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Schumann, questione di Oroscopo

di Gabriele Toma - 4 Maggio 2017

Si racconta che poco prima della guerra di Troia Leda, la moglie del re spartano Tindaro, mise al mondo due fratelli gemelli. Sebbene concepiti nella stessa notte, erano figli di padri diversi: Castore era figlio di Tindaro, mentre Polluce di Zeus, che sedusse la regina trasformato in cigno. I due erano entrambi temibili e valorosi guerrieri, sebbene solo Polluce fosse immortale, e parteciparono a molte famose imprese, come quella degli Argonauti alla conquista del vello d’oro. Secondo alcuni dei tanti racconti, i gemelli finirono per divenire rivali in amore, scontrandosi in un duello nel quale, come era prevedibile, ebbe la peggio Castore. Tale era però il legame tra i due che Polluce, sorreggendo il fratello agonizzante tra le braccia, implorò suo padre Zeus di essere ucciso, oppure di rendere Castore immortale. Il lungisaettante soddisfò entrambe le preghiere: permise ai Dioscuri di vivere sei mesi nell’Olimpo, a patto che abitassero per gli altri sei mesi negli Inferi. Secondo un’altra leggenda Zeus concesse loro di vivere e morire un giorno per ciascuno trasformati nella costellazione dei Gemelli, infatti, una delle sue stelle principali si nasconde sotto l’orizzonte quando appare l’altra, ricordando permanentemente il destino che unisce i due fratelli.

Fu proprio sotto la costellazione dei Gemelli, segno zodiacale contraddistinto da una sensibilità ricercata e da una nervosa voracità intellettuale ma anche dall’insicurezza e dall’incostanza, che l’8 giugno del 1810 nacque a Zwickau, in Sassonia, il più ambiguo dei musicisti romantici: Robert Alexander Schumann.

Figlio di Friederich August, colto libraio con velleità per la scrittura, e di Johanne Christiane Schnabel, cantante dilettante, Robert trascorse un’infanzia decisamente infelice: ancora in fasce fu affidato per due anni ad un’altra famiglia, in attesa che la madre guarisse dal tifo. La sua educazione era gestita dai genitori, i quali ebbero gran cura nell’erudirlo ognuno nel proprio settore: il padre lo avviò alle letture di Byron, Tieck e Jean Paul mentre la madre lo affidò a Johann Gottfried Kuntsch, organista della chiesa di Zwickau. Questo maestro, per quanto privo di particolare estro, ebbe indubbiamente il merito di scorgere con grande anticipo le doti musicali del giovane Robert: come si evince infatti dal suo scambio epistolare con Frau Johanne fu non poco compiaciuto nell’essere stato il primo nella cerchia di Zwickau a «riconoscere la preminenza della vocazione musicale» nel piccolo.

A dodici anni il giovane Schumann mise su una piccola orchestra con i suoi amici e a quindici fondò un circolo letterario: già da questo momento è possibile riscontrare in lui un alternarsi di periodi di attivismo frenetico ad altri di depressione improduttiva. Come studente del Liceo non brillava e se la madre, donna molto pragmatica, considerava i suoi talenti come tratti secondari della sua personalità, il padre al contrario, appassionato sognatore, tentò addirittura di fargli studiare composizione con Carl Maria von Weber (ma il Maestro, preso dalla stesura dell’Oberon, negò la propria disponibilità).

Nel 1826, quando Robert aveva solo 16 anni, la sorella Emilie, affetta da tempo da una grave forma di autismo, si suicidò tragicamente annegandosi nel Reno. A questo dolore il padre Friedrich August non seppe reggere né psichicamente né fisicamente: morì solamente 9 mesi dopo sua figlia. Possiamo solo immaginare come la psiche del giovane Robert fosse già profondamente provata, e forse anche per questo si rifugiava sommessamente nelle proprie isole felici: amava immergersi per ore nella natura della bellissima valle del Necker, perdendosi in passeggiate solitarie, e amava leggere, con una predilezione tutta particolare per il romanzo Flegeljahre dell’amato Jean Paul, che ispirerà larga parte della sua produzione musicale e che, ironia della sorte, parla proprio di due fratelli gemelli, Walt e Vult, espressioni del maschile e del femminile che albergano in ogni essere umano.

Nel 1828 Schumann, per soddisfare il desiderio della madre rimasta vedova, si iscrisse all’università di Lipsia per compiervi gli studi di diritto (che lui chiamava “fredda giurisprudenza”), continuando nonostante tutto a coltivare la propria passione per la musica. Qui Robert strinse molte amicizie, a dire il vero tempestose – non dimentichiamoci dell’ideale di vita “sturmeriano” allora molto sentito in Germania – che incoraggiarono il suo desiderio di evasione non solo dalla società e dall’università – troppo limitanti – ma dalla realtà stessa. Infatti proprio durante questi anni condusse una vita dedita al libertinaggio e all’oblio alcolico: il suo Tagebuch, diario intimo, testimonia compiaciute ubriacature colossali che diventeranno ben presto un’insana abitudine, a grave svantaggio della sua salute, non solo fisica.

Robert ebbe altresì modo di compiere numerosi viaggi nel centro Europa: visitò la Germania del Sud, Lipsia, Jena, Francoforte, Bayreuth e si spinse a piedi addirittura fino in Italia (Milano, Brescia, Verona, Vicenza, Padova e Venezia), in compagnia dei suoi amici, ma anche da solo, avendo così modo di connettersi alle proprie aspirazioni più intime; fu proprio durante questi veri e propri pellegrinaggi che maturò finalmente la risoluzione di voler studiare Pianoforte.

Nel 1830, con il consenso della madre, divenne allievo di Friedrich Wieck, maestro assai celebre all’epoca grazie alla sua precoce e virtuosa figlia Clara, e si dedicò interamente alla musica immergendosi subito in uno studio intenso per riguadagnare il tempo perso; in particolare si misurò con il Clavicembalo ben temperato di Bach. Le sue inclinazioni però non vertevano solo in direzione della musica, egli aveva sicuramente ereditato un certo talento per la scrittura da suo padre, homme de lettres.

C’è chi dice che Schumann non poté coronare il sogno di diventare un grande pianista a causa di esperimenti insensati a cui si sottopose per perfezionare la sua tecnica pianistica durante l’inverno del 1831-1832 e che gli causarono l’immobilità dell’anulare della mano destra. In realtà la sua formazione pianistica era tarda e lacunosa e sicuramente Robert avvertiva un forte senso di inferiorità nei confronti dei suoi colleghi che non poté che scoraggiarlo nell’apprendimento (dapprima la piccola Clara Wieck che, 9 anni più giovane di lui, suonava già molto meglio e poi i suoi virtuosissimi coetanei Mendelssohn, Chopin e Liszt, che riempivano già le sale da concerto), per non parlare del suo temperamento ondivago e incostante. Schumann decise allora di dedicarsi alla composizione: nel 1831 comparvero le Variazioni Abegg, ma si può dire che il suo primo vero successo sia la raccolta di miniature Papillons, pubblicata poco dopo.

Con la sua musica Schumann attirò l’attenzione di molti e si trovò al centro di una cerchia di giovani musicisti e melomani. Questo circolo, chiamato “Lega di David”, fondò nel 1834 la Neue Zeitschrift für Musik (Nuova Rivista Musicale), periodico di progresso musicale tuttora pubblicato, che, come spiega la studiosa Fiorella Lattanzi Darò, era volta a contrastare i vecchi metodi di insegnamento, dogmatici e asettici, ma anche l’invadenza di molti dilettanti; la lega dei compagni di David – gli innovatori, i disobbedienti – lottava metaforicamente contro i filistei, gli accademici dalle vedute ristrette, i musicanti e i critici che componevano e giudicavano non in base al merito, ma in base alla maggiore o minore “commerciabilità” del prodotto. Se il pezzo, quindi, rispondeva alle richieste del momento e se ne prospettava un buon consumo, lo si lanciava sul mercato con il risultato di svilire l’Arte e favorire il cinico mestierante anziché il Genio autentico. Problematica purtroppo sempre attuale. Schumann si fece tenace promotore della lotta contro la musica “commerciale”, come la chiameremmo oggi: da vero Romantico non poteva infatti concepire una musica che non fosse ab-soluta, svincolata dalle contingenze. Scrive appunto:

“…Nessun artista ha tanto bisogno di vedere rispecchiare in modo fiorito la propria arte come il musicista, la cui vita trascorre spesso in modo oscuro, e nessun’arte merita più della musica (la più delicata di tutte) di essere trattata con guanti di velluto anziché essere afferrata in modo rozzo e grossolano dalle mani di un macellaio che la prepara per il consumo.”

La rivista musicale riscosse molto successo: le critiche erano infatti redatte con molta perizia da musicisti impegnati sul fronte e molto talentuosi; inoltre lo stile dell’impostazione discorsiva di Schumann era veramente innovativo per l’epoca: egli faceva largo uso dell’ironia e di immagini poetiche, e, considerata anche la sua vasta cultura letteraria, curava ogni articolo, anche il più tecnico, come fosse un’opera d’arte. Ne risultavano scenette comiche oppure veri e propri idilli, ma la caratteristica che più di tutte vivacizzava la critica e catturava il lettore era la presenza dei “personaggi”: ogni redattore aveva il suo pseudonimo, ed era fortemente caratterizzato psicologicamente, ai limiti della caricatura, abbiamo ad esempio Chiarina per Clara e Maestro Raro per Wieck, ma i personaggi senza dubbio più importanti sono Florestano ed Eusebio. Entrambi infatti sono riferiti ad un unico individuo, il nostro Robert, o meglio alle sue due personalità: Florestano rappresenta il suo lato impetuoso, passionale ed estroverso, mentre Eusebio quello malinconico, sognante ed introverso.

Dai carteggi di Schumann ricaviamo un quadro psicologico tra i più complessi degli artisti di tutti i tempi: la sua personalità, al limite della schizofrenia, sente il bisogno di rappresentare le proprie istanze contrapposte attraverso questi simboli. Ecco che Eusebio e Florestano si caricano di un valore metafisico oltre che psicologico: femminile e maschile, inconscio e conscio, yin e Yang. Con il tempo il personaggio Maestro Raro, che sempre più spesso trova la sintesi di questi opposti (come dimostra il suo ruolo di mediatore tra Eusebio e Florestano in sempre più articoli), smette di essere Friedrich Wieck – che si allontanerà progressivamente dalla redazione – e diventa la coscienza stessa di Robert, a testimonianza del processo tutto interiore di emancipazione dall’autorità esterna e scoperta del proprio Sé.

Il ciclo di brani che rappresenta maggiormente l’idealismo di questo periodo e insieme il clima ilare della rivista è indubbiamente il Carnaval op. 9.

In particolare nell’episodio finale Marcia dei fratelli di Davide contro i filistei, si riscontrano condensati tutti gli stilemi, la poetica e l’ideologia della musica schumanniana. La marcia, che tradizionalmente è in tempo binario, è qui in tre quarti: al ritmo dattilo lunga-breve-breve tipico della marcia si aggiunge una propaggine lunga. Ma allora come si fa a percepire la marcia? Le successioni armoniche, la disposizione degli accenti, i fraseggi, la mutevolezza timbrica infondono al brano un tale fervore battagliero, una tale fierezza d’animo, che se anche della marcia non si sente il ritmo, se ne percepisce lo spirito. È questa la grandezza di Schumann: dare voce ai moti dell’animo attraverso una via qualitativa più che quantitativa. E se volessimo scavare più a fondo, visti gli ideali che animano la “Lega di Davide”, in lotta contro i commercianti della musica, sacrileghi come mercanti nel tempio, potremmo anche azzardare la supposizione che una marcia a tempo di valzer sia un chiaro messaggio di metodo ai filistei: “Noi lottiamo danzando”.

Esisterebbe d’altro canto qualcosa di più Romantico?

Tra il 1835 ed il 1844 Schumann redasse quasi da solo la rivista riscuotendo un gran successo grazie a numerosi articoli e studi, mentre le sue prime composizioni non trovarono favore che nella cerchia degli amici, forse perché per il grande pubblico risultavano troppo complesse e allo stesso tempo poco appetibili a causa di un virtuosismo solo latente, come ad esempio la Sonata per pianoforte op.11 in Fa diesis minore.

Questa Sonata fu pubblicata nel ’37 in maniera anonima sotto la firma di Eusebio e Florestano, con una dedica «alla signorina Clara Wieck». Robert si innamorò infatti della figlia del suo maestro, e chiese la sua mano, ma Friederich Wieck si oppose al matrimonio con tutte le sue forze un po’ perché, pur riconoscendo l’immenso talento di Robert, non ne sopportava il temperamento instabile e libertino, un po’ perché era un padre opprimente e possessivo, capace di cattiverie e macchinazioni che non sempre i biografi evidenziano. Egli infatti ricorse ad ogni mezzo per ostacolare questa unione: dapprima intercettò le lettere tra i due, poi intentò una causa a Robert, lo denigrò negli ambienti musicali spargendo cattive voci sul suo conto per non farlo lavorare in modo da poter giustificare il proprio rifiuto con la sua scarsa disponibilità economica. Lo offese pubblicamente e ricorse persino alla complicità di un altro pretendente di Clara che testimoniò il falso contro Robert. La battaglia (legale e personale) durò più di 5 anni, ed è difficile immaginare quanto ciò possa essere stato stremante per i due innamorati, in particolar modo per un animo così fragile e sensibile come quello di Schumann.

Finalmente però nel 1840 i due giovani si sposarono, non appena Clara divenne maggiorenne, per la precisione nel giorno stesso del suo ventunesimo compleanno. I primi anni di matrimonio furono felicissimi e fecondi. Robert, che fino ad allora si era dedicato unicamente alle composizioni per pianoforte, si cimentò dapprima nella scrittura di Lieder poi di musica sinfonica e da camera. Nel 1843 iniziò un periodo compositivo più vario in cui però sono prevalenti le opere corali. Proponiamo qui l’ascolto del concerto per pianoforte e orchestra op. 54.

Nel 1843 Felix Mendelssohn Bartholdy, che aveva fondato il conservatorio di Lipsia, chiamò Schumann per insegnarvi, cosa che fece per un anno, per poi dedicarsi a seguire la moglie in tournée in Russia e stabilirsi quindi a Dresda, per darsi totalmente alla composizione. Nel 1847 assunse la direzione della “Liedertafel”, la locale società filarmonica, e nel 1848 fondò una società corale mista, mentre due anni dopo fu chiamato a Düsseldorf come direttore generale della musica: durante il soggiorno si aggravarono i sintomi dell’instabilità mentale già manifestati in precedenza e il suo stato divenne tale che dovette rassegnare le dimissioni. Nel 1854 venne salvato da due barcaioli dal tentativo di suicidio nel Reno, gesto estremo che evocava proprio la morte di sua sorella Emilie, e del quale Schumann aveva avuto un’inquietante premonizione: “Ho sognato di affogare nel Reno” scriveva su un foglietto a 19 anni.

Il genio nato sotto il segno dei Gemelli, incarnazione dell’ambiguità tanto nella musica che nella vita, nonché dello stesso spirito romantico, morì dopo due anni di internamento nel manicomio di Endenich presso Bonn, oscillando, con crudele coerenza, tra lucidità e follia.

Gabriele Toma


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