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Gesualdo da Venosa: artista o criminale?

di Linda Iobbi - 7 Giugno 2024

La mattina del 17 ottobre 1590 nel Palazzo di Sansevero a Napoli di proprietà del principe Carlo Gesualdo da Venosa, Silvia Albana, guardarobiera di Maria d’Avolos, moglie del principe, entrava insieme alle altre domestiche nella camera da letto della sua signora prendendo atto che quella stanza era la scena di un duplice omicidio. “Viddero la signora  Donna Maria d’Avalos morta scannata de più ferite nel proprio letto sopra il quale ci era una camisia di homo […] e vicino alla porta stava un corpo di homo morto con più ferite, con una lava di sangue che avvicinatose, cognobbe cheera il Duca de Andria […] lo quale Duca tenea vestita la camisa de la signora” (Copia di casa Teora)
Durante la stessa notte Silvia Albana vide chi assassinò le due vittime. Non fu solo una mano a commettere il delitto, l’omicidio era premeditato e il movente passionale. 

Il movente

Maria d’Avolos e Fabrizio Carafa, Duca d’Andria erano amanti. Si conobbero ad una festa da ballo che i due erano già sposati. Fabrizio Carafa con Maria, principessa di Stigliano e Maria d’Avalos con Carlo Gesualdo.  Maria era cugina carnale di Carlo Gesualdo ed era di quattro anni più grande dello sposo. Aveva trent’anni ed era già due volte vedova. Il matrimonio fu celebrato nel 1586 nella chiesa di San Domenico Maggiore non appena la dispensa papale consentì una deroga alla norma che vietava il matrimonio tra consanguinei. I primi anni furono felici. La coppia ebbe un figlio, Emanuele, e viveva nel palazzo di Sansevero dilettandosi tra cacce, feste e ricevendo a braccia aperte letterati, musicisti e poeti. 
Durante una festa di ballo Maria conobbe Fabrizio Carafa. Era un uomo maturo, sfrontato e sfacciato rispetto al giovane e solitario Carlo. Conquistò Maria con la sua sicurezza e spavalderia. I due iniziarono quindi una relazione amorosa segreta con la complicità dei propri servi. 
Presto però i pettegolezzi iniziarono a diffondersi per le vie di Napoli: la storia era sulla bocca di tutti. Anche Carlo venne a saperlo tramite lo zio Giulio e l’abate Fabrizio Adinolfi, suo fedele segretario detto il “prevetuccio”.

Il duplice omicidio

Al tempo dei fatti venne fatta una ricostruzione del delitto. Questa Informatione originale era conservata nel deposito periferico del Grande Archivio di Napoli ma andò purtroppo perduta durante la seconda guerra mondiale a causa di un incendio doloso causato dai tedeschi. In questa sede useremo una copia settecentesca considerata dallo studioso esperto Annibale Cogliano molto fedele all’originale: Processo per l’omicidio di don Carlo Gesualdo fatto alla sua moglie donna Maria d’Avalos e duca d’Andria à 17 ottobre 1590 tratta dall’Archivio della Casa Teora, archivio familiare dei Mirelli. 

La parità degl’anni negli amanti, l’uniformità de genij, l’occasione de balli ne’ festini, ed il rimirarsi con egual desiderio di godere l’uno la bellezza dell’altro, furono tutte legna che bruggiarono loro il petto

Silvio Ascanio Corona

Nella notte del 16 ottobre 1590 nel palazzo di Sansevero, Maria si preparava per la notte aiutata dalle sue ancelle Silvia Albano e Laura Scano. Le due serve uscirono dalla camera da letto della loro signora. Poco dopo Maria richiamò Silvia: voleva essere rivestita poiché aveva sentito un fischio, segnale che il Duca era appena arrivato. In attesa dell’arrivo dell’amante, Maria ordinò alla sua ancella di andare a dormire in una stanza accanto e di non uscire finché non l’avrebbe richiamata. 
Nel frattempo anche Carlo si stava preparando a dormire aiutato dal suo guardarobiere Pietro Marziale, detto Bardotto. Durante la notte Carlo lo richiamò per chiedergli di portare dell’acqua dato che nella stanza non ce n’era più.  Bardotto scese al pozzo del cortile e notò che la porticina che dà alla strada era aperta, fatto alquanto strano vista da tarda ora. Portò l’acqua al suo signore trovandolo rivestito perché voleva andare a caccia. Bardotto osservò che non era l’ora adatta e “il signor don Carlo rispose: «Vederai che caccia faccio io!»”. Prese allora delle armi da sotto il letto e le passò al suo servo e disse di seguirlo negli appartamenti della moglie: “«Voglio andare ad ammazare il duca de Andria et questa bagascia de donna Maria»”.
Carlo, Bardotto e altri tre uomini armati salirono le scale verso la camera da letto. Buttarono giù la porta. L’ancella Silvia stava dormendo quando si svegliò di soprassalto dal  forte rumore. Aprì uno spiraglio della porta e vidde i tre uomini armati salire nella stanza della sua signora e sentì due spari accompagnati da un grido: “«Eccolo qua!»”. A quel punto vidde passare Carlo Gesualdo con Pietro Bardotto che notò l’ancella spaventata e le intimò di non urlare. Nel frattempo Carlo e i tre uomini, Pietro da Vicario, Ascanio Lama e Francesco De Filippi, tutti fedelissimi del Principe, entrarono nella stanza di Maria. Bardotto sentì urlare il suo signore “«Ammaza, ammaza questo infame, et questa bagascia! A casa Gesualdo corna!». Uscirono dalla stanza ma ancora sull’uscio, Carlo ebbe un dubbio “«Non deve esser morta ancora»”. Tornò indietro e inflisse altre ferite al corpo della moglie

Omicidio premeditato

Silvio Ascanio Corona, autore del ‘700, oltre a raccontare tutta la storia tra Maria e Fabrizio, racconta di come fu organizzato l’omicidio quando Carlo fu informato dal  “prevetuccio” delle voci sempre più invadenti sulla relazione adulterina della moglie. In tutta Napoli si diceva che “Gesualdo è un cornuto!”, il nome della famiglia era irrimediabilmente compromesso. Si incontrò con lo zio Giulio per confrontarsi sul da fare. Nulla ormai, l’onore era macchiato e doveva esser lavato con il sangue. Maria, la “bagascia d’altri”, non meritava altra fine e tutta Napoli si aspettava un atto di giustizia.  Carlo radunò allora i suoi uomini più fedeli e insieme ad essi organizzò una trappola per cogliere i due amanti sul fatto e ucciderli. Secondo la legge dell’epoca, l’omicidio per adulterio se colto in flagrante non era considerato un delitto ma un diritto del quale l’offeso poteva avvalersi. Carlo, quindi, comunicò a Maria che sarebbe stato via a caccia per i successivi tre giorni. Maria avrebbe così avuto il via libera per incontrarsi con il suo amante direttamente nel palazzo di Sansevero, come ormai abitualmente accadeva. A quel punto Carlo e i suoi sarebbero entrati in camera e avrebbero colto i due amanti sul fatto. 

Tra fatti e leggende

I dettagli delle numerose ferite ritrovate sui corpi delle due vittime che l’Informatione descrive sono raccapriccianti. La violenza con la quale si è consumato questo delitto che oggi chiameremo senza dubbio femminicidio, ha lasciato un segno duraturo nella cultura napoletana. 
Ben presto il delitto del secolo iniziò ad avvolgersi da un alone di mistero dovuto alle ai racconti che circolavano, privi però di reali riscontri poiché spesso postumi. In questo contesto è da intendersi il racconto fatto da Corona e tutti i racconti eccessivamente dettagliati.
Giovan Battista Spaccini nella sua Cronaca modenese immagina il momento in cui Carlo, soggetto attivo del reato, uccide la moglie mentre lei coprendosi il volto con il lenzuolo muore recitando nel pianto un Salve Regina. Giacomo Catone invece riporta la voce popolare che vedeva Maria incinta del Duca e Carlo a conoscenza del fatto che commette un infanticidio. In realtà nell’istruttoria non viene dettagliato né il colpo mortale inferto a Maria e né tantomeno se la donna fosse incinta, fatto quest’ultimo considerato improbabile da tutti gli storici. 
Inverosimile e privo di qualsiasi tipo di riscontro è da ritenersi anche il racconto di Anatole France che narra dei due cadaveri lasciati al pubblico ludibrio e quello di Maria abusato sessualmente da un monaco domenicano. Nell’Informatione è chiaramente dichiarato che entrambi i corpi ebbero una degna sepoltura.
Se ci atteniamo all’istruttoria, unica fonte attendibile, Bardotto non vide effettivamente Carlo uccidere la moglie se non già da morta. Dal racconto però si evince che il Principe fu aiutato dai suoi uomini e incitò loro ad uccidere, tanto da indurci ad inquadrare l’omicidio come preterintenzionale. 

Il processo

Corona e altri in seguito, hanno cercato di colmare quei vuoti che l’Informatione ha volutamente lasciato. Ai ministri della Grande Corte della Vicarìa non interessava realmente comprendere le dinamiche del duplice omicidio. Il non voler inimicarsi una delle famiglie più potenti del Regno e la leggitimità dell’omicidio per adulterio che la mentalità dell’epoca considerava fatto dovuto e privato, portò ad un processo breve che scagionò Carlo poiché riconosciuto come parte offesa e avente diritto a riscattare il proprio onore con una vendetta sanguinaria. “Fine dell’Informatione che non fu proseguita per ordine del Signor Vicerè, stante la notorietà della causa giusta dalla quale fu mosso Don Carlo Gesualdo, Principe di Venosa, ad ammazzare sua moglie ed il Duca d’Andria. Fine”.

Piangi, Napoli mesta in bruno ammanto,
Di beltà, di virtù l’oscuro accaso
E in lutto l’armonia rivolga il canto

Torquato Tasso

Seppur non abbiamo prove certe della premeditazione, la condotta di Carlo dopo l’omicidio fu sospetta. Nella stessa notte del delitto, il Principe fuggì nella sua tenuta a Gesualdo, in Irpinia.  Il Castello era circondato da guardie armate. Turni di guardia raddoppiati e un intero bosco abbattuto per avere una chiara vista sulla pianura. Perché? Se Carlo era nella “notorietà della causa giusta”, perché questa paura? 

Carlo era nel giusto secondo l’ordine penale, ma non per quello cavalleresco. Facendosi aiutare dai suoi fedeli, si era inimicato la famiglia Carafa che poteva quindi preparare la sua di vendetta. L’omicidio per adulterio doveva essere commesso dalla sola mano del marito offeso e non per mano di “quella di servi e schiavi che si sono sporcate le mani di un così nobile e bel sangue”, come giustamente sottolineava il visconte di Bratome, Pierre de Bouderille. Il caso Gesualdo sollevò diverse riflessioni sui costumi aristocratici in materia di omicidio. 


Carlo rimase a Venosa per un anno intero, mentre a Napoli, popolino e letterati scrivevano sul delitto appena commesso. Agli occhi dei napoletani Carlo era un assassino dal cuore gelido che aveva ucciso la moglie, la donna più bella di Napoli e il suo amante con una crudeltà mai vista. Persino Torquato Tasso, il favorito di casa Gesualdo, comporrà versi dedicati ai “nobilissimi amanti” come vittime di una tragedia. “Tutta Napoli canta e piange” qualcun altro scriverà. 

L’esilio e l’ispirazione

Intanto Gesualdo era in esilio, tormentato da tutto ciò che gli stava accadendo intorno e da ciò che aveva fatto. Nonostante la consapevolezza di essere nel giusto secondo la logica della società del tempo, l’aver ucciso la propria moglie, madre del suo unico figlio, fu in ogni caso un evento traumatico. Gesualdo conosceva la moglie sin dall’infanzia e possiamo presupporre che provava un sincero affetto nei suoi confronti che non riusciva ad esprimere a pieno per via del suo carattere chiuso e solitario. 

Quasi sicuramente il Principe era a conoscenza della relazione clandestina della moglie prima ancora che “il prevetuccio” lo informò. L’intromissione dello zio Giulio fece precipitare tutto velocemente. Quest’ultimo era una figura ambigua, bizzarra che tutta Napoli conosceva per via dei suoi legami con la stregoneria e la magia. Spesso era coinvolto in processi per eresia dai quali usciva sempre illeso grazie al suo alto lignaggio. 
Lo zio Giulio fece diverse avance a Maria che lo rifiutò sempre. Probabilmente preso dalla gelosia e irritato dal rifiuto, spinse il nipote a prendere i provvedimenti più estremi. Fece leva su l’onore macchiato, sulle insistenti dicerie che giravano per la città e sui doveri che Carlo aveva nei confronti di suo figlio e di tutti i Gesualdo. Sembrava non esserci altra scelta che l’omicidio, e nell’affanno di quella irrisolvibile disperazione tutto avvenne. 
Ora, in esilio, non si dava pace e in questa angoscia si dedicava alla musica giorno e notte. 

La musica era una passione forte che aveva contraddistinto il Principe da sempre. Dopo il delitto commesso, però, qualcosa era cambiato nel profondo. La sua vena creativa era esplosa improvvisamente, iniziò una brama incontenibile per la scrittura che doveva essere saziata. 
In quei mesi, Tasso mandò diverse lettere contenenti numerosi madrigali, poiché il suo Principe non era mai pienamente soddisfatto. Gesualdo cercava nella parola contrasti, effetti e forti ossimori capaci di esprimere a fondo le emozioni conflittuali che provava. 

Il principe non ha cominciato a comporre che dopo il duplice crimine. Il sangue versato, il fantasma nella torre influenzarono la scrittura del compositore?

Dominique Fernandez

“Il principe non ha cominciato a comporre che dopo il duplice crimine. Il sangue versato, il fantasma nella torre influenzarono la scrittura del compositore?” Si chiede Dominique Fernandez, scrittore francese del ‘900, cercando nella musica di Gesualdo una risposta “Quei colpi di Stato armonici, quelle sincopi, quei sospiri, quelle angosce, bisogna addebitarli all’orgoglio offeso, all’amore ferito, alla collera, al rimorso? La scelta dei soggetti – amore, gelosia, morte, dolore – può essere verosimilmente messo in relazione al macabro sublimato”. Nel primo madrigale del libro primo Baci soavi e cari, Fernandez  evidenzia come viene sviluppata “l’idea di un’anima affetta dall’estasi d’amore che dimentica i tormenti della morte. […]Per esprimere questo ritorno alla legge fatale, Gesualdo ha una trovata sublime. Un salto d’ottava del tenore sulla ‘o’ de ‘more’. La voce bruscamente sale gli otto gradi della scala diatonica: immagine perfetta dell’uomo sazio dal pensiero repentino della morte, e che si raddrizza nel suo letto, gli occhi sbarrati dagli orrore. L’urlo, l’urlo nudo è impossibile da tradursi in musica. L’invenzione del Salto d’ottava era il solo mezzo di aggirare questa impossibilità. Nessuno può ascoltare questo passaggio senza che i suoi capelli si rizzino sulla testa. È uno degli effetti fra i più potenti della storia della musica, la sola volta forse in cui la morte abbia fatto irruzione nel tessuto armonico per squarciarlo dal basso all’alto […] Vicino al medioevo egli subisce ancora il fascino spaventoso delle danze macabre., Ma, spirito moderno, egli l’esprime con questo tratto fulmineo d’audacia”. 

Gesualdo da Venosa: artista o criminale?

Gesualdo vive in un contesto sociale e storico in cui il proprio onore, il rispetto per la famiglia e la forza maschile si esprime attraverso molti canali tra cui anche la violenza. Il compositore aveva un carattere inquieto, schivo e verosimilmente si sarà appoggiato al giudizio dei suoi consiglieri, tra cui il machiavellico zio Giulio. Probabilmente Carlo Gesualdo è stato vittima degli eventi e delle pressioni che subiva all’interno della famiglia, ma è altresì carnefice poiché scelse in modo consapevole di seguire la strada più estrema munendosi persino di un piccolo esercito personale. 

Il principe di Venosa, il dolente recluso, l’emarginato deviato, ha reso possibile Gesualdo, il geniale madrigalista e il genio espressionista e innovativo

Shlomo Giora Shoham

La sua musica considerata visionaria e anticipatrice, nasconde i traumi di un delitto così violento, e fa sì che la figura di Gesualdo rimane di vivo interesse nel corso del tempo, studiando il compositore ora da un punto di vista musicale ed ora da quello psicologico. La questione sollevata da Fernandez sulle reali origini cruente dell’ispirazione di Gesualdo ci pone in una posizione scomoda nella quale ci si ritrova spesso quando si tratta di personalità così ambigue. Gesualdo viene spesso comparato a Caravaggio, non solo per il genio fuori dal tempo, ma soprattutto per i crimini dei quali entrambi si sono macchiati. Ma se Caravaggio è l’ eccentrico pittore che uccise un uomo di malaffare in un momento di follia, Carlo Gesualdo da Venosa è l’abile musicista che progettò e commise l’omicidio della sua stessa moglie. La morte cambia le persone, le trasforma e  “Il principe di Venosa, il dolente recluso, l’emarginato deviato, ha reso possibile Gesualdo, il geniale madrigalista e il genio espressionista e innovativo” (Shlomo Giora Shoham). La controversa storia di Gesualdo diventa così difficile da gestire poiché ci costringe ad ammettere che l’ispirazione più suprema, il bene più prezioso, possa nascere anche dalla ferocia di un omicidio. Dov’è il confine tra ispirazione e redenzione?

Nel 1594 Gesualdo si sposerà nuovamente con Leonora d’Este, sorella di Cesare. Si sposterà a Ferrara dove andrà a vivere nel palazzo dei Diamanti. Ferrara al tempo era una città musicale per eccellenza. Qui, tra musicisti e compositori di passaggio nacque “il concerto delle dame”, un quartetto composto da sole donne musiciste. Tra queste vi era Anna Guarini, detta Guarina, virtuosa del liuto, che trovò nel 1598 la morte per mano del marito geloso

Linda Iobbi

Responsabile Multimedia

Made in Rome with vodka flavour. Mi piace osservare il mondo con gli occhiali del musicista, purtroppo pianista.

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