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Ezio Bosso

di Redazione - 15 Maggio 2020

Il nostro ricordo

Abbiamo raccolto qui di seguito ricordi, aneddoti e testimonianze di alcuni scrittori della nostra redazione che, nel loro percorso di musicisti, hanno avuto modo di conoscere e lavorare con il M° Ezio Bosso. Tra il ricordo della gioia di fare musica e la commozione per la perdita di un grande uomo – prima ancora di un grande maestro – vogliamo omaggiare così il compositore e direttore che ci ha lasciato oggi dopo una lunga malattia affrontata sempre con il sorriso.


“Non c’è parte che tu non possa suonare”

Ricordare il M° Bosso è ricordare troppe, tante sfumature.
Se potessi condividerei ogni singolo ricordo di ogni mio collega e amico strumentista, dell’Orchestra Filarmonica di Benevento che mi ha dato la possibilità di conoscerlo.
Un cuore e una testa che letteralmente ipnotizzavano, uno stacanovista di prima categoria, severo fino alla fine, durissimo in prova, per tirare fuori il bello, per raggiungere la vetta dell’emozione.
Nella mia personalissima esperienza, il suo più grande super potere era quello di tirare fuori da ognuno il meglio di sé, inaspettate capacità, perché lui credeva in te più di quanto non facessi tu stesso, lui lo vedeva, vedeva dentro e oltre di te. Lo dico ripensando a due episodi, molto diversi, avvenuti in circostanze diverse.
Il primo, a Benevento a suonare la sua Sinfonia n. 2: eravamo seduti tutti a cena, dopo una prova. Si avvicina a me una collega e amica del direttivo dell’orchestra, chiedendomi se potessi scrivere qualche riga sulla sinfonia di Bosso, così su due piedi perché “i programmi vanno stampati domani mattina”. Ebbene, dopo un’ansia iniziale, l’ho fatto naturalmente, perché talmente tanto aveva trasmesso il maestro in prova che le parole sono uscite da sole dalla mia penna, e quante risate quando il maestro, dopo aver letto quelle note di sala, ha esclamato “Davvero è così bella come è scritto qui la mia sinfonia?”. Il più grande ringraziamento, ed era merito suo, del suo lavoro, della sua testa e del suo cuore.

Il secondo episodio invece univa due orchestre, a Lecce, elementi dell’Orchestra Filarmonica di Benevento con la Europe Philharmonic orchestra. Le produzioni erano due, in due settimane attaccate, con due programmi diversi. Io per vari motivi ho potuto partecipare solo alla seconda, il programma prevedeva la Sinfonia Incompiuta di Schubert, la Quinta di Beethoven e la Sinfonia n. 2 del maestro Bosso. Appena arrivata, con due mie carissime amiche che prendevano parte anche loro alla seconda produzione, ci viene detto che invece che suonare la sinfonia del maestro, si lascerà una sinfonia già suonata durante la prima settimana, per la prima produzione. Nientemeno che la Sinfonia Italiana di Mendelssohn. Panico. Ammetto di aver preso il maestro a male parole nella mia testa in quel momento, ma è il “bello della diretta”, no? Alla prima prova, Bosso ovviamente sapeva chi era arrivato solo per la seconda produzione, quindi ci osservava più degli altri. Nel bel mezzo della prova dell’Italiana mi chiama e mi dice “vieniti a sedere qui vicino a David!” (David Romano era spalla dell’orchestra). Il primo pensiero di chi legge, e il mio primo pensiero, lì mentre provavo, è stato tremendo, terrificante, perché devo essere messa in ridicolo davanti a tutti? Non so suonare questa parte, ci provo, ma meglio non stare davanti a tutti. La verità è che lui sapeva che io avrei potuto suonarla benissimo, ero in grado di farlo, credeva in me più di quanto non lo facessi io, quindi sì, al primo leggio per mostrare a tutti che puoi suonare tutto se ami la musica, se la senti e se la vivi, “affidati a David, affidati all’orchestra, suona CON loro, CON me, CON il loro suono. Non c’è parte che tu non possa suonare”. Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro, se non grazie.
Michela Marchiana


Ezio Bosso: due cartoline da non molto lontano

Ho conosciuto Ezio Bosso per la prima volta nel 2015, in occasione di un meraviglioso concerto del Collegium Musicum di Bologna, tenuto nell’Aula Magna di Santa Lucia. Il programma, fra le altre cose, prevedeva l’esecuzione della Quarta Sinfonia dello stesso Ezio Bosso, da lui dedicata all’Università della città felsinea. Sarò sincero: non fui particolarmente colpito da una musica altisonante e a tratti quasi confusionaria, che mi parve troppo grande per la mia comprensione e troppo complessa per la mia limitata esperienza. Se tuttavia non mi entusiasmò la musica in sé, rimasi affascinato dalla personalità del suo compositore, nonché direttore in quella occasione. Un uomo che si presentò in sedia a rotelle, scusandosi per la sua malattia, come se fosse colpa sua. Un uomo che lodava la musica come sua salvatrice. Un uomo che ci disse che la musica si poteva fare in un solo modo: insieme.
Ero appena diciottenne e l’incontro con Ezio Bosso, sotto forma di una chiacchierata piacevole e spensierata a concerto terminato, mi restò impresso: si parlò come vecchi amici, abbattendo quell’usuale e fastidiosa barriera che solitamente le persone di successo ergono tra loro e i novizi, i fanciulli ancora non svezzati pienamente all’arte. Perché in effetti questo eravamo, lui un virtuoso strumentista, compositore e direttore d’orchestra, io un fagottista da poco diplomato e alle prime esperienze orchestrali in giro per la penisola. Eppure, nei minuti in cui mi raccontò come la musica fosse la sua amica di sempre fra le mille difficoltà, invitandomi a tenerla stretta come un dono ineguagliabile quando fossi cresciuto, mi parve di avere davanti un animo nobile, un mentore sincero, un uomo vero. Di quelli che non hanno bisogno di un piedistallo.

Devo ringraziare la vita per avermi concesso una seconda e molto più intensa occasione di conoscere nel profondo Ezio Bosso. Durante l’adolescenza si matura in fretta ed averlo ritrovato quando i miei anni erano schizzati dai diciotto ai ventuno fece la sua differenza, per mia fortuna. Per un’intera settimana ebbi l’occasione di lavorare con il maestro Bosso, sotto il vigile occhio delle telecamere RAI che filmavano ogni momento delle prove. L’orchestra era l’Orchestra Giovanile Italiana e il programma, tra le altre cose, prevedeva la Quinta Sinfonia di Beethoven, un capolavoro del ritmo, dell’armonia, del contrappunto. Ho potuto suonare la quinta altre tre volte dopo quell’esperienza e mai nemmeno lontanamente ho percepito l’energia e la forza, l’unione di intenti musicali e la convinzione che si raggiunse nella cornice del teatro romano di Fiesole, sotto la bacchetta di uno stremato eppur raggiante Ezio Bosso.
Per un’intera settimana, prima di ogni prova, prima di ogni momento di vita, il maestro ci invitava a divertirci, a sorridere, a essere grati alla musica per il dono che faceva alle nostre anime. Ed era impossibile non credergli, lui che pareva in vita soltanto grazie alla musica, che pareva sopravvivere nutrito dalla linfa dell’armonia in eterna lotta con la sua malattia. Dotato di una cultura straordinaria, sapeva affascinarci nel suo motivare ogni scelta musicale sulla base di una logica deduzione storica, armonica, filosofica, umana: spostare gli accenti nella sezione centrale del terzo movimento, ad esempio, quando celli e bassi – ed anche noi fagotti – si arrampicano in piroette virtuosistiche, sembrava l’azzardo casuale di chi non conosce la musica. Eppure dopo una sola prova, il “due più due più due” rimodellato in “tre più tre” coinvolse così tanto noi orchestrali che ci pareva di danzare insieme a lui, quando suonavamo quel passaggio. Una magia che ancora oggi non so come definire ma mi sento fortunato di avere vissuto. Un ultimo ricordo che non potrà mai abbandonarmi è la carica di energia che Ezio Bosso metteva ogni qualvolta prendesse in mano la bacchetta, che fosse la prima prova, l’ennesima ripetizione di una singola battuta o il concerto finale. L’ultimo accordo di ogni esecuzione era l’apoteosi della vita e terminato quello, il silenzio che ne seguiva era così carico di amore per l’esistenza stessa che una volta, in occasione del concerto, mi venne da piangere come fossi tornato bambino. Ezio Bosso ci diceva sempre che il merito era nostro, per l’energia che sapevamo trasmettere, ma a distanza di anni, avendo suonato con tanti altri direttori, in numerosi teatri, con varie altre orchestre ed in altre situazioni, sono costretto, per la prima volta, a contraddirlo. Il merito era suo, per davvero.
Fabio Valente


Musica oltre la comfort zone: memorie di un concerto

Il mio ricordo del Maestro Ezio Bosso risale all’anno 2016, ed è connesso al festival di Villa Pennisi organizzato ogni estate in Sicilia, ad Acireale. Quell’anno partecipavo in qualità di allieva alla masterclass di violino, solo una delle tante manifestazioni artistiche che si realizzavano in villa finalizzate alla preparazione di un grande concerto, che avrebbe visto gli allievi dei corsi di strumento unirsi a professionisti del settore di fama internazionale sul palcoscenico, sotto la direzione del Maestro Bosso. Ricordo molto bene la tensione dei primi giorni di prova in orchestra, la paura di non riuscire ad aderire alle aspettative di Bosso per noi che, anche se a diversi livelli, eravamo tutti ancora studenti. Durante le prime prove a sezione, entrare subito nel linguaggio di partiture come “Esoconcerto” o “Fisches speech” scritte dallo stesso Bosso  (e con lo stesso Bosso a pochi centimetri da noi!) fu una bella prova di resistenza… ci sentivamo messi a nudo di fronte ad una musica più che esigente – figuriamoci se poi, a dirigerla, era il suo stesso autore. Ma più i giorni passavano più qualcosa maturava dentro di noi. Ad ogni prova in orchestra Bosso ci parlava direttamente, e di quei momenti  una frase ben precisa risuona tuttora più volte nella mia memoria, come un monito: “ L’artista è colui che trova la forza di uscire dalla sua comfort zone… non  dimenticatelo: la comfort zone è ciò che più distrugge la crescita di un artista!”.
Giorno per giorno, più entravamo in quella musica, più il timore e la riverenza si tramutavano in coraggio: stavamo veramente incontrando Bosso e passo dopo passo ci stavamo addentrando nel suo pensiero artistico e musicale. La data del concerto si avvicinava e noi ci sentivamo più che mai dentro una musica dal gesto e dalla metrica originalissimi, che con sorpresa scoprivamo molto più vicini a noi di quanto all’inizio ci potessimo aspettare!

Conservo il ricordo del concerto del 13 agosto 2016 come un raro momento di soddisfazione artistica dopo un duro lavoro, privo di scontentezze personali, privo del pensiero che “avrei potuto fare meglio”. In una sola settimana di lavoro, Bosso ci aveva condotti ad una crescita non solo artistica, ma personale: il ricordo della tensione e delle difficoltà iniziali ci sembravano ormai lontanissimi, appartenenti ormai a due mondi totalmente diversi. Far viaggiare su un’unica frequenza le energie di tanti elementi diversi all’interno di un’ orchestra dove allievi con tante storie differenti si uniscono ai professionisti, credo sia una doppia sfida per un direttore. Bosso ci era riuscito magnificamente, sotto l’insegna della più grande verità manifestatasi attraverso quel concerto, per me ancora vividamente tangibile: “la musica è gioia di sentirsi vivi”.
Marica Coppola

Le foto sono state prese dalla pagina FB dell’Orchestra Giovanile Italiana (Marco Borrelli) e dalla pagina di Villa Pennisi in Musica (Flavio Ianniello).

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