonata e delle forme rigide nella musica del Novecento.

Presentimento di morte

Il già citato Berg ebbe ancora da dire, in riferimento all’Andante iniziale: 

«Questo intero movimento è concentrato sul presentimento della morte. Esso si annuncia sempre di nuovo, in esso culmina ogni trasognato motivo terreno (con crescendi che irrompono come sempre nuove ondate dopo i passi più delicati), e naturalmente con la massima forza là dove il presentimento di morte diviene certezza: dove, nel bel mezzo della più intensa manifestazione di gioia vitale, la morte si annuncia con la massima violenza! Con tremendi soli di viole e violini e con suoni cavallereschi: la morte nell’armatura. Contro di essa non vi è più resistenza. Quello che accade poi mi appare come rassegnazione: col pensiero sempre rivolto all’al di là come nel passo “misterioso”, come in un’aria del tutto rarefatta – ancora sopra i monti – come nello spazio vuoto»

Se in Wagner la ricongiunzione di amore e morte avviene in modo tragico, folle ed inarrestabile, in Mahler, cinquant’anni più tardi, l’incontro sembra avere diverse caratteristiche.
Amore e morte compaiono fin dalle primissime misure nei temi principali presentati dall’orchestra: subito compare la citazione del tema della morte dell’Ottava sinfonia di Bruckner, sul battere della quarta misura i corni intonano un tema di cinque note definito tema dell’amore. Alla sesta battuta i violini introducono l’elemento gravitazionale di tutta la sinfonia, ovvero l’intervallo di seconda maggiore discendente, che è un segnale molto preciso nel linguaggio musicale dell’autore, sempre raffigurante l’abbandono ed il distacco, già presente nell’Adagietto della Quinta, nei Rückert-Lieder ed in Das Lied von der Erde. Infine i corni introducono un altro elemento di carattere cromatico detto tema del destino, che presenta ovviamente innumerevoli precedenti in musica ed è anch’esso cupo presagio della fine (Guida all’ascolto, Oreste Bossini). Proseguendo, l’elemento cupo e mortifero prevale, come testimonia l’improvviso incedere di una marcia funebre spaventosa che sembra inghiottire ogni cosa, una greve bara che irrompe in un corteo già funesto.

Macabra ironia

I due tempi centrali, definiti da Principe “due facce dello stesso fantasma, l’una onirica, l’altra demoniaca” sono una sorta di rappresentazione grottesca dei piaceri e delle gioie della vita, in realtà solo apparenti ed evanescenti, nonché una sorta di ultimo sguardo da parte dell’autore alla propria esistenza. In essi prevale ancora per poco l’elemento terreno, come testimonia nel secondo la ripartizione in Landler, Valzer ed ancora Landler, accomunati dal carattere danzante, da cui si evince il gusto di Mahler per elementi di carattere rustico e popolaresco; tuttavia anche qui il sapore è quello amaro di una danza macabra. Il Rondò-Burleske è invece un fantasmagorico dipinto il cui soggetto è l’impotenza dell’uomo davanti alla morte, le cui tinte sono quelle dell’umorismo quasi sarcastico. Ancora utile è la definizione adorniana: è come se questo movimento, mentre annuncia di volersela ridere del corso del mondo, perdesse la voglia di ridere.

Accettazione ed abbandono mistico

La tensione poetica e musicale addensatasi nel corso della Sinfonia trova sfogo e respiro nell’Adagio finale. Il salto d’ottava iniziale dei violini, derivato dal primo movimento, apre ed innalza il discorso musicale verso una sorta di mondo trascendente, puro ed estatico. Il tema così originato, che si propaga e varia tra gli archi, creando un lungo canto ininterrotto, consiste in un semplice gruppetto di sedicesimi. Esso peraltro è perfetto elemento legittimante di quel fil rouge che stiamo cercando di tessere tra Mahler e Wagner: proviene infatti direttamente dal Tristan und Isolde ed è caso rarissimo di esplicita citazione wagneriana da parte del compositore boemo.

Il conflitto tra l’essere e il mondo, tra (amore per la) vita e morte, viene risolto nella totale accettazione ed abbandono al mistero religioso di quest’ultima. Mahler si impersona in questa rappresentazione come in una sorta di trasfigurazione, identificando se stesso nella figura di Cristo. In tal senso allora, seppur Mahler non sia un fervente credente, la Nona può essere letta in chiave mistica come una delle più alte forme di musica sacra prodotta a partire dal tardo Ottocento.

Rappresentazione fonica della morte

Leonard Bernstein, che di Mahler fu tra i principali riscopritori e promotori nel secondo Novecento, ha definito in modo davvero accurato e calzante la funzione in qualche modo apotropaica dell’intera sinfonia, in particolare

«il Finale, che è una rappresentazione fonica della stessa morte e che, paradossalmente, ci rianima ogni volta che l’ascoltiamo. […] Questa pagina penso sia il punto più vicino cui siamo mai giunti in un’opera d’arte a provare il vero atto di morire, di abbandonare tutto»

La dolce melodia degli archi sembra ripercorrere i ricordi della vita dell’uomo, per poi pian piano assottigliarsi come in un sospiro, tra brevi accenni ora di angoscia, rassegnazione, ora di calma, felicità fino a raggiungere la pace. L’efficacia dei colori e la suggestione dell’atmosfera sono tali che il pubblico rimane come assuefatto ed incantato, indolente a destarsi da questo sogno ad occhi aperti, timido nel rompere il silenzio in cui si “spegne” la sinfonia, momento di contemplazione che spesso si protrae per lunghi attimi prima che il direttore abbassi le mani.

Il “lungo sguardo”

L’elemento della morte in Mahler interessa tutta la sua opera musicale, è infatti presente più o meno spiccatamente in tutte le sue composizioni, dalle sinfonie ai Lied, così come è presente in modo tragico e segnante in molti momenti della sua esistenza: la sua accettazione rappresenta dunque il compimento massimo della vita, anche artistica, ed apre le porte al Novecento. Non è un caso che lo stesso Mahler riconoscesse nella propria musica un carattere assolutamente originale, tanto da affermare “il mio tempo verrà”, ed effettivamente per una comprensione totale dei suoi capolavori bisogna attendere la seconda metà del XX secolo.

Ancora utili in tal senso sono le parole di Bernstein, pronunciate per gli studenti di Harvard nella “Lecture” del 1973, che chiariscono le ragione del tardo apprezzamento e delll’interpretazione profetica della sinfonia: 

Il nostro secolo è il secolo della Morte, e Mahler è il suo profeta musicale. […] Oggi sappiamo qual era questo messaggio, ed è stata la Nona sinfonia a diffondere la notizia, ma […] il mondo non si curò di ascoltarla. Questa è la vera causa dei cinquant’anni di oblio che la musica di Mahler ha sofferto dopo la sua morte, […] era semplicemente troppo vera, diceva qualcosa di troppo spaventoso da essere ascoltato.

In tal senso Adorno parla di ‘lungo sguardo’ del nostro autore.

Soluzioni al conflitto interiore

I due protagonisti indiscussi di questo percorso sono pertanto l’amore e la morte, entità in eterna lotta ed al contempo eternamente legate e bisognose l’una dell’altra.

Alla luce di quanto detto è interessante osservare come il dramma wagneriano rappresenti al contempo l’apice del romanticismo tedesco ed il suo superamento: se nel Tristano si affermano pienamente quei concetti filosofici legati alla passione ed al rifiuto della vita, di matrice schopenaueriana, oltre ad una certa dose di ateismo (evidenziata dal fatto che nell’intero libretto non compare una sola volta il nome di Dio, “Got”) di derivazione nietzscheana, dall’altra molti elementi sembrano già alludere a quel cambiamento di prospettiva che si avrà nel Parsifal. Nella sua ultima opera Wagner si volge a guardare l’integrità perduta e ricerca la salvazione, finendo dunque, come lo accusò Nietzsche, per “accasciarsi ai piedi della croce”, realizzando un dramma dal carattere mistico e sacro. Così anche in Mahler, l’opera analizzata è al contempo apice della creazione artistica del compositore e apertura e slancio verso la musica del Novecento, anticipatrice del carattere tragico di quello che verrà definito “il secolo breve”, alle sue battute iniziali.

Entrambe le riflessioni degli autori derivano, almeno in parte, dall’esperienza vissuta, ma soprattutto dal conflitto interiore tra amore per la vita e angoscia di fronte alla morte, che converge splendidamente nel linguaggio musicale, unico mezzo possibile per rappresentare tali concetti. A questa lotta i due compositori invitano ogni uomo, l’uno attraverso la seduzione e l’irresistibile vortice delle emozioni, l’altro attraverso l’assuefazione e la sublime attrazione della pace.

Studio Violoncello al Conservatorio, Lettere all'Università. Musicalmente eclettico, innamorato di Gustav Mahler e LVB. Ascolto per imparare ed emozionarmi, scrivo per trasmettere ciò che penso. Suono per cercare di raggiungere la sintesi di tutto ciò. Vincitore di "Scrivere di musica dal vivo" - Premio per la giovane critica musicale - Lingotto Musica 18/19.

tutti gli articoli di Matteo Camogliano